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carlo
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Il Diario On Line di Arcastella. Fai NEW REPLY!
Durante la manifestazione " Arcastella"
http://ebraicafestival.it
sarà attivo un Diario di bordo concepito come percorso di memorie soggettive e costruito durante un laboratorio di scrittura on line.
Il lavoro sarà basato sull'articolazione di una scrittura pensata per il web, sia nella composizione ipertestuale che nell'uso di un forum funzionale
alle modalità connettive, di scambio e d'empatia, del gruppo di lavoro.
Il laboratorio seguirà i diversi momenti di "Arcastella" per rilevarne non la cronaca ma le sfumature, i dettagli, gli aspetti che accenderanno
l'attenzione e la riflessione.
Saranno raccolte parole chiave e formulate domande da rivolgere ad alcuni dei protagonisti e agli esperti di pratiche della scrittura invitati alla
rassegna.
Lo spirito del lavoro e la ricognizione delle tematiche si muoverà intorno a concetti cardine come il rapporto etica-estetica e
scrittura-autobiografia.
L'esperienza del Diario di bordo on line intende inoltre dimostrare come il web possa rivelarsi un ambiente di comunicazione sensibile, basato sulla
condivisione e la partecipazione.
La rete può infatti potenziare una pratica di scrittura che fa dell'esercizio della memoria soggettiva un atto comunicativo, inscritto in primo luogo
nell'alveo di un'esperienza d'intelligenza connettiva.
Ad ogni incontro le scritture prodotte verranno poi indagate e "agite" con la competenza dell'attrice Marina Bassani che preparerà i redattori per un
reading finale in cui il Diario di Bordo on line verrà presentato al pubblico.
L'incontro, in calendario per domenica 6 ottobre, farà il punto sull'attività del Laboratorio con ad una riflessione sul tema "La scrittura, la
memoria e la rete".
http://www.teatron.org/ebraica/scrittura.htm
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luca
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i grandi vecchi luminosi
Mi guardo intorno: l'età media supera i sessant'anni.
Molte facce che hanno visto molto.
Sguardi che s'incrociano contenti di fare di questa occasione d'incontro un evento.
Un fatto in cui la memoria si coniuga con la contemporaneità di un pensiero culturale che ha dato molto a tutta la nostra cultura.
Una presenza, sodale e partecipata, di numerose persone di età avanzata,
testimoni della vita della comunità ebraica a torino, rendendo evidente come Arcastella attinga a radici profonde.
Al centro dell'attenzione della giornata d'inaugurazione c'è la presenza, fisica ed evocata, di alcuni di quei "grandi vecchi" a cui questa comunità
deve molto.
C'è Emanuele Luzzati con una sua mostra che traccia le linee immaginarie delle tradizioni ebraiche.
E ci sono, evocati come numi tutelari di questa giornata d'inaugurazione, altri due straordinari "grandi vecchi", Vittorio Foa e Rita Levi
Montalcini,
Due "nomi luminosi" dell'ebraismo torinese.
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chiara
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La stessa grazia dei libri d'infanzia
Trovarsi faccia a faccia con Luzzati mi ha riportato a pagine e pagine (tutte coloratissime) della mia infanzia.Passeggiando per la mostra ho
ritrovato tra i disegni e i collage dei colori, dei volti, degli animali e soprattutto delle sensazioni che mi portavo dentro da quando ero bambina. E
questi stessi colori e tratti oggi mi hanno raccontato qualcosa di nuovo; la vita ebraica è narrata con la stessa grazia che caratterizzava i miei
libri d'infanzia. Durante la presentazione della mostra è stato detto che Luzzati è innanzitutto un pittore. La sua risposta è stata: un pittore non
ha bisogno di sapere dove va a finire la sua opera. Io ho bisogno di sapere dove vado, ho bisogno di limiti. Trovarsi davanti ad un artista che
reclama il suo essere un "artigiano dell'immagine" fa riflettere, il resto scaturisce dalle immagini che, come ci ha ricordato Luzzati stesso, vanno
viste più che presentate o commentate.
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carlo
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la via soggettiva alla scrittura del diario
Quota: | Originariamente scritto da chiara
Trovarsi faccia a faccia con Luzzati mi ha riportato a pagine e pagine (tutte coloratissime) della mia infanzia.
<<
intendevo proprio questo che hai fatto, chiara.
L'ideale è coniugare l'evento pubblico con la chiave dell'esperienza privata che può portare in superfice gli aspetti più intensi della propria
partecipazione ad una manifestazione.
Non servono cronache
anche se ogni tanto occorrono informazioni che diano quadro di riferimento.
E' bensì attraente il gioco dei diversi sguardi soggettivi che, come un prisma, riflettono Arcastella in tanti modi diversi.<<<
Passeggiando per la mostra ho ritrovato tra i disegni e i collage dei colori, dei volti, degli animali e soprattutto delle sensazioni che mi portavo
dentro da quando ero bambina. E questi stessi colori e tratti oggi mi hanno raccontato qualcosa di nuovo; la vita ebraica è narrata con la stessa
grazia che caratterizzava i miei libri d'infanzia.
<<
narrare con grazia...<<<
Durante la presentazione della mostra è stato detto che Luzzati è innanzitutto un pittore. La sua risposta è stata: un pittore non ha bisogno di
sapere dove va a finire la sua opera. Io ho bisogno di sapere dove vado, ho bisogno di limiti. Trovarsi davanti ad un artista che reclama il suo
essere un "artigiano dell'immagine" fa riflettere, il resto scaturisce dalle immagini che, come ci ha ricordato Luzzati stesso, vanno viste più che
presentate o commentate. |
<<
con il nostro gioco degli sguardi in rete
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walt
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la patina d'antichità
prima giornata... cultura ebraica è prodotti/espressioni di artisti ebrei o ci dev'essere una specifictà di contenuti, di religione? Luzzati è
pittore ebreo... e Modigliani?
Le foto e le sculture sono ebree?
... su tutto una patina di antichità come se non ci fosse presente, solo un passato più o meno lontano... anche i colori... marrone ocra giallo,
bianco e nero... cosa stanno facendo i giovani ebrei, dove sono? forse meno identificabili, meno connotati a casa ascoltano, giocano, navigano... qui
musica bellissima e un po' triste
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walt
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l'utopia di un vecchio giovane
seconda giornata
l'incontro con israel debenedetti
confesso che sapevo ben poco dei kibbuz e di quello che rappresentavano, la realizzazione di un sogno di pace e di giustizia.
dice Israel che la comune, il comunismo volontario, a cui si esce quando si vuole, non può sopravvivere senza il cemento dell'ideologia o della
religione. non basta avere uno scopo, un utilità comune...
c'è molto della nostra storia, nostra di tutti
e non solo degli ebrei... dov'è cos'è oggi l'ideologia?
l'utopia di un vecchio giovane, un sogno grande bello che tutti abbiamo per vie diverse condiviso e che oggi sembra esaurito...
e, di nuovo, i giovani? non vogliono o non possono sognare... in israele, in italia, nel mondo?
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carlo
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una vacanza fritta
l'incontro si conclude con un'ultima battuta che lascia scivolare li', con amicizia ed ironia, un signore anziano che sembra conoscere bene corrado
israel de benedetti.
"Ci vorresti tu al posto di Sharon".
Si, la storia sarebbe un'altra.
Abbiamo ascoltato un altro grande vecchio, uno di quegli uomini che nel dopoguerra non ha solo contribuito alla nascita dello stato d'Israele ma ha
sperimentato, con l'esperienza dei kibbuz, alcune delle forme più avanzate di società comunitaria.
E penso a come allora, gli anni settanta, con il mio amico massimo (terracini) si pensava di andare a passare una vacanza di lavoro e di studio
(politico), una vacanza fritta direbbe debenedetti, in un kibbuz.
quelle comunità erano un modello di riferimento anche per noi, giovani rivoluzionari metropolitani.
andavano oltre il contesto ebraico e israeliano, erano e sono (anche se è stato detto che hanno gli anni contati...) uno degli esempi più belli di
condivisione sociale organizzata.
Anche se non sono stati sufficenti per fare un popolo... come lo stesso debenedetti ha dichiarato con amarezza.
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mirko
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il testimone della memoria
capita.
capita di passeggiare per l'ottocentesca san salvario e vedere un crocicchio di persone sotto i lampioni davanti alla sinagoga
(a proposito: la forma di questi lampioni dev'essere voluta, sono incredibilmente simili ai candelieri rituali ebraici)
attendere qualcuno.
quel qualcuno sono giovanni tesio e alberto cavaglion che accompagnano tutti in una passeggiata fra il vecchio ghetto (san salvario, appunto) e il
nuovo ghetto (pza carlina e dintorni), al suono di alcune pagine, non le piu' note, di cultura e letteratura ebraica.
colpisce subito la compostezza di queste persone. ognuna nel proprio look "esatto": le donne orecchini di perla semplici come ornamenti, insieme a
camei e foulard dalle tonalita' tenui attorno al collo, gli uomini con il nodo della cravatta perfettamente equilibrato, stretto al punto giusto,
bilanciato.
forse, mi dico, tanta esattezza ed equilibrio viene da questa loro straordinaria capacita' di memoria: sanno tutto, ogni nome citato da primo levi,
dai diari di emaunele artom, ogni negozio, gastronomia, merceria tenuta anticamente da un commerciante ebraico, loro la conoscono, e la ricordano.
per non farla dimenticare, mi dico.
per mantenere viva questa rete di ricordi e persone che li ha condotti oggi qui, nel silenzio del pomeriggio davanti alla sinagoga, interrotto da una
scolaresca che passa all'improvviso.
quasi che il testimone della memoria debba passare per osmosi da loro, a noi.
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luisa
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i giardini d'infanzia
Quelli che seguono sono frammenti ricavati dagli interventi degli autori a
cui sono contrapposti gli echi che hanno prodotto al mio interno
LUZZATI - 30/09/02
Il reale non bisogna trasformarlo ma trasognarlo ... rabbino ...
idolatria... Altro...fede...arte ...figurine dell'Agada'...un pittore
ARTE = RELIGIONE = SOGNO?
DI BENEDETTI - 1/10/02
Giardino d'infanzia ... Casa dei bambini ...
In principio c'erano soltanto le guardie di notte...
Hanno spento la luce nelle case dei bambini...
INFANZIA - FAMIGLIA - SCUOLA - LAVORO ( IERI= CALORE DI UN' INFANZIA
PROTETTA- OGGI= LAVORO GRAVOSO)
Arcobaleno orientale... Haifa, Gerusalemme, Tel Aviv ...
Vacanza afflitta
ESOTISMO - VIAGGI - CIELI DORATI
Da tutti secondo le loro possibilita', a tutti secondo i loro bisogni ...
In Italia ci sono molti ragazzi che non sanno il nome dei loro nonni...
A creare un popolo ci vuole molto piu' tempo che creare un paese...
RIFLESSIONI - SENTENZE - DIDASCALIE - "ABBIAMO FATTO L'ITALIA, ORA BISOGNA
FARE GLI ITALIANI"
LUISA
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luca
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lo slang del kibbuzin
corrado israel de benedetti ci ha portato con la sua autobiografia dentro il mondo dei kibbuz, di cui è stato protagonista.
Un mondo che già nel dopoguerra sperimentava forme nuove di socialità, dove, addirittura, veniva attuato una sorta di "comunismo" che altrove si
esprimeva in totalitarismo e cieca ideologia.
In quelle comunità nascevano anche nuovi linguaggi, veri e propri slang, ultra-lingue che con termini come "bambini di fuori" (i giovani visitatori) o
"vacanze fritte" (le vacanze di lavoro) creavano di fatto un immaginario ed un codice di comunicazione assolutamente originale.
Ecco sto finalmente incontrando degli aspetti della cultura ebraica che vanno oltre lo studio del talmud.
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mirko
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i sogni non passano in eredita'
la prima cosa che mi colpisce dell'intervento di oggi di Israel De Benedetti e' il titolo: i sogni non passano in eredita'.
bella frase.
ascoltando le esperienze di vita del kibbutz, il primo cortocircuito mentale che si attiva va al libro di andrea de carlo, "due di due".
un sogno di vita che sembra simile ai miei occhi all'atmosfera e alle aspettative del protagonista del romanzo: la voglia di costruire qualcosa con le
proprie mani e di gustare quella sensazione di appagamento di chi si volta indietro e vede, sostanziato, il risultato di tanti sforzi.
Israel dice che cio' che tiene unita una comunita' di persone come il kibbutz non e' altro che la religione, unica vera forza unificante.
penso alle comunita', ai villaggi abitativi senza storia di cui parla Jeremy Rifkin (a proposito, sara' di origine ebraica ?) nel suo "L'era
dell'accesso".
comunita' di interesse che si autocostituiscono come indipendenti, fondate su una logica commerciale, spesso con leggi "private" autocreate, con il
solo scopo di condividere uno stile di vita.
vivere in un certo modo, secondo certi mood.
ha un senso questo cortocircuito?
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carlo
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l'ironia per la teodemagogia
quel buco nero che incornicia Marina Bassani nella messinscena del testo di Kolitz
http://www.teatron.org/ebraica/eventi/yossl.htm
mi appare come un emblema.
La soglia tra il bene e il male, il punto critico di un atto d'accusa a Dio per aver permesso che accadesse del male.
Nell'incontro che è seguito allo spettacolo
http://www.teatron.org/ebraica/eventi/altissimosilenzio.htm
la battuta caustica di stefano Levi Della torre, in perfetto humour yddish, sottolinea il paradosso: " ma tu credi in Dio?" e l'altro ebreo risponde:
"figurati dopo tutto quello che m'ha fatto!".
Dopotutto anche Abramo, Mosè, Geremia, Giobbe, litigano con Dio. Ci fa notare l'ispirato Paolo De Benedetti.
Una serata densa, istruttiva, che fa riflettere su come il divario tra il divino e l'umano sia grande e irto d'incongruenze
Un divario in cui il mondo ebraico sa trovare delle chiavi interpretative in più di tanti altri.
Anche perchè sa ironizzare con ciò che è stata definita, genialmente, la "teodemagogia".
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alan biko
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e ed elle
Eccomi qua insediato in questa scrivania virtuale a tracciare le mie note, raccogliere la mia memoria personale, i percorsi del pensiero dopo i
quattro passi fatti nell’arcastella. E nel farlo, nel raccogliermi per stilare (o stillare) un breve consuntivo di queste prime giornate, mi accorgo
che mi bastano due lettere, una e ed una elle. Forse sarà la voglia di chiudere velocemente il collegamento e riposare, vista la piccolezza dell’ora.
E può anche essere che la mia attività onirica sia già in moto, eppure questa sintesi estrema è molto calzante ed esauriente. Dunque, e ed elle sono
le iniziali dei due personaggi, forse due giusti, che hanno aperto e chiuso, finora, questo primo giro. L’inizio è di Emanuele Luzzati, ça va sans
dire. Avevo già visto, con piacere, molte delle sue opere, ma ieri ciò che mi ha colpito è stata la sua figura “rotonda”, mi sembrava, lui mi perdoni
se lo scrivo, un fumetto, un geppo, un poldo, una tenerezza ambulante. Soprattutto però, lo ringrazio delle sue parole semplici, laiche, artigiane:
“devo sapere quello che vado a fare”. In mezzo ai discorsi di arte ebraica sì arte ebraica no, il suo mi è sembrato un contributo chiarificatore. Ne
discutiamo però in un altro momento, perché apre a un ragionamento che già coinvolge il secondo personaggio che si è impressionato nella mia memoria
personale, un altro e ed elle: Emmanuel Lévinas. È già qualche anno che occasionalmente, ma sempre appassionatamente, lo cerco, lo leggo, lo incontro
casualmente (?) e sento come il suo pensiero sia diffuso tra “uomini di buona volontà”. Certo era scontato che lo percepissi qui al festival, dato che
gli dedicherà anche un incontro giovedì, ma è sempre una lieta sorpresa per me vederlo citato, seguito, ascoltato. Infatti il suo nome ricorre più
volte nel catalogo della rassegna, chiamato in causa da Ernesto Pezzi e, di rinterzo, da Yossl Rakover. Sì, vado a dormire felice del “miracolo
dell’esistenza”, come ci invita a fare Stefano Levi Della Torre, e ringrazio e ed elle, che messe assieme formano una parola ebraica. EL, che si può
tradurre con la parola italiana: dio.
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chiara
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Ascoltare i racconti sulla vita e le tradizioni del Kibbutz mi ha affascinato. Soprattutto mi ha colpito l'idea delle case-dormitorio per i bambini;
l'idea che i bambini dovevano vivere in spazi adatti a loro e che i genitori fossero educati a dedicare del tempo ai propri figli. L'idea era quella
di formare-formarsi a vicenda, di educarsi collettivamente. Senza voler con questo dare giudizi sul metodo, sul modo di concretizzare queste idee,
rifletto su quello che accade oggi e mi domando perchè quando c'è la libertà di dedicarsi del tempo senza delle scadenze prefissate (nel kibbutz i
bambini erano a casa dalle 4 alle 6 o alle 8 e nelle feste comandate) il tempo ci serve sempre per altro. In fondo idealmente anche le case, i nuclei
familiari sono dei piccoli kibbutz, dove tutti collaborano in qualche modo e convivono più o meno serenamente. Eppure quel tempo che ci si dovrebbe
dedicare resta quasi sempre nei buoni propositi o negli sporadici incontri ai pasti.
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morgana
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lunedì 30 settembre, ultimo giorno del mese ma primo giorno di full immersion in una cultura a me, giovane studentessa non ebrea, per lo più
sconosciuta.Mi colpisce il contrasto tra il fatto che la curatrice artistica non sia ebrea e che sia un tattile e corposo filo conduttore religioso ad
avviluppare l'atmosfera. Luzzati, divertito e delicato, illustra i momenti pregnanti della Fede con colori uniformi che sembrano reccontare un passato
spasmodicamente conservato e mai del tutto trascorso ma ancora e per sempre aleggiante. Scopro che arte e Fede hanno la stessa radice etimologica e,
da buona occidentale abituata a una compenetrazione continua e inestricabile di una nell'altra, inevitabilmente mi stupisco..Buffet d'inaugurazione:il
cibo stesso parla della meticolosità con cui si conservano e rammentano, continuamente, i precetti secondo cui rapportarsi verso il mondo, verso Dio o
verso se stessi, il che sembra un unico processo.
Secondo giorno:incontro con Israele de Benedetti un giovane troppo invecchiato che racconta la sua esperienza in kibbutz,commistionando dolcezza a una
chiarezza espositiva eccezionale che nasconde il peso dell'età, della delusione per aver visto infranto il desiderio di tramandare la sua eredità e
lascia però intravedere un desiderio costante di non gettare mai la spugna e di non perdere mai le speranze.Il kibbutz stesso esplica quel desiderio
di creare una coscienza collettiva per preparare le basi per una futura memoria collettiva che diventi quasi più pregnante di un qualsiasi presente:un
nome unico assunto per tutti i bambini di una stessa classe che lo conserveranno per tutta la vita,un'educazione collettiva e una presenza dei
genitori a singhiozzi(solo in alcune ore della giornata e nelle feste comandate)e, senza esprimere giudizi ma soloun'ammirata constatazione, una
presenza instradata, in quanto i genitori stessi apprendevano come rapportarsi con i propri figli, quasi per rendere più utile il tempo. Ma il tempo
dov'è?cos'è?. Ore 21, Teatro Gobetti:Marina Bassani interpreta il testo di Yossl Rakover che si rivolge a Dio dopo eterne sofferenze patite sotto il
Nazismo, ma ancora ricco di Fede, tenace difensore di ciò che il suo Dio aveva in tutti i modi cercato di strappargli invano. E' il discorso non di
uno schiavo al padrone ma di un allievo al suo maestro che pretende riconoscimenti senza mai travalicare nell'ira o nella mancanza di rispetto. Il
testo, considerato un'autobiografia, è in realtà opera dell'abile mano di uno scrittore ma nessun ebreo ha mai voluto riconoscerne
l'autorità,continuando a considerarlo prototipo di una condizione comune. Non è l'individualità occidentale ma la collettività a essere protagonista.
Ancora una volta mi stupisce questa volontà ostentata di attorciliare tutta l'esistenza intorno alla Fede, per poi esplicarla in ogni singolo momento
della giornata.Mi affascina la costanza elegante e precisa che, nella nostra società attuale mi sembra dissolversi per altri valori.
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walter
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alan biko
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Franz e Rosenzweig
alla scoperta di Franz Rosenzweig, altro filo della "trama ebraica" nella filosofia moderna.. antico e moderno, cioè più che contemporaneo.. nato
"assimilato" nella Germania di fine 800, ebreo ritrovato dopo la Grande Guerra, morto da gran rabbino nel 1929, a soli 43 anni e dopo che per sei
lunghi anni, causa la malattia, riusciva a comunicare solo indicando le lettere, una ad una, e infine solo col movimento delle palpebre. Così ha
scritto centinaia di lettere, decine di articoli, un saggio ed ha avviato insieme a Martin Buber la traduzione in tedesco della Bibbia.. ebreo
e(sottolineato) tedesco, non ebreo o tedesco, come gli chiesero un giorno. Rifiutava questa scelta obbligata perché, diceva, solo Dio può chiamarmi a
una scelta del genere e solo allora deciderei per l'uno o l'altro, ma qui, ora, sono libero di far convivere le due condizioni, posso aver cura e
parlare con e per entrambe.. sottiglienzze linguistiche: e, o; sfumature che però diventano elemento fondante del suo pensiero, che pone la filosofia
come dialogo (sottolineato), come qualcosa di vivo che nasce dal confronto, l'incontro.. Socrate, Platone, certo, ma anche Schopenhauer, Nietzsche, il
suo amico Buber, che nel rapporto dialogico Io-Tu intravede l'essenza stessa del nostro rapporto con la divinità, la div"ina Alterità.
Ne La stella della redenzione" Franz Rosenzweig ci invita a vedere il momento della creazione dell'uomo non quando gli fu ispirato nelle narici il
soffio vitale (Gn 2,7), ma quando Dio chiamò l'Adamo nudo e vergognoso che si nascondeva nel giardino dell'Eden: "Dove sei?" (Gn 3,9). E più avanti
(Gn 22,1) Abramo rispose: "Eccomi"
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Luca Borello
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Franz Stangl
Quando Maria Pia mi ha chiesto di scrivere sei righe di impressioni personali sull'incontro dedicato a Gitta Sereny, ho pensato che avrei doviuto
scrivere qualcosa sul dolore. Certo non sei righe: può darsi cinque, o dieci, perché il dolore a volte è come una bestia di gomma e granito che si
contrae e si espande e non sta mai dove credi che sia, a volte basta una parola per descriverlo e a volte diecimila non sono sufficenti.
Come descrivere qualcosa che neppure se appartenesse a te riusciresti a spiegare esaurientemente?
Ognuno ha il suo dolore. Anche il "boia di Treblinka", Franz Stangl, una giovinezza trascorsa a tessere e suonare la cetra e navigare su una piccola
barchetta a vela. E proprio questo che Gitta Sereny ha scovato penetrando nella personalità del comandante di Treblinka: il dolore e la paura, due
cose che (almeno allora) nessuno si sarebbe aspettato di trovare in un "mostro".
Se esiste differenza tra dolore e dolore (cioé se c'é un dolore che merita di essere compatito più du un altro, che "vale" più di un altro), questa é
data dalla responsabilità. Stangl é responsabile del proprio dolore, e di quello delle sue vittime, che non hanno goduto della possibilità di
scegliere. Stangl é dannato, ha scelto e si é meritato la sua sofferenza, emersa al lento sgretolarsi delle menzogne dietro cui aveva tentato di
nascondere la verità. Eppure, almeno a me, la storia di quel boia ha suscitato uno strano miscuglio di rabbia e compassone: rabbia per le sue gesta
fredde e atroci, compassione perché egli stesso si é precluso ogni possibilità di redimersi.
Franz Stangl era un mostro? Se crediamo che i mostri siano capaci di soffrire, o pensiamo che Stangl non faccia che mentire, rispondiamo pure di sì e
voltiamo pagina.
Credo che non si tenga mai abbastanza in considerazione la nozione di "banalità del male", perché é più facile credere di essere immuni dal "male" se
si é convinti che a compierlo siano solo dei "mostri" disumani e privi di sentimenti. Eppure la storia del Terzo Reich dimostra che il veicolo più
sicuro e rapido con cui il "male" si propaga e si rafforza é costituito proprio dalla mediocrità degli animi. Non (almeno non solo) la disillusione,
la frustrazione, l'avidità o l'egoismo. Ma l'accidia, l'inerzia, la cecità, il disinteresse, il "quieto vivere", fanno in modo che il male,
l'ingiustizia non rappresenti altro che uno dei tanti elementi della quotidianità, cui ci si può tranquillamente abituare. E una volta abituati, é
molto facile prendervi parte.
Per questo io non mi fido tanto di certe "brave persone", dei "bravi ragazzi" puliti, per bene e "normali": spesso sono proprio loro quelli che
riescono a vivere all'inferno senza accorgersene neppure. Sono loro gli ingranaggi bene oliati del sistema, e sono loro che in fondo temo di più.
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walt
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Le bellissime ex-bambine
maria pia presentando Lia Levi ha riconosciuto in lei una qualità molto ebrea, il non arretrare mai di fronte alle difficoltà che la ricerca della
verità comporta, l'affrontare anche le ambiguità che questa ricerca comporta...
Lia Levi è apparsa come un'altra bambina d'età, solare e spiritosa... e la bambina che ha raccontato, stasera e nel suo libro che non ho ancora letto,
sembra incarnare tutto il mondo dell'ingenuità, infantile e non, che vive le grandi tragedie della storia con leggerezza come fossero commedia...
alcune bellissime ex bambine sono state stimolate a rievocare anche loro come vissero, o adesso sentono di vaer vissuto, le leggi razziali alle
elemenatri o al liceo... c'era anche un po' di commozione mentre si scambiavano appunti personali pure in delicato contrasto... il potere della vera,
autentica autobiografia... bambine che sono state 'protette' dai genitori per salvarle dal peso della vita...
ho ripensato alle case dei bambini scoperte solo poche ore fa, altri figli protetti lasciandoli in qualche modo più liberi, nel nome di una utopia
originata dalla sofferenza.
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mirko
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culture forti, meticciato, identita' e differenza
una frase, dall'apparenza marzulliana, ma che in realta' nasconde qualcosa di forte:
l'amore cambia la vita, la vita cambia l'amore
piu' o meno questa, pronunciata da Lia Levi che richiamava quanto scritto da Maria Pia presentandola sul catalogo di Arcastella
e' questo il frammento piu' interessante dell'incontro, a parer mio, perche' si inserisce nel discorso del "misto", che in questo festival, ancora,
non avevo colto.
e cioe': abbiamo discusso di ebrei, di gentili, ma non di unioni fra i due insiemi sociali, non delle intersezioni risultanti.
e' un nodo problematico affascinante, ci arriviamo attraverso il film di Benigni, "la vita e' bella". esistono lati del mondo ebraico che ne hanno
contestato la semplicita' con cui all'interno del racconto viene vissuto e portato avanti nonostante tutto l'amore misto fra benigni e nicoletta
braschi. lui ebreo, lei gentile.
probabilmente e' vero, la realta' era diversa, ma il film e' un poema, e come tale qualche licenza e' lecito concedergliela.
ma il punto e' ugualmente interessante: il meticciato come nodo problematico, soprattutto nel momento in cui si adotta la scellerata politica delle
leggi razziali.
allora scatta il cortocircuito fra memoria e attualita': che differenza passa fra i problemi di integrazione "imposti" dall'alto nel 1938 (erano tutti
italiani, stessa cultura, forse fino al mese prima delle leggi razziali alcuni ignoravano addirittura che il vicino di casa fosse ebreo) e quelli
invece "generati" dal basso di oggi ? (basso= incontro/scontro fra culture in origine diverse, basso= ignoranza dell'alterita')
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holeideescure
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l'utopia dell'ostrica
ricordo un giorno a scuola, tra varie parole ne sentii una sconosciuta: "utopia" ingenuamente chiesi qual'era il suo significato.
la risposta fù approssimativa ma affascinante: "utopia è un sogno irrealizzabile". talmente affascinante che più avanti davanti a mille libri a mille
lire, di quelli della newton, ne scelsi uno con quel titolo, non conoscevo l'autore, era un certo thomas
more. leggendolo ho scoperto che lui aveva inventato quel termine per descrivere un'isola inesistente, un paese ideale dov'era proibita la proprietà
privata e il lavoro era obbligatorio per tutti... inevitabile pensarci sentendo parlare di kibbutz. anche se questi esistono. scopro però che il loro
destino è segnato, è finita l'era dell'abbondanza. sono state chiuse le case dei bambini per volontà delle mamme che volevano i figli sotto le proprie
ali. si è sgretolato un pezzo di quell'isola, cementata dalla religione, si va verso la privatizzazione e i giovani fuggono in città... non è
difficile capirli: un discorso è scegliersi un destino, un altro trovarselo addosso... a narrarci questa storia, la sua, è israel
de benedetti, un vecchio sognatore. mi fa venire in mente il principe di salina, un nobile decaduto. anche lui, come l'ostrica, legato al
suo scoglio.
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morgana
Junior Member
Risposte: 4
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Come i tentacoli di una piovra.
Mentre Lia Levi raccontava i suoi due libri "Una bambina e basta" e "L'albergo della magnolia" due sono stati i momenti che ho sentito infrangersi
dentro di me come un urlo. Il primo ha coinciso con il momento nel quale Lia raccontava la gioia infantile e innocente con la quale, da
bambina,apprende di non poter più frequentare la scuola normale:ho sentito l'eco di una risata spezzata,improvvisamente,dalla disillusione
nell'apprendere di doversi iscrivere alla scuola ebrea, ignorando e senza concepire che la semplice esistenza potesse essere fattore discriminante. Ho
visto una macchia di inchiostro nero violare una pagina bianca di un libro ancora da scrivere di una bambina delle elementari, ho percepito
l'inquietudine subentrata rapidamente alla gioia ignara per le frasi dette a metà e sussurrate dai genitori,nel tentativo di mascherare l'orrore,ma
che,in realtà,seminavano solo incertezza e dubbi a chi, come Lia, percepiva l'atmosfera senza riuscirne a trovare i perchè.
Il secondo momento invece è stato identificato dal secondo libro, autobiografia solo per quanto riguarda l'eco delle sensazioni ed emozioni percepite
e assorbite da Lia in quel periodo e poi trasfuse e distribuite tra i personaggi di un'esperienza che non è stata propriamente la sua, ma che è stata
vissuta quasi empaticamente:un uomo ebreo che vive da 20anni in Israele in un kibbutz ripercorre la sua vita, illuminata da un amore che è stato dalla
vita stessa modificato, trascorsa in un mondo Altro che lo aveva inghiottito, annichilito e quasi del tutto digerito: costretto a disconoscere la
paternità su suo figlio affinchè non venga inserito nella lista delle classi di bambini misti, incrociati o meticci, grazie all'influenza e potere che
detiene la famiglia"gentile" della moglie, esponente di un'importante famiglia cattolica romana. Ho sentito il disperato tentativo di trovare un
perchè o un origine che giustificasse tutto ciò e l'unica conclusione che ho raggiunto è stata che per noi, o per lo meno per me, troppe sfumature
quotidiane sono date per scontate e i fili che intrecciano i nostri passati con i nostri molteplici presenti possono permettersi di essere meno saldi,
quasi come se fosse garantita una sorta di continuità di fondo. Il mio pensiero si è poi spostato al protagonista, figlio di un popolo che per secoli
ha dovuto soffocare il proprio orgoglio, nascondere il proprio nome ma che è riuscito a non perdere mai di vista il proprio punto di partenza e di
arrivo. Improvvisamente, sebbene possa apparire buffo, nella mia mente ha preso forma l'immagine di una piovra, con lunghi, intrecciati e sfilacciati
tentacoli, che si muoveva agitandosi nel silenzio delle profondità marine, solo apparentemente qiuete, nell'estremo ma ormai noto per la sua stessa
natura, tentativo di non perdere l'origine, il senso e il valore di ogni singolo prolungamento della sua essenza. Questa è la sensazione che mi sta
comunicando questo festival:indicibile tenacia, perseverante ma critica Fede e soprattutto una coerenza nuova, intima e collettiva insieme che, anche
se si sfilaccia nel tempo e per il tempo, non tarda a ricostituirsi. (morgana)
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mirko
Member
Risposte: 43
Registrato il: 11-4-2002
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OT: info di servizio
informazione di servizio: oggi purtroppo non posso essere con voi all'espace perche' mi ha convocato d'urgenza il distretto militare per oggi alle 16.
essendo dall'altra parte della citta' dubito di arrivare in tempo, comunque cerchero' di arrivare lo stesso appena posso.
scusate ancora il disguido, ma devo assolutamente accertare che vogliono, non vorrei che avessero combinato qualche guaio.
posto qui xke' mi spiace non esserci ma non saprei come avvertirvi diversamente non avendo i vostri num di tel.
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chiara
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Risposte: 6
Registrato il: 30-9-2002
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frammenti
All'incontro con la partecipazione delle donne presenti è stata commovente. la scrittrice lia levi ha raccontato la sua infanzia, che è poi l'argomento del suo libro "una una bambina
e basta", di come ha vissuto la terribile vicenda delle leggi razziali con gli occhi di una bambina che non si rendeva conto di quello che
succedeva attorno a lei. i genitori, nel tentativo di proteggere i figli, non spiegavano loro perchè non potevano frequentare la scuola dove erano
stati alunni fino a quel momento. molte signore in sala hanno raccontato la loro esperienza, il loro vissuto, il loro passato da bambine ignare e la
loro successiva presa di coscienza. è stato un momento molto emozionante per me, dai loro racconti trasudava la "storia vera", non i fatti storici da
manuale ma come le cose venivano vissute da chi troppo spesso non viene considerato: dai bambini.
e mentre queste donne si raccontaveno e condividevano con noi dei momenti così intimi ho pensato alla definizione che lia levi ha dato della scrittura: un far emergere le emozioni che ti hanno
condizionato e che ti hanno reso quello che sei, un dare ordine al vissuto. e ho pensato che (comunque) queste emozioni andrebbero davvero condivise
con la scrittura, con il dibattito, con il racconto (come è successo oggi), per regalare un pò del nostro essere individui agli altri
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carlo
Amministratore
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Registrato il: 10-3-2002
Provenienza: roma
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il pensiero che produce pensiero >>>gli interventi CONTINUANO nella pagina2!!!
L'incontro con haim baharier
http://www.teatron.org/ebraica/curricula/Haim%20Baharier.htm
mi spalanca una finestra sul pensiero di levinas,
http://www.emsf.rai.it/scripts/documento.asp?tabella=brani&id=143
da considerare ben più di un filosofo.
anche perchè nella tradizione ebraica non c'è filosofia: c'è pensiero che produce pensiero.
e quel pensiero ha senso se si fa impegno, inteso sia come atto mentale che etico, nonchè presa di coscienza ecologica.
Il pensiero quindi oltre a determinare conoscenza determina il comportamento, tanto per sintetizzare un percorso intricatro e affascinante che passa
per il laborinto dei commentari propri del talmud.
E quando levinas esorta la sua comunità dicendo: siate un popolo colto, non pensa alla cultura delle sovrastrutture ma a quella che cementa
l'identità, non quella individuale ma quella collettiva.
Un'altra lezione magistrale. Che mi fa ronzare la testa e correre in libreria a cercare i suoi testi.
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