MARTEDI’
1 OTTOBRE
17.15
Teatro Gobetti
Sala
delle Colonne
SEGNI/DISEGNI
mostra di lettere ebraiche
di Gloria Soriani
Presentazione di Ernesto
Pezzi
Se già altre volte l’arte
contemporanea, e in particolare quella astratta, è stata interpretata come scrittura
grafica, stenografia dell’intraducibile, si dà anche il caso di artisti, come
Gloria Soriani, che colgono nella cifra stessa degli elementi della scrittura
la base di questo sforzo di condensazione che supera il semplice intento di
rappresentare. La matrice di quest’idea è senza dubbio cabbalistica: esiste
tutta una letteratura che attribuisce a ogni singolo carattere alfabetico,
oltre che un valore numerico, una vera e propria personalità, dedotta dalla sua
forma. Tuttavia Gloria Soriani, quando ci propone queste lettere che paiono il
tronco dal quale germogliano i riferimenti agli artisti che hanno inventato
l’arte astratta, sembra voglia fare una precisa affermazione su ciò che ha
ispirato l’arte contemporanea: cioè, più ancora che una nuova concezione dello
spazio pittorico, una rinnovata fiducia nella capacità creativa del linguaggio
e delle sue forme elementari, fiducia che rammemora il racconto biblico del
linguaggio divino come strumento della creazione. La lettera può così dirsi a
tutti gli effetti immagine della creazione. Il percorso inverso ed il
ritorno, il doppio senso tra carattere alfabetico e immagine, dà luogo a
un’opera che, chiusa nei confini ben delimitati di uno spazio organico
(vegetale forse, floreale) appare una sorta di Urform della modernità.
SEGNI/DISEGNI
mostra di lettere ebraiche di Gabriele Levy
Presentazione di Ernesto Pezzi
Davanti a una delle lettere in
rilievo di Gabriele Levy, la commistione dei materiali, la presenza a volte di
microprocessori inseriti nella materia modellata, si lascia in primo luogo
interpretare come una specie di macchina immobile, un dispositivo in cui la
combinazione delle parti non può avere altro scopo che quello di un
funzionamento. Già l’attenzione che è richiesta oscilla tra due polarità: se la
scrittura in quanto tale richiederebbe più la comprensione che non la
contemplazione, un carattere alfabetico isolato dall’articolazione della
scrittura, si offre come emblema, insegna, come nodo di una relazione per il
momento assente. Ma la sua precisa identità culturale, in quanto lettera
dell’alfabeto ebraico, fa sì che l’emblema sia un segnale che indica un
varco, la possibilità di accesso a un sistema di riferimento. La lettera è una
porta, in definitiva, una soglia. Ma chi è che passerebbe attraverso una
lettera ebraica? Se si considera la scrittura come soglia, non ci può essere
che l’ebreo come passante (l’etimologia della parola ebraica ‘iVRi
significherebbe appunto “nomade”, “che passa”), e il linguaggio è il vettore
del suo esilio. Se la Scrittura è una storia di uscite e di attraversamenti,
ogni sua lettera è probabilmente una porta girevole che conduce altrove.
Le lettere di Levy, con i loro materiali, con i loro circuiti, elaborano e
custodiscono una memoria che, aldilà di esprimere un radicamento, ricorda la
distanza che ci separa tanto dall’origine quanto dalla meta.