il FORUM di TEATRON.org

77

carlo - 22-12-2006 at 10:40

(input di Felice)

La faglia creativa del ‘77
Incontri, performance, eventi a 30 anni di distanza dal Movimento

Possibile percorso di incontri a cura ognuno di un possibile “specialista” avendo come obiettivo di ricrearlo in un luogo coerente con l’epoca cioè in luoghi deputati (una radio, un teatro, una scuola di musica....). Il tutto con protagonisti di allora e ragazzi dell'università di oggi preparati all'occorrenza.

1. la radio libera,
incontro con i protagonisti di allora e di oggi su la radio politica – la radio commerciale – il linguaggi (ascolto di materiali e ricostruzione dei nuovi metodi del lavoro)

2.la creatività del ’77
dagli indiani metropolitani al linguaggio della metropoli (corteo performativo di studenti di oggi e incontro con i protagonisti di allora, Beccofino, Carlo Infante, ecc.)

3.università e politica
linguaggi dell’autonomia e autonomia dei linguaggi

4. giornali arte e fumetto
nelle strade e nella politica dalle pareti bolognesi ad Andrea Pazienza

5.la musica e la performance sonora
le scuole popolari di musica, i gruppi e i laboratori

6. Lavorare con lentezza, rifiuto del lavoro e riconquista dei bisogni

7. la riscoperta del corpo, del privato, del desiderio

Appendice
- Mostra fotografica di Tano D’amico
- mostra di fumetti e tatze-bao
- filmati
- giornali e riviste

Per gli spazi
-Marotti per il Teatro Ateneo,
- la Spmt per una sala con musica e banda,
- un luogo espositivo (per esempio Esc a San Loranzo,
potrei coinvolgere giovani centri sociali e sinistra giovanile). una
postazione radio con un ponte per i 4 giorni dell'evento (dal
mercoledì al sabato).....
Sono incerta su convegni storici. Mi piacerebbe di più fare qualcosa tipo assemblea che possa unire ieri ad oggi
Il tutto "registrato" in podcast da rimandare su siti
"amici" (penso a quelli di Carlo, ma anche Liberazione o Indymedia).

qui tracce da Macerata e Udine

carlo - 22-12-2006 at 10:42

in quest'altro forum ho depositato testi e info
http://www.teatron.org/forum/viewthread.php?tid=284


apriamo il cantiere-progettuale

carlo - 23-12-2006 at 10:13


con < scrivo degli insert

Quota:
Originariamente scritto da carlo
(input di Felice)

La faglia creativa del ‘77
< La deriva del continente giovanile 30 anni dopo il Movimento che ha messo in crisi la militanza politica

Incontri, concerti, esposizioni, performance,
navigazioni, ascolti e visioni


Possibile percorso di incontri a cura ognuno di un possibile “specialista”
<
occhio ai settori (teatro, musica, radio, scritture...)
<
avendo come obiettivo di ricrearlo in un luogo coerente con l’epoca cioè in luoghi deputati (una radio, un teatro, una scuola di musica....). Il tutto con protagonisti di allora e ragazzi dell'università di oggi preparati all'occorrenza.

<
giusto
incontri all'università
conversazioni e ascolti sulle radio in radio
etc
<

1. la radio libera,
incontro con i protagonisti di allora e di oggi su la radio politica – la radio commerciale – il linguaggi (ascolto di materiali e ricostruzione dei nuovi metodi del lavoro)

2.la creatività del ’77
dagli indiani metropolitani al linguaggio della metropoli (corteo performativo di studenti di oggi e incontro con i protagonisti di allora, Beccofino, Carlo Infante, ecc.)
<
un'idea di happening di real social tagging
ce l'ho la attuo a torino a gennaio
con i ragazzi di acmos
<

3.università e politica
linguaggi dell’autonomia e autonomia dei linguaggi
<
qui è il nodo
mettiamo un cortocircuito
la questione personale-politico
con blog e biopolitica
<

4. giornali arte e fumetto
nelle strade e nella politica dalle pareti bolognesi ad Andrea Pazienza

5.la musica e la performance sonora
le scuole popolari di musica, i gruppi e i laboratori

6. Lavorare con lentezza, rifiuto del lavoro e riconquista dei bisogni

7. la riscoperta del corpo, del privato, del desiderio

Appendice
- Mostra fotografica di Tano D’amico
- mostra di fumetti e tatze-bao
- filmati
- giornali e riviste

Per gli spazi
-Marotti per il Teatro Ateneo,
- la Spmt per una sala con musica e banda,
- un luogo espositivo (per esempio Esc a San Loranzo,
potrei coinvolgere giovani centri sociali e sinistra giovanile). una
postazione radio con un ponte per i 4 giorni dell'evento (dal
mercoledì al sabato).....
Sono incerta su convegni storici. Mi piacerebbe di più fare qualcosa tipo assemblea che possa unire ieri ad oggi
Il tutto "registrato" in podcast da rimandare su siti
"amici" (penso a quelli di Carlo, ma anche Liberazione o Indymedia).

Tracce x il progetto

carlo - 2-1-2007 at 10:40

Dalla Storia alle storie
La faglia creativa del ’77: la deriva del continente giovanile.
30 anni dopo il Movimento che ha creato il cortocircuito tra il personale e il poltico.

1. Incontri e narrazioni
2. concerti e ascolti
3. esposizioni e performance
4. navigazioni e visioni

1.1 Incontri all'università: a La Sapienza (cattedra di Storia)
1.2. a Roma Tre ( Antropologia- Canevacci), al Teatro Palladium ?
in questo ambito valutare rassegna (all’interno dell’Estate Romana?) con
1.3.Marco Baliani, Corpo di Stato
1.4. Marco Paolini, Album
1.5. Benni, su Pazienza

2.1.Skiantos
2.2.Tete de bois
2.3. Ambienti d’ascolto con repertori audio (frammenti radiofonici e playlist con musiche di quei tempi)
2.4. Set radiofonico da concepire come un format costante (anche x gli incontri: potrebbe essere la chiave
X evitare la stagnazione convegnistico-accademica). Poi si vedrà se andare in onda o in podcast.
2.5. far convergere una buona sequenza di tutti questi elementi in una trasmissione di Fahreneit.

3.1. Fanzine e ta-tze-bao (mostra di macerata e altri repertori, da echaurren)
3.2. fumetti (la tavole di echaurren x lotta continua, quelle di pazienza, sparagna e Il Male…anche se arriva dopo)
3.3. Foto di Tano D’amico
3.4. integrarla con l’idea del photoblog attraverso cui far partecipare con le immagini proprie e inedite
3.5. e quella di presentare a fine 2007 la mostra delle foto raccolte on line
3.6 azioni di performing media con percorsi teleguidati via radio (città futura ?) sia via autoradio, con vetture in carovana, sia con radio portatili x happening estemporanei, tipo smartmob.
3.7. realizzazione di un geoblog con le mappe del percorso innervate di blog partecipativo
3.8. utilizzo di matrix-code per tracciare i percorsi (vedi nel blog di http://www.performingmedia.org ) e attivare link sugli smartphone (al geoblog ad esempio). E’ ciò che definisco real social tagging…

4.1. Navigazioni guidate nel web del progetto basato su blogging e podcast.
4.2. info-design della mappa emozionale basata su tag (parole chiave) come: desiderio, corpo, diritto all’ozio,
dissociazione, happening, pop, …
4.3 proiezione di film come Lavorare con lentezza e video


Ecco una traccia x un documento da condividere, da rielaborare…

carlo - 2-1-2007 at 10:41

Il Movimento del 77: l’ultima avanguardia.

Per tirar fuori la memoria del Movimento del 77 dal cono d’ombra del terrorismo, in cui è stato relegato sia per ipocrisia sia per ignoranza, è opportuno mettere in luce alcuni aspetti della cosiddetta ala creativa del movimento, in particolare quello sorto dall’occupazione dell’Università di Roma.

E’ in questo senso che va rilevata l’esperienza degli Indiani Metropolitani, da cui è possibile cogliere fortissime tensioni di ricerca che riguardavano le pratiche creative della scrittura e della performance, talmente avanzate da essere clamorosamente sottovalutate.

Eppure in molti di quei gesti è possibile trovare oggi delle chiavi per comprendere lo sviluppo di alcune mutazioni dei linguaggi e dei comportamenti: dalle scritture mutanti on line a fenomeni come le “smart mob” ( i blitz auto-organizzati via SMS). Fenomeni che riconduco in buona parte alla definizione di “performing media”: giocare le diverse potenzialità dei media attraverso azioni esemplari, per tradurre l’interattività in forme nuove d’interazione sociale, perché non diventi automatismo tecnologico.

Allora come oggi, e come sempre, lo sviluppo della tecnologia è in buona parte affidato alla mobilità.
Lo sviluppo della scrittura è affidato al fatto di poter essere trasportata: se fosse rimasta ai graffiti marmorei non sarebbe andata così lontano. Così le fanzine, veri e propri giornali d’invenzione (altro che volantini) diffusi per le piazze delle città, oltre che nei cortei che l’attraversavano, (riappropriandosene: “riprendiamoci la città”) si rivelavano come dei media straordinari veicolati dai nostri corpi in azione nello spazio pubblico.
Già Yello Biafra del gruppo punk Dead Kennedys cantava “Non odiate i media. Diventate i media!”.

Gli Indiani Metropolitani hanno fatto questo.
Sia gli slogan che le fanzine autoprodotte rappresentavano allora una pratica indipendente e irridente della comunicazione, paragonabile, per alcuni versi, a molte “ipertinenze” nel web. Azioni e dissimulazioni nella comunicazione.

Anche Maurizio Calvesi in “Avanguardia di massa” (Feltrinelli,1978) riuscì a cogliere alcuni di questi aspetti, mettendo addirittura in relazione l’inaugurazione del Beaubourg e la comparsa degli Indiani Metropolitani: “ecco due avvenimenti la cui simultaneità potrebbe essere emblematica”, dice.
Il critico d’arte sostiene poi che entrambi rappresentano “due aspetti complementari della massificazione della cultura”.
Questa analisi di Calvesi - importante, più che altro, perché allora fu l’unica ad analizzare il fenomeno, pubblicando anche l’immagine di “OASK?!” accanto a quelle di Duchamp – ci conduce dove vogliamo: in quei gesti creativi si coglieva il presagio della fine di un’epoca.

Nel suo piccolo, l’azione degli Indiani Metropolitani contribuì a sbilanciare l’asse della politica con un’opera così diffusa, così contagiante, fatta di quelle interazioni tra arte e vita già lievitate in anni di culture pop ma ormai mature per demolire le retoriche del politichese.

Sia chiaro: non si trattava di creare forme d’arte ma di amplificare i corpi e le menti in fuga dalle sovrastrutture ideologiche per liberare energie desideranti, per tradurre un pensiero divergente in azioni esemplari.


Le derive della mutazione

Gli Indiani Metropolitani nacquero da quell’amplificazione del pensiero in azione.
Spuntarono come un fungo, all’improvviso , in un habitat fertile, denso di un’umanità in agitazione.
I primi segnali di arrivarono dai Circoli Giovanili milanesi che annunciarono già nella fine del ‘76 nel manifesto “ abbiamo dissotterrato l’ascia di guerra”, rilanciando un umore che già era emerso nella bolgia della Festa del Parco Lambro.
Erano sintomi di un disordine (grande ed eccellente) che stava montando, disgregando irreversibilmente le organizzazioni della sinistra rivoluzionaria che fino ad allora avevano contenuto un gigantesco potenziale (si trattava di più di un milione di soggetti, tra i più attivi della nuova generazione).

Lotta Continua da buon gruppo “spontaneista” aveva capito per tempo, auto-sciogliendosi proprio sulla contraddizione più bruciante: il corto circuito tra il “personale” e il politico, ingestibile, più del minoritario militarismo.
Quel cortocircuito fu tale da provocare un forte e salutare disorientamento: sfondando i recinti della politica circolò nuova aria, ossigeno sul fuoco. Una fiammata di energia incontrollabile che accese il Movimento del 77.
Si riscopriva la soggettività negata dall’oggettività illusoria della politica.
I linguaggi della militanza politica si confusero così con i comportamenti pop, creando stranissimi cocktail antropologici.

Fino a quel momento tutto scorreva in alvei predefiniti, un comunista rivoluzionario era una cosa, un fricchettone un’altra. Si confuse tutto. S’inaugurò l’era degli ibridi, si avviarono le derive della mutazione.

Gli Indiani Metropolitani, noi : un piccolo gruppo nato all’interno della Commissione Emarginati (si autodefinì in questo modo per distaccarsi polemicamente dalle altre commissioni intestardite sui paradigmi della politica) dell’occupazione di Lettere all’Università di Roma nel febbraio 1977, giocarono proprio su questa confusione.
Fu un’operazione che si svolse a più dimensioni: una , quella determinante, consisteva nell’inventare slogan per lanciarli nelle assemblee ( e poi nei cortei) da chi aveva la voce più grossa (“Beccofino” fu il nostro megafono) e scriverli con gli spray su muri e con pennarelli sui “tazebao”.
Un’altra era quella di compiere atti esemplari come inscenare cortei in fila indiana come quello improvvisato per lanciare il verso “Oask?!” (il nome della prima testata di una lunga serie di fanzine... beh la prima fu "Enig/mistica" ideata con Massimo Pasquini) associandolo ad un particolare movimento delle braccia , come per nuotare. O farsi il te (o il carcadé) nei cortei, per strada, con fornelletti da campeggio.
Oppure organizzare “sabba” al Pantheon (un “rave” ante litteram). O tapparsi la bocca con cerotti. Non tanto per truccarsi (lo facemmo solo due volte) ma per spiazzare: non ci interessava la rappresentazione ma il blitz improvviso.

Il fatto straordinario era nel fatto che ogni slogan, ogni atto, ogni proclama una volta lanciato veniva preso dal Movimento, fatto proprio.
I mass-media, giornali e tv , non aspettavano altro. Si faceva colore e notizia.
E ne abbiamo approfittato: i media diffondevano il nostro virus, secondo un contagio mediatico ( “il linguaggio è un virus” dice Burroughs, ricordate?).

Le nostre azioni, i nostri gesti, gli slogan, le fanzine, erano i media che contaminavano: un’epidemia simbolica. Un successo, se dovessimo valutare con l’occhio d’oggi della pervasività mediatica.
Fu proprio per questo “successo” che il nostro gruppo dopo poco, nell’arco di due mesi neanche , si dissolse come gruppo attivo nel movimento: non si riconosceva nell’aggregazione di massa, teorizzava la dissimulazione, amava inventare linguaggi-comportamento divergenti ed essere “altrove”. Emergeva la necessità di cercare altri spazi per elaborare una propria poetica d’intervento.

Così accadde che a maggio con l’occupazione della casa in Via dell’Orso 88, la “casa del desiderio”, si trovò uno spazio in cui vivere e produrre, un luogo in cui catalizzare e sperimentare attivamente quel cortocircuito tra personale e politico ( “quanto entra il 77 nell’88?”) .
Quel luogo fu infatti più una fucina creativa che una comune: uno spazio liberato dove scambiare energie e non dove vivere vita collettiva bensì “connettiva”, come potrei affermare oggi..
Già in “OASK?!” ci firmavamo come “Indiani Metropolitani in dis/aggregazione”, dopotutto.
Rivendicavamo la nostra dimensione molecolare e psico-nomade. Un po’ aristocratica ma per fortuna autoironica, consapevole e selvaggia o ancora meglio tribale: sì, tribale. Nel nostro rigetto degli stereotipi del politichese emergeva un desiderio di altri modi di comunicare, tutti da sperimentare. Rompendo le strutture formali del discorso, flirtando tra alfabeto e iconogrammi, destrutturando il linguaggio in un modo più vitalistico e casinista piuttosto che concettuale, come invece emergeva dal collettivo “A/traverso” dei nostri fratelli maggiori di Bologna.

Le parole come gesti come virus
In questo va inscritta la pratica di usare le parole come gesti radicali, espressioni dissociate e demenziali, per spiazzare il senso comune, non solo quello dei mass-media ma anche quello di quei tanti militanti incapaci di misurarsi con l’ironia.
Il “detournement” d’impronta situazionista era infatti un modello di riferimento, avevamo letto Debord e Vanegeim, ci avevano stordito ma ci avevano segnato.
.Ma tutto era confuso, indeterminato, e per questo destinato a dissolversi, meglio: a dissiparsi .
E lo sapevamo: “... ma si , si, restiamo poesia, pura immaterialità”, diceva qualcuno dei nostri, forse Fanale.

Si stava cambiando pelle: si abbandonava la scoria ideologica ma non si acquisiva un ‘altra identità.
Si rimaneva in mezzo al guado della mutazione.
Nell’ irrequietezza diffusa si percepiva il fatto di essere proiettati in una rivoluzione antropologica che solo oggi si va delineando con il neo-tribalismo e le molteplici evoluzioni del digitale : da fenomeni come il cyber-punk che hanno segnato i primi anni novanta all’esplosione dei blog e dei wiki: gli ipertesti partecipativi che stanno diffondendo sempre più i nuovi processi cognitivi non lineari, sinaptici come il nostro immaginario in libertà.

Sta diventando regola, e non più solo eccezione radicale, il gioco libero del pensiero laterale e delle associazioni d’idee, una sorta di “automatic thinking” che libera energia creativa. Potenzialità che oggi sono inverate nel web.

Allora furono solo intuizioni magari influenzate da alcuni modelli come il Dada e il Futurismo.
Ricordo ancora l’influenza di una mostra sulle “parolibere” futuriste, e su Marinetti in particolare. Quelle immagini divennero informazioni evolutive: vissute in quella mostra si erano annidate nella mia mente come un “meme” (il principio attivo del contagio culturale e comportamentale, come afferma Dawkins) e appena s’incrociarono con gli input magistrali di Pablo e di Massimo (Pasquini) si scatenò il putiferio delle fanzine.
In quelle scritture la parola poetica trovava la soluzione d’impatto nella performatività, associata all’azione. Lo slogan, il medium più usuale della lotta politica, fu così utilizzato per la produzione di una drammaturgia paradossale, guerrigliera, radicalmente teatrale.

Il Movimento del 77 mise in campo, infatti, oltre alla conflittualità armata una guerriglia urbana performativa.
Ma attenti a non interpretarla sempre come una festa felice.
I girotondi inventati dal movimento femminista erano finiti.
La performatività neosituazionista dei blitz “indiani” esprimeva più che altro un’insofferenza generazionale: una domanda di nuove visioni, nuove parole, nuovi comportamenti. Una domanda che non trovava risposte.
Tutto questo strideva con le sovrastrutture ideologiche della politica. Ci fu non solo quel cortocircuito di cui ho già parlato, ma un tilt (quello che si provoca ai flipper quando li scuoti troppo… lo dico perché i flipper non esistono quasi più…sostituiti dai videogame).

Una rottura irreversibile con il mondo della politica proiettandosi in una deriva senza futuro: “ no future” recitava non a caso il movimento punk, sorto in quello stesso periodo.
E’ qui che si delineò quella consapevolezza d’essere “l’ultima avanguardia”; anche se altre generazioni molti anni dopo (con i movimenti della “pantera” o del “no-global”) hanno ritrovato l’energia antagonista, quello che non poteva può ricrearsi era quella sensazione di agire sulla punta del naso del mondo.

Il mondo da allora corre molto di più, sulle onde e sulle reti della comunicazione istantanea, non lo si anticipa più.
Al massimo lo si può giocare, battendolo al suo stesso gioco: quello della comunicazione globale, dissimulandola, ibridandola con ciò che c’è di più “locale”.
La tua soggettività connettiva.
Un esempio? I blog. Dalla storia alle storie, come scrivemmo allora.