Originariamente scritto da erre
A ben pensarci c'è qualcosa che non mi torna su quanto si è detto ieri in aula: il fatto che la cultura digitale debba per forza esistere come
qualcosa di "altro", di diverso dalla cultura "ufficiale", "conosciuta", o comunque la si voglia definire.
>>>ok
non tradiamo la continuità dell'evoluzione culturale
ma è anche vero che nella storia dell'uomo vi sono degli strappi, delle accelerazioni, delle rivoluzioni (Renè Thom parla di "teoria delle
catastrofi"...)
il digitale è una di queste rivoluzioni<<<
Sono d'accordo con il primo punto chiave presentato, l'antropologia ludico-libidinale del cyberspazio: apprendere giocando è chiaramente il meglio
che uno possa augurarsi, soprattutto dando al gioco tutte le sfumature "adulte" che vogliamo attribuirgli. Che la flessibilità psicologica sia poi una
diretta conseguenza di un approccio ludico alla conoscenza, penso sia innegabile.
A questo punto il tarlo iniziale continua a scavarmi nelle meningi.
Se all'inizio della sua esistenza la cultura digitale si trovava necessariamente nella condizione di doversi proclamare "autocultura", di considerarsi
(perchè considerata) un mondo a parte, forse oggi può iniziare ad alzare il capo e a guardarsi intorno. Quello che mi domando è perchè questo sguardo
snob ad oltranza. Sembra quasi fatto apposta (e probabilmente lo è) per allontanare il pubblico mentre penso che si potrebbe passare ad una fase di
normalizzazione di questa cultura.
>>>sono d'accordo
anche se "normalizzazione" è la parola sbagliata<<<
E non intendo in senso negativo. Perchè se c'è qualcuno che studiando, vivendo, divulgando, la cultura digitale ha capito l'importanza dell'aspetto
ludico-libidinale nella conoscenza dovrebbe limitare queste scoperte al solo campo del cyberspazio?
E infatti direi che così non è: il fatto che Lei ci racconti che è stato consigliere del Ministro Berlinguer alla Pubblica Istruzione, che conosce
personalmente gli assessori della nostra città e contro di loro abbia combattuto e discusso a denti stretti è la riprova del fatto che queste scoperte
non vengono limitate al cyberspazio, ai pochi eletti che già solo per il fatto di trovarsi lì hanno forse bisogno di una guida, una specie di maestro
Jedi che incanali la loro Forza, ma certo non hanno bisogno di scoprire che imparare navigando, giocando, godendo, non fa che farli diventare dei
nomadi culturali. Appunto.
>>>detta così suona male, a mio avviso,
sembra che mi sono imbrodato di conoscenze altolocate... volevo dire che nel mio lavoro di consulenza x il Ministero della Pubblica Istruzione (quando
ancora si definiva Pubblica) o x altre istituzioni ho cercato di tradurre ciò che appariva sperimentale in qualcosa di normale...<<<
Questo approccio, dunque, si cerca di allargarlo a tutta la sfera culturale quindi cade il presupposto iniziale: la cultura del cyberspazio in fondo
non è poi così "a parte".
Quindi mi chiedo, la domanda: «Siete convinti che esista una cultura propria del cyberspazio, diversa dalla Cultura?» forse era provocatoria e nessuno
se n'è accorto? Oppure effettivamente esiste nei termini in cui se n'è parlato in aula ieri? Se così fosse tutto ciò che ho detto fin'ora varrebbe
meno di zero, ma perchè?
Una cultura indipendente esiste da sempre e penso (e spero) che esisterà sempre. Nel sesso, nella moda, nella pittura, nella scultura, nel cinema, nel
teatro esiste questa controcultura (o meglio sottocultura, intesa non come inferiore ma come parallela e un po' nascosta); così come esiste
nell'informazione. Ma siamo sicuri che la cultura del cyberspazio sia veramente un'altra cultura e non un'altra controcultura dei nostri giorni?
Certo con la scusa di avvicinare la gente alla cultura del cyberspazio il rischio che si corre è quello di fare la pubblicità di Italia 1 animata in
3D perchè fa giovane (la controcultura!), perchè è moderno, perchè così diamo un assaggio di virtualità anche a chi la virtualità forse non
l'assaporerà mai. Ma mi pare evidente che non è di questo che stiamo parlando... |