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VENERDì 4

il talmud e internet

Ultimo giorno del laboratorio di scrittura on line e siamo già proiettati sul reading di domenica alla Miniera. Una delle buone idee emerse all'inizio era fare del preludio una sorta di "gran vocio", tipo messaggi in segreteria telefonica, per mandarlo in sottofondo alla lettura finale del diario. Ok, fatto. Andiamo a RadioFlash e grazie alla splendida disponibilità di Fabio e Dario registriamo ( con le voci di Giorgio, Chiara, Mirko e Giulia) i messaggi, inventandoci il bip della segreteria con il tono di un cellulare.
Cotta e mangiata: registrata al volo e messa in onda. Splendida presenza di spirito di tutti. In trasmissione parliamo della nostra esperienza del diario di bordo on line ed emerge l'affermazione di quanto questo sia "commentario", il prisma di sguardi di cui abbiamo parlato più volte, un modo per coniugare pensiero ed azione.
Nel web il linguaggio agisce,come nell'oralità. Interviene sulle modalità della comunicazione, dinamica ed empatica.
Diviene un atto culturale che può incidere sui comportamenti di chi condivide quel luogo di confronto.
E in più, attraverso i link ipertestuali (come è stato gia rilevato), espande la coscienza dei percorsi paralleli e intersecanti.
E ci viene in mente il Talmud, il grande commentario in cui il pensiero è concepito per ricrearne altro.
E questa citazione ci conforta

"...quando guardo le pagine del Talmud vedo tutti questi testi uno vicino all'altro, intimi e invadenti, come bambini di immigrati che devono dormire nello stesso letto, mi viene in mente la cultura frammentaria e caleidoscopica di Internet. Per centinaia d'anni, norme relative a quasi tutti gli aspetti della vita ebraica si sono spostate in volo avanti e dietro, da ebrei dispersi in un angolo remoto del mondo ad altrettanti centri di studi talmudici. Anche Internet è un universo pervaso da un illimitato desiderio di sapere, fatto di informazioni e dispute, in cui chiunque sia dotato di modem può girovagare per un pò e , lasciandosi alle spalle il caos del mondo, fare domande e ricevere risposte."
Jonathan Rosen, "Il Talmud e Internet", Einaudi

02:17 PM
non camuffarsi più per non dimenticare mai
Ieri è stato l'ultimo giorno degli incontri, oggi è il sabato, il giorno del riposo e io mi ritrovo qui a raccogliere i miei pensieri che affastellandosi mi sussurrano diversi momenti di questa settimana. Sono giorni tristi, questi, per me, coincidono con l'anniversario della morte di mio papà e, solo ora, mi rendo conto di quanto l'essermi avvicinata a questa cultura e alle sue narrazioni mi abbia costantemente riportata a quei momenti. Passati che si inseguono e rincorrono in una danza ora felice, ora spaventosa, ora semplicemente triste, storie che si narrano e tramandano per rinsaldare un contatto che sembra sempre messo in pericolo, sempre sul punto di sfilacciarsi, lasciando soli e desolati animi destinati a vagabondare. Colori, forme e disegni nei quadri di Luzzati che suggeriscono una visione adulta ma infantile della rappresentazione della Fede e della vita, sempre inevitabilmente connesse, graziosa per le sue forme divertenti ma melanconica per i colori bruni che le animano, reali ma sospese nel tempo nell'attimo che dura per sempre. L'ultimo incontro della settimana è stato con Helena Janeczek, autrice di "Lezioni di tenebra" e di "Cibo". Lei, figlia della Shoah, parla di una trasmissione quasi a livello amniotico, sentendo dentro di lei l'eredità dell'adattamento, del camuffamento e quasi dell'annullamento dell'identità ebrea a cui sono stati costretti ad arrivare i genitori per riuscire a vivere in un'apparente normalità:il tentativo, forse inutile, di annullare qualcosa perchè doloroso sebbene parte integrante del Sè.Ieri la sensazione che aleggiava nei miei pensieri si è a poco a poco concretizzata: ho letto e sentito il tentativo dolcissimo e forse infantile di questi giovani grandi vecchi di consolidare il pensiero, l'identità, la memoria, difesa nei secoli dalla frammentazione e dall'abbandono, conservata nel dolore e nell'umiliazione, incorniciata dentro una Promessa di Fede che tutto comprende e giustifica. Certo la mia esperienza non è la Shoah, ma anch'io ho vissuto la morte per cause ingiuste e sbagliate e, ammetto, la mia Fede in Dio è crollata. Mi sono sempre sentita sicura con me stessa ma ora, che ho percepito questa compattezza di spirito, questa forza d'animo e soprattutto questa fede che tutto include mi sono sentita piccola e sola. Li ho ammirati. Poi mi sono guardata intorno e per l'ennesima volta ho constatato che non c'erano giovani nè ebrei nè gentili. Vada per i gentili ma gli ebrei..perchè? Dopo questa settimana credo che una Fede così incrollabile sia possibile solo se sia parte della cultura nella quale si vive e si è cresciuti. La nostra cultura , quella dei gentili è sempre stata bighellona, inquadrata in una religione che, a parte agli inizi, e parlo di quasi duemila anni fa, non ha dato grandi esempi e si è più rifugiata più nell'apparenza che non nella profondità, costringendo chi realmente vi credeva ad avere con Dio un rapporto individuale, fino a quando l'individualità non è bastata più e i punti fermi sono spariti e la divinità si fa sempre più offuscata ed estranea. Ma gli ebrei invece, i giovani ebrei, che hanno ancora la possibilità di credere realmente e intimamente in un mondo con un perchè e un fine, dove sono? dov'erano? non avevano tempo? o non avevano voglia?O magari erano solo indaffarati e allora si perdonino..in ogni caso posso dire loro, dopo questa settimana e dopo la mia esperienza, che non vi devono rinunciare, non devono smettere di credere, loro che, forse possono ancora farlo. (morgana)

16:21
the believer e gli altri
Guido Fink ha tratteggiato abilmente un'ampia panoramica sul cinema americano rispetto alle tematiche ebraiche (il cinema italiano ha dimostrato un tardivo interesse nei confronti di quest'argomento). In particolar modo ha analizzato il film "The Believer", un film duro, crudo ma davvero interessante (consiglio la visione a tutti). Onestamente mi è spiaciuto un pò che sia stato sacrificato il dibattito sui due film proposti dal programma, ma la conferenza è risultata lo stesso interessante. La frase che mi è rimasta più impressa è una citazione da Pavese che ha definito il cinema americano come un gigantesco teatro in cui si rappresenta in maniera spettacolare il dramma della vita di tutti. Una definizione non sempre calzante ma di sicuro affascinante. (chiara)

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