La scrittura è una tecnologia della memoria, in quanto tale ha
attivato quel meccanismo di delega e d'automatismo che lo stesso Platone
denunciava dicendo che si sarebbe uccisa la memoria "naturale"
basata sulla trasmissione orale delle esperienze e delle conoscenze.
Abbiamo però visto come quella contraddizione si sia risolta:
la nostra capacità di memoria si è evoluta, esaltando le
potenzialità di quella tecnologia chiamata scrittura.
Da sempre ciò che definiamo tecnologia (da non intendere quindi
solo in quanto "macchina") può sottrarre e dare qualcosa.
Questo può essere un buon punto di riflessione sul rapporto che
intercorre tra la scrittura e le nuove tecnologie telematiche, rilanciando
proprio il valore della memoria intesa non solo come conservazione ma
come trasformazione ed elaborazione dell'esperienza.
Mi sembra poi riecheggiare gli scrupoli di Platore quando viene posta
una domanda legittima come: "La scrittura in ambiente digitale si
affida ad automatismi che ne rischiano l'appiattimento o sono gli automatismi
stessi che liberano nuove energie creative? Il ragionamento alla fine
dei conti si riaggancia ad una domanda più complessiva, come questa:
è possibile trovare un equilibrio tra la soggettività e
la libertà espressiva del linguaggio e l'organizzazione del discorso?
Non dimentichiamo che i percorsi della memoria non possono essere solo
lineari e sequenziali ma analogici, combinatori, organizzati in modo reticolare
per associazioni continue secondo l'automatica neurotrasmissione delle
sinapsi, l'approccio filogenetico all'apprendimento. Quel moto di libertà
psicologica può essere sollecitato, quando si riescono a coniugare
informazioni ed emozioni, come a teatro. Creare queste condizioni all'interno
delle reti, che per molti versi possono esaltare quello stesso moto combinatorio
delle libere associazioni d'idee, è uno dei campi su cui vale la
pena ancora sperimentare.
Carlo Infante
carlo@teatron.org
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