"Her Bijit"
IL
CORAGGIO DEL CONTAGIO
Penso a "Her Bijt" di Pippo Delbono e la prima cosa che rilevo come stato d'animo è il coraggio con cui è stata attraversata, violata anche (nel senso migliore del termine), usata come puro spazio evocativo da percorrere quasi nel buio, la Mostra Internazionale d'Arte della Biennale dentro l'Arsenale. Un doppio coraggio. (...) Delbono crea cortocircuito in quel sistema dell'arte che trova nella Laguna un suo habitat privilegiato, lo contagia con il virus vitale del disagio e dell'emarginazione. E' il coraggio del contagio che come la Peste idealizzata da Artaud costringe i corpi a dire la verità. Sfogliando poi il libro su "Barboni", nel parlare di quel suo spettacolo così fortunato, Delbono rivela un riferimento che avevo cercato pensando ad una figura del mondo dell'arte che potesse corrispondere a questa sua temperie e che non fosse né Van Gogh né Bacon. E' Frida Kahlo. Madonna messicana dell'immaginario laico se non rivoluzionario. Nell'alterità delle sue visioni ritrovo quella trasfigurazione grottesca del microcefalo Bobò, bambino a cinquant'anni e più, che con le ali da angelo ci conduce verso il battello. Alla fine di tutto. Alla fine del mondo. (Carlo I.) |
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"...
la Peste idealizzata da Artaud".
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"E'
Frida. Madonna messicana..."
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DARE
CREDITO AL DESIDERIO
Mi fisso su un dettaglio, è questo l'approccio che preferisco nel ricomporre attraverso la memoria del mio sguardo teatrale l'immagine e l'emozione di uno spettacolo. Di questo "Her Bijt" ad esempio. E' un bambino rom che mangiando un'improbabile zuppa da una vecchia scarpa sciorina con innocente baldanza i suoi desideri: "Voglio una moto! Voglio un letto nuovo! Voglio una playstation!" E tanti altri. E' un'impressione opposta a quella del volere-potere: nelle sue pretese gridate c'è la disperazione e la fragilità di un grido nel vuoto. C'è quella povertà che non può che essere colmata con soluzioni straordinare, magari con un furto o un contrabbando. Capisci che in quei mondi alla deriva non si possono proiettare gli schemi della nostra vita civile. Le soluzioni ai problemi dell'integrazione e dell'assistenza sociale non si trovano né con il welfare, né tanto meno con la carità cristiana o con l'eticità calvinista. Capisci all'improvviso quanto sia importante il lavoro di Delbono nel coinvolgere questi vari personaggi, dai suoi partner abituali handicappati e barboni a quelli coinvolti qui a Venezia con l'aiuto del servizio Immigrati e Nomadi dell'assessorato ai servizi sociali. Tradurre la propria irregolarità in risorsa vitale. E mi risale alla mente una piccola frase estrapolata da un testo di una giovane antropologa "dare credito al desiderio". Ma lo so: non è una risposta a quel dilemma che rimane così sospeso. Si possono soddisfare i bisogni ma non i desideri. (Carlo I.) |
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"Voglio
una moto! Voglio un letto nuovo! Voglio una playstation!"
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"Tradurre
la propria irregolarità in risorsa vitale."
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PEZZI
DI VITA DA ESPLORARE
Viaggio a più dimensioni: spaziale e mentale, individuale e collettivo Viaggio adatto ad un fine millennio Interessante e coinvolgente allo stesso tempo; poetico e incisivo. Intelligente uso dello spazio, delle luci; ritmo misurato e tante instancabili voci che si susseguivano rendendoti partecipe della loro intima e personale denuncia. Anzi: le loro stesse figure erano la denuncia che Delbono ci presentava, dei pezzi di vita da esplorare e capire. Tante realtà o verosimiglianze piazzate li, in un luogo temporaneamente teatrale a sollecitare la nostra attenzione sulle "cose della vita." Il tutto in una città come Venezia dove passa tanta gente che però non si ferma a raccontare, a condividere le diversità; e in uno spazio come l'arsenale, così sempre vuoto e con quest'atmosfera da posto di sbarco, di arrivi e di partenze, di incroci ed incontri. Alla fine del viaggio un Battello per andarsene e l'ultima immagine: candele galleggianti che popolavano l'acqua della laguna che ricordavano nel silenzio calato tra i viaggiatori tutte le voci ascoltate, i volti incontrati in questo percorso di vita. (Marianita P.) |
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"...le
loro stesse figure erano la denuncia"
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QUEL
SENSO DI COLPA CHE TI FA ABBASSARE LO SGUARDO
Carlo mi chiede di parlargli dello spettacolo Her bijit, ed io non posso, perche' non si puo' raccontare lo straniamento provato nel passare da una biglietteria rumorosa e luminosa al buio silenzioso di una stanza dove si viene schierati alle pareti in attesa di istruzioni; non si puo' raccontare la sensazione di disperazione provata ascoltando il suono di 70 paia di piedi, i nostri, come deportati lungo il percorso di nomi di vittime urlati al nostro passaggio, non si possono raccontare nemmeno la paura per personaggi grotteschi e feroci, rumori di fruste, racconti dolci di guerre terribili, canti di preghiera e frasi di orgoglio, l'infinito senso di colpa che ti attanaglia e ti fa abbassare lo sguardo, non si possono raccontare, ma magari rendere noti, per un regista e per il suo piccolo gruppo di "varia umanita'" che ti rapisce, ti cambia e ti allontana sull'acqua ,a scivolare su sensazioni. (Anna B.) |
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"... non
si puo' raccontare la sensazione di disperazione provata ascoltando
il suono di 70 paia di piedi, i nostri, come deportati"
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