<< Buona
sera >>, disse van der Qualen. <<Le camere
>>
La vecchia signora annuì col capo; e, sorridendo di un lungo
sorriso silenzioso e pieno di comprensione, additò con una bella
mano lunga e bianca, in un gesto lento, stanco e signorile, la porta
dirimpetto, quella di sinistra. Poi si ritirò e riapparve portando
una chiave. "Brava signora", egli pensò, fermo dietro
di lei che apriva la porta, "davvero mi hai l'aria di un incubo,
di un personaggio di Hoffmann." Ella staccò da un uncino
la lampada a petrolio e lo fece entrare.
La stanza era piccola, bassa, con l'impiantito scuro; ma stuoie color
paglierino rivestivano le pareti fino in cima. Una cortina bianca di
mussola celava col suo lungo, elegante drappeggio la finestra aperta
nella parete di fondo, a destra. Pure a destra una porta bianca metteva
nella stanza affianco.
La vecchia signora aprì quella porta e alzò la lampada.
La camera era di una nuda tristezza, con le pareti bianche e spoglie,
sulle quali tre sedie di vimini verniciate di rosso vivo spiccavano
come fragole nella panna. Un armadio, un tavolo da toletta munito di
specchio
Nel mezzo troneggiava il letto di mogano, enorme.
<< Ha qualcosa in contrario? >> domandò la vecchia
signora, accarezzandosi con la lunga bella mano bianca l'escrescenza
mucosa sulla fronte. Parve quasi che lo dicesse per sbaglio, che al
momento non le sovvenisse un'espressione più consueta. E subito
aggiunse: <<Per così dire
?>>.
<< No, non ho niente in contrario >>, rispose van der Qualen.
<<L'arredamento è un po' curioso. Va bene, lo prendo
Vorrei che qualcuno andasse alla stazione a ritirare il mio bagaglio:
ecco lo scontrino. Abbia la cortesia di far preparare il letto, il tavolino
da notte
e di darmi subito le chiavi della porta di casa e di
quella sulla scala
Mi procuri anche un paio di asciugamani. Vorrei
fare un po' di toletta; poi andrò a mangiare al ristorante e
più tardi rientrerò. >>
Trasse di tasca un astuccio nichelato, ne tolse una saponetta e, avvicinatosi
al tavolo da toletta, cominciò a lavarsi il viso e le mani. Intanto,
attraverso i vetri fortemente convessi della finestra, guardava giù
verso le strade fangose nella luce dei fanali a gas, e più in
là le lampade ad arco e i villini
Mentre si asciugava le
mani, si avvicinò all'armadio: era un mobile massiccio, lucidato
di bruno, un po' traballante, con una cimasa dal semplice fregio. Collocato
al centro della parete di destra, era esattamente incastrato nel rientro
di un'altra porta bianca, da cui si doveva accedere ai locali che avevano
per ingresso la porta principale sul pianerottolo, quella di mezzo.
"guarda com'è ben sistemato!" pensò van der
Qualen: "sembra fatto apposta per quella rientranza." Aprì
l'armadio. Era completamente vuoto; parecchie file di uncini erano infisse
in alto; ma, a quanto vide, quel grosso mobile mancava del fondo. Il
lato posteriore era sostituito da una ruvida tela grigia da sacco, fissata
ai quattro angoli per mezzo di chiodi o puntine.
Van der Qualen richiuse l'armadio, prese il cappello, rialzò
nuovamente il bavero del pastrano, spense la candela e uscì.
Passando dalla camera esterna gli parve udire lì accanto, in
qulle altre stanze, frammisto allo scalpiccio dei suoi passi, un lieve
rumore, un suono metallico
chissà, forse si era sbagliato.
Come un anello d'oro che cada in un bacile d'argento, egli pensò,
mentre, chiusa a chiave la porta e discese le scale, usciva dalla casa
e riprendeva la via per tornare in città.
Giunto in una strada popolosa, entrò in un ristorante ben illuminato
e sedette a uno dei primi tavoli, volgendo la schiena a tutti quanti.
Mangiò una zuppa di cavoli coi crostini dia pane, una bistecca
all'uovo, frutta cotta e vino, un pezzo di gorgonzola verde e la metà
di una pera. Mentre pagava e si rivestiva, trasse qualche boccata da
una sigaretta russa, poi accese un sigaro e se ne andò. Girellò
un poco su e giù, rintracciò la strada che conduceva al
suo quartiere e la percorse senza affrettarsi.
La casa dai vetri convessi era tutta scura e silenziosa allorché
van der Qualen aprì il portone e salì le scale buie. Facendosi
lume con un fiammifero, aprì al terzo piano la porta di sinistra,
quella che metteva nelle sue stanze. Posò cappotto e cappello
sul divano, accese la lampada sul grande scrittoio, e qui trovò
la sua valigia insieme alla coperta da viaggio e al paracqua. Spiegò
la coperta e ne trasse una bottiglia di cognac; poi dalla valigia prese
un bicchierino e, accomodatosi nella poltrona, terminò il suo
sigaro bevendo un sorso ogni tanto. "Che bella cosa", pensò,
"che al mondo ci sia pur sempre cognac". Poi andò nella
camera da letto, accese la candela sul tavolino da notte, spense la
lampada nell'altra stanza e cominciò a svestirsi. Capo per capo,
deponeva il suo abito grigio, solido e punto appariscente, Sulla sedia
rossa vicino al letto; stava slacciandosi le bretelle, quanto tutt'a
un tratto ricordò che aveva lasciato capello e cappotto sul divano;
andò a prenderli, aperse l'armadio
Fece un passo indietro
e con la mano afferrò, dietro di sé, uno dei grossi globi
di mogano rossiccio che ornavano i quattro angoli del letto.
La camera, con le bianche pareti spoglie su cui le sedie verniciate
di rosso spiccavano come fragole nella panna, era rischiarata dalla
luce malferma della candela. Ma l'armadio, il cui battente era spalancato,
l'armadio, là, non era vuoto: c'era dentro qualcuno, una forma,
un essere umano, di tale beltà che il cuore di Albrecht van der
Qualen per un istante si arrestò. E riprese poi a palpitare con
placidi, larghi, lenti battiti
Era completamente nuda, e teneva
alzata una delle belle, esili braccia, stringendo con l'indice uno degli
uncini infissi in alto. Lunghe onde di capelli bruni ricadevano sulle
spalle infantili, da cui si sprigionava quell'incanto che non può
suscitare altra risposta se non un singhiozzo. Negli occhi neri, oblunghi,
si specchiava il riflesso delle candele. La bocca era piuttosto grande,
ma di un'espressione dolce come le labbra del sonno quando, dopo giorni
di pena, scendono sulla nostra fronte. Teneva le caviglie congiunte,
e le gambe snelle erano strette l'una all'altra
Albrecht van der Qualen si passò la mano sugli occhi e vide
vide anche che là, nell'angolo destro, la ruvida tela grigia
in fondo all'armadio era distaccata.
"Via ", disse, "non vuol entrare
come devo dire
non
vuol uscire? Posso offrirle un bicchierino di cognac? Solo mezzo bicchierino?
"
Ma lo disse senza attendere una risposta, e difatti non l'ebbe. Quegli
occhi sottili, lucenti e così neri da apparire senza fondo, inespressivi
e muti, quegli occhi erano rivolti verso di lui, ma senza meta, come
smarriti, e pareva non lo vedessero.
"Devo raccontarti?" ella disse a un tratto, con voce tranquilla,
velata.
"Racconta", egli rispose. S'era lasciato andare a sedere sulla
sponda del letto; il cappotto giaceva sulle sue ginocchia, ed egli vi
posava le mani giunte. Teneva la bocca un po' aperta, gli occhi socchiusi.
Ma nel corpo il sangue circolava caldo e dolce e negli orecchi sentiva
un ronzio leggero.
Ella si era seduta dentro l'armadio, e le braccia leggiadre cingevano
uno dei ginocchi, che aveva sollevato, mentre l'altra gamba penzolava
fuori. Gli omeri le comprimevano i due piccoli seni, la pelle tesa del
ginocchio splendeva. Con voce sommessa, raccontava, mentre la fiamma
della candela danzava in silenzio
In due camminavano nella landa, e Lei reclinava il capo sulla spalla
di lui. Le erbe odoravano intense, ma già le nebbie nuvolose
della sera si alzavano su dalla valle. Così cominciò.
E spesso erano versi, e rimavano fra loro con rime impareggiabili di
levità e di dolcezza, come talvolta nei dormiveglia delle notti
di febbre. Ma non terminò bene. La fine fu triste, come se, due
esseri tenendosi stretti in indissolubile abbraccio, nel momento in
cui le loro labbra si uniscono l'uno immerga un coltellaccio nel petto
dell'altro, e abbia buone ragioni per agire così. Questa però
fu la conclusione. Ed ella si alzò in atteggiamento calmo e discreto,
sollevò la dietro il lembo destro della tela nel fondo e svanì.
Da allora egli
la ritrovò ogni sera nell'armadio, e ogni sera stette ad ascoltarla
Quante sere? Quanti giorni o settimane o mesi restò in quella
città? Trovarne indicato qui il numero non gioverebbe a nessuno.
Chi potrebbe rallegrarsi di conoscere un misero numero? E poi sappiamo
che ad Albrecht van der Qualen parecchi medici non avevan dato che pochi
mesi di vita.
Ella raccontava
Erano storie tristi, storie sconsolate, ma che
si posavano sul cuore come un peso soave e lo facevano battere più
lento e più felice. Sovente egli si abbandonava
il sangue
gli urgeva dentro, e tendeva le mani verso di lei che non lo respingeva.
Ma poi per diverse sere non la ritrovava più nell'armadio; e,
quando tornava a poco a poco, finché lui si abbandonava nuovamente.
Quanto a lungo continuò così
.chi lo sa? Chi può
anche sapere se quel pomeriggio van der Qualen si era realmente svegliato
ed era sceso nella città sconosciuta, o no era invece rimasto
a dormire nello scompartimento di prima classe del treno espresso Berlino
- Roma che, a folle velocità, lo aveva trasportato di là
dai monti? Chi di noi oserebbe dare a questa domanda una risposta precisa
ed assumerne la responsabilità? E' una questione molto dubbia.
"Tutto ha da rimanere campato in aria
"
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