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Sarah
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Imparare giocando
Nel suo libro l'ha citato già tante volte. Non appena riesco a ritagliarmi un pò di tempo libero (è iniziata la preparazione per gli esami della
sessione estiva, compreso il suo) lo acquisterò, era già mia intenzione.
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Sarah
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intervista a Sherry Turkle
Riporto il testo di un’intervista a Sherry Turkle
Virtuale e reale, reale e virtuale. Quasi un'ossessione nel pensiero di Sherry Turkle, sociologa e psicologa al Massachusetts Institute of Technology
di Boston. Così come ricorrente nel pensiero della Turkle è il concetto di opacità. Secondo la studiosa, considerata tra le maggiori esperte mondiali
dei processi sociali generati dai media, la nostra società è sempre più imperscrutabile nella profondità delle cose e visibile, quasi riflettente, in
superficie. Per spiegare il concetto la Turkle usa la similitudine delle interfacce grafiche. Una volta, con i vecchi sistemi operativi l'interazione
uomo-macchina era più trasparente anche se più difficile. Però chi possedeva qualche nozione tecnica poteva seguire i processi che avvenivano
all'interno della macchina. Con l'avvento dei sistemi operativi a icona (Machintosh e Windows) tutto è diventato molto semplice in superficie e molto
complesso in profondità. Con il mouse spostiamo cartelle e file dall'aspetto di foglietti e non ci accorgiamo dei comandi spesso complicati che
impartiamo alle macchine.
Con Sherry Turkle, che per Apogeo ha pubblicato La vita sullo schermo, abbiamo avuto un breve colloquio via Internet sui temi dell'educazione e della
scuola.
Parliamo di reale e virtuale. Nel suo libro, "La vita sullo schermo", lei spiega il concetto di opacità e lo descrive facendo una geniale similitudine
con i computer e le interfacce grafiche. Crede che gli insegnanti di oggi e di domani dovranno aiutare gli studenti a districarsi nei meandri di
questa società sempre più complessa e trovare la trasparenza e a distinguere realtà e virtualità?
Credo sia importante che gli insegnanti aiutino gli studenti a comprendere la vera natura della simulazione. Quando uno studente "gioca" con SimCity e
poi dice che "alzare le tasse porta necessariamente a delle sommosse popolari", è cruciale poter spiegare a quel bambino che questa simulazione, con
le sue specifiche "regole" corrisponde a un microcosmo virtuale ma non necessariamente al mondo reale.
Un altro problema riguarda la percezione da parte dei bambini del reale e del virtuale. Recentemente ho passato una vacanza-in Italia con mia figlia.
Siamo stati al mare e abbiamo visto una medusa nell'acqua. A un tratto mia figlia ha gridato: "Guarda mamma, una medusa, è così bella, sembra vera!"
Abbiamo riso tutti, ma c'è stato anche un po' di imbarazzo.
Che cosa pensa del computer in classe? E' importante per insegnanti e studenti usare al meglio le tecnologie o cercare di creare nuovi modi di
insegnare servendosi di quell'incredibile medium che è il personal computer?
La cosa più importante che offrono i computer è quella di aprire le porte a una concezione costruzionista dell'educazione. In altre parole i computer
riescono a far agire e costruire i bambini; e i bambini, costruendo, imparano meglio. Allo stesso tempo sono convinta che è sbagliato utilizzare le
nuove tecnologie con la vecchia didattica.
Internet è entrata anche a scuola con ottimi risultati. Ma ci sono anche alcuni problemi, tra i quali quello della ridondanza dell'informazione. Le
notizie sono troppe, spesso false, e i ragazzi possono perdersi. Lei pensa che l'insegnante dovrà aiutare gli studenti a districarsi in questo
ginepraio?
Assolutamente sì, l'insegnante dovrà aiutare i ragazzi a scegliere le notizie. Quando Internet arriva a scuola, l'obiettivo più importante è quello di
diventare un utente intelligente, capace di scegliere l'informazione presente sul Web. Proprio per questo abbiamo bisogno di una cultura della
simulazione.
Con l'introduzione delle nuove tecnologie a scuola qual è il ruolo dell'insegnante?
Gli insegnanti hanno e avranno un ruolo cruciale e il computer non toglierà loro il lavoro. Anzi, la mia esperienza testimonia esattamente il
contrario. Nelle classi dove si fa uso intensivo del computer vi è maggiore bisogno di insegnanti.
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Sarah
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Intervista a Janet Murray a Torino durante l’edizione 2002 della fiera del libro
Intervista a Janet Murray
a cura di Massimiliano Colletti
Abbiamo incontrato Janet Murray a Torino durante l’edizione 2002 della fiera del libro, dove insieme a G. Longo, C. Infante, J.R. Balpe e F.
Antinucci, ha parlato del tema della Scrittura mutante. L’abbiamo incontrata ancora sulla rete dove ha accettato di rispondere alle nostre domande.
Pensando al concetto di “Scrittura Mutante” viene in mente il rapporto sempre più presente tra scrittura e gioco tanto che ha portato qualcuno ad
affermare che la miglior storia di avventura dei nostri tempi sia Tomb Raider. Ci può spiegare in che senso queste due cose siano collegate e come la
letteratura cambi alla luce di questi nuovi collegamenti?
C’è un continuum nello storytelling che si estende dalle prime forme della tradizione orale fino alle emergenti tecnologie dei nostri giorni. Lo scopo
e il piacere dello storytelling rimane lo stesso: capire la correlazione delle molteplici forme di esperienza, condividere le nostre personali
conclusioni, apprezzare la ricchezza delle percezioni e dei desideri umani. Ogni nuovo medium espande la nostra abilità di raccontare storie, di
capire il senso della vita, e di condividere la nostra soggettività nonostante le differenze di coscienza, di cultura e di tempo. La stampa ci ha
permesso di rappresentare la coscienza stessa incrementando precisione e dettagli, e allo stesso tempo di rappresentare anche l’interconnessione di
complesse culture urbane. I film e la televisione ci hanno permesso di raccontare storie che non sarebbero potute essere comprese nella stampa,
inclusa «forma lunga» delle serie televisive, che coinvolgono, per centinaia di ore in drammatiche situazioni, sempre gli stessi personaggi.
Allo stesso modo che la cultura della stampa ci ha portato ad una comprensione del mondo, un ordine di comprensione che modella tutte le cose, dal
nostro corpo al sistema solare, alle dinamiche familiari, come un sistema di agenti interconessi. Un libro o un film lineare non è il modo migliore
per ritrarre un mondo che vediamo come un sistema. Libri e film sono diventati sempre di più come giochi durante gli ultimi decenni anche prima
dell’avvento dei giochi elettronici. I racconti di Borges sono un buon esempio di questo andamento. Così sono anche quei famosi film in cui l’eroe
torna indietro nel tempo per cambiare lo sviluppo degli eventi.
I giochi appartengono allo stesso momento nella cultura. Si sviluppano dallo stesso impulso di raccontare storie; ci permettono di rappresentare
l’esperienza della seconda possibilità, la stessa cosa con scelte differenti.
Ha parlato più volte di Storytelling: potrebbe spiegarci che cosa intende con questo termine e che posizione ricopre nel mondo della letteratura?
Lo Storytelling precede la letteratura. Include la cultura orale e la letteratura nel senso più ristretto, riferita a storie che sono state
trascritte. Lo Storytelling è il temine che comprende tutto.
Lo Storytelling è anche un’abilità cognitiva che costituisce una parte cruciale della nostra umanità. Noi organizziamo il mondo in passato, presente e
futuro; vediamo gli eventi come manifestazioni di causa e effetto. La storia non è soltanto una sequenza, ma una sequenza con una causa. Raccontare
storie è una maniera per predire le sorti del il mondo e modellare i comportamenti. Questo è stato vero per i primi essere umani e deve averli aiutati
ad evitare di diventare cena per animali predatori e allo stesso tempo li ha aiutati a trovare il modo per procacciarsi il cibo. Ma questo è vero
anche nelle nostre più complesse società in cui di fronte a buone e cattive esperienze reagiamo tessendoci una storia intorno, collegandola a qualche
genere di Storytelling, a qualche modello condiviso di comprensione.
La letteratura fornisce storie-modello che focalizzano l’attenzione su di un più ampio raggio rispetto agli aneddoti che condividiamo tutti i giorni
con la nostra famiglia o con gli amici. Queste storie sono mutate dall’essere state raccontate più volte e si sono affinate nella trasmissione.
Vivono dentro i confini del loro campo semantico (la commedia, la tragedia, il melodramma, l’intreccio amoroso) collegato con l’incessante
Storytelling di oggi e del mondo antico, che sono parte dell’esperienza umana.
La mia idea è che allo stato attuale della ricerca nel mondo digitale non ci sia niente che possiamo veramente leggere e considerare come una buona
storia. Ho visto sì, molti passi avanti nel senso delle tecnologie per la scrittura, che apportano cambiamenti nel modo con cui leggiamo le storie
(per esempio gli esperimenti proposti anche a Torino da Balpe), ma niente che aggiunga veramente qualcosa di nuovo dal punto di vista qualitativo.
Questo potrebbe essere vero anche se non mi sembra giusto paragonare una tradizione che vive ora la sua infanzia con un’altra che è stata formata da
più di cinquecento anni di pratica (per prendere in considerazione solamente la tradizione di stampa Occidentale). La cosa interessante da osservare è
l’elaborazione delle convenzioni espressive; nella televisione interattiva e nei giochi io vedo molte convenzioni che potrebbero portare a
significative forme di Storytelling che avranno forse la stessa forza della letteratura.
Per esempio i giochi sono sempre stati prevalentemente dominati dal tipo «spara-spara» o di combattimento. Ma recentemente un tipo diverso di gioco
sta diventando molto diffuso. Il gioco più diffuso del mondo è The Sims di Will Wrights prodotto dalla Maxis. Questo gioco non ha niente a che fare
con armi e combattimenti, il suo scopo è quello di gestire una casa borghese. E’ la traduzione di una storia del diciannovesimo secolo in formato
interattivo.
Tra le cose che avvengono nel gioco quella che preferisco è quando i personaggi si scambiano grattatine sulla schiena o si fanno massaggi. Quando
questo avviene tra due personaggi la loro relazione ne trae giovamento ed entrambi sono più felici. E’ soltanto una piccola cosa ma credo sia un buon
esempio di come gli ideatori di giochi stiano riflettendo in termini di trame familiari e di come stiano inventando strumenti diversi con cui
descrivere il mondo.
Nell’ambito della televisione interattiva, sono molto affascinata dalla possibilità di realizzare documentari che possano essere seguiti seguendo
percorsi differenti. Questa è la via ideale per raccontare storie di società in conflitto e attraverso molteplici punti di vista si riescono a
comprendere più compiutamente le vicende. E’ un modo di pensare di cui abbiamo bisogno più che mai nel mondo, e la Tv è un mezzo di comunicazione che
può insegnarci ad espandere il circolo di empatia in questa direzione.
Recentemente sono stato a Mantova: ho visitato palazzo Tè e una delle stanze che ha più colpito la mia immaginazione è stata La stanza dei giganti .
Mi sorprende pensare a l’effetto che questa stanza dalle pareti interamente dipinte potevano avere su di un uomo del sedicesimo secolo. Più
recentemente, alla fine del diciannovesimo secolo un gruppetto fortunato di spettatori vide L’arrivo del treno alla stazione dei fratelli Lumiére e la
loro reazione fu quella di scappare spaventati dalla sala, colpiti dal realismo estremo della pellicola.
Qualcosa di simile mi sembra stia accadendo anche ora. Che ne pensa?
Si, questi sono esempi molto appropriati per testimoniare la forza immersiva delle nuove realtà. Dei miei colleghi alla Georgia Tech stanno facendo
degli esperimenti con la realtà virtuale e con la realtà accresciuta o (super realtà-iperrealtà), spazi artificiali in cui si può entrare ed essere
circondati da figure spettrali (in maniera non molto diversa dai giganti manieristi di Palazzo Tè) che sono sovrapposti al mondo attuale.
Ogni nuovo mezzo di rappresentazione ha il potere di spaventarci perché ci ricorda di come siamo facilmente imbrogliabili, come cadiamo facilmente in
errori trasformando un illusione nella realtà. Ci confonde anche con la forza inaspettata che è la nostra stessa forza: come è possibile che l’uomo
possa creare qualcosa che imita il mondo in maniera così sconvolgente? E’ un’esperienza paradossale. Come spettatori siamo umiliati (ridimensionati)
ma come esseri umani siamo esaltati dalla nostra forza creativa.
Parte della disapprovazione e dello scetticismo verso i nuovi media vengono fuori proprio da questo profondo e radicato scetticismo nei confronti
delle nostre facoltà creative.
Nel suo libro(*) si legge: «la fotografia tridimensionale, collocandomi in uno spazio virtuale mi ha acceso il desiderio di muovermi dentro di essa
autonomamente, di andare via dalla macchina fotografica e scoprire il mondo da sola»; questa frase, come un’epifania, evidenzia il problema del
confine tra il guardare e il giocare con i prodotti multimediali, nel momento in cui gli spettatori diventano una parte attiva della storia. Come
cambia il ruolo degli spettatori-lettori?
Questa domanda tocca un punto cruciale! Come designers questa è una delle sfide più importanti che affrontiamo. I mezzi di comunicazione digitali sono
luoghi della partecipazione, e non possiamo più pensare a un «pubblico» (ascoltatori nel senso originario greco) o a «spettatori». Invece siamo
obbligati a pensare a degli «interactors» (soggetti interattivi), attivi partecipanti del mondo dell’immaginazione (del mondo immaginato). E più
coinvolgente creiamo questo mondo, più gli interactors vorranno mettersi alla prova. Un mondo ben congegnato invita a questa partecipazione.
L’ideatore di giochi che capisce questa relazione riesce a «programmare» sia il computer, sia il giocatore (interactor).
I giochi di ruolo on-line forniscono un buon esempio per questo nuovo rapporto. Quello di cui ho accennato sopra, «The Sims», è stato recentemente
trasposto anche in versione on-line, dove è possibile giocare con i personaggi da te creati. E’ un mondo molto complicato, e i partecipanti devono
mettere alla prova la propria capacità di interazione reciproca. Cosa gli permette di fare questo? La scenografia e l’ambientazione per la maggior
parte. Se porti un personaggio dentro un salotto virtuale dove c’è della musica, essi potranno ballare. E non soltanto il menù del personaggio
includerà la possibilità di ballare, ma il giocatore stesso penserà a ballare e cercherà l’opzione giusta nel menù. [n.d.c. i personaggi del gioco
permettono al giocatore di interagire con essi attraverso un menù dinamico, che cambia a secondo delle situazioni in atto. Ad esempio se stai
flirtando con qualcuno e l’affinità tra i due personaggi raggiunge livelli alti allora nel menù comparirà l’opzione prova a baciarla/o o addirittura
chiedile/gli di sposarti, allo stesso modo se scoppia un incendio avrai la possibilità di chiamare i pompieri e così via.] Non c’è bisogno di dire
anticipatamente al giocatore che potrebbe ballare. L’ambiente coinvolgente determina i comportamenti.
Se lasci agli interactor comprare dei fiori e un anello di fidanzamento essi, in queste condizioni, inizieranno a seguire il copione del
corteggiamento. Se invece gli permetti di comprare delle pistole, essi rappresenteranno rapine e omicidi.
L’interactor osserva sempre il contesto intorno per degli indizi rivelatori delle possibilità presenti nel mondo.
Gli ipertesti letterari sono una delle possibilità offerte ai nuovi (e vecchi) scrittori dai computer, anche se il concetto di ipertestualità è
qualcosa di tutt’altro che nuovo. Mi piacerebbe sapere da lei quali caratteristiche considera proprie dell’ipertesto e se negli ultimi anni ci sono
stati cambiamenti sostanziali.
La prima ondata di ipertesi erano concentrati nel sovvertire l’aspettativa dell’interactor, sciogliendo la logica del testo lineare. Il problema di
molti di essi era che non creavano una più alta coerenza e così la gente si stancò. I primi scrittori di ipertesti erano più poeti che narratori,
erano più interessati alla risonanza della lingua che alla creazione di sequenze di causa e effetto.
Una cosa che credo possa aiutare ad a fare sviluppare storytelling più coerenti in formati digitali è avvicinarsi a dei modelli strutturali più chiari
che la mera sovversione della linearità. Il modello di rizoma di Deleuze e Guattari era un certo modello, ma un campo di patate non è particolarmente
espressiva come organizzazione. Le sue qualità più grandi erano negative: la mancanza di una fine o di un inizio per esempio.
L’ho trovato di aiuto per pensare in termini di multisequenza e multiforma. La storia multisequenza è composta da differenti sequenze coerenti ed è
ricostruita ricalcando solo le sequenze multiple. Non è questione di rendere qualche cosa non-sequenziale, distinto dal libro sequenziale; invece
possiamo pensare a libri tradizionali e film come mono-sequenziali, e ad uno Storytelling come indirizzato verso norme multisequenziali.
Una storia multiforma è una come quella di Lola Corre dove la stessa storia è raccontata più volte con arrangiamenti diversi degli stessi elementi.
(Potrebbe essere allo stesso modo multi-sequenziale).
Nella storia multi-sequenza il mondo è fisso e i percorsi al suo interno molteplici. Nella storia multi-forma ci sono molti modi con cui il mondo può
essere ricostruito. Entrambe queste forme riflettono la maniera con cui vediamo la nostra vita e la comune esperienza rivelata nel ventunesimo secolo.
Vediamo la maniera in cui uno stesso evento può essere osservato differentemente a secondo di chi partecipa all’evento, il criminale, la vittima, la
polizia; la moglie e il marito; il paziente e il dottore. Vediamo anche i molteplici modi con cui una sequenza di eventi può essere spiegato, i
molteplici futuri impliciti in ogni singolo momento presente.
Vorrei passare per un momento attraverso l’ultimo libro di Marie-Laure Ryan, La narrazione come realtà virtuale. Crede che sia veramente possibile
trovare un equilibrio tra immersione ed interattività? In altre parole crede sia possibile fare della narrativa elettronica e far nascere quel misto
di emozione, esperienza e riflessione che è stato proprio della letteratura moderna?
Penso che Marie-Laure Ryan sia una delle scrittrici principali riguardo questa tensione. Sono d’accordo con la maggior parte delle sue analisi.
Credo che la via per riconciliare l’immersione e l’interattività sia nel pensarle, rinforzate reciprocamente, in quello che mi piace definire come
attiva creazione della credulità. In ambienti digitali non facciamo soltanto quella mera «sospensione dell’incredulità» come Coleridge ha
appropriatamente definito l’esperienza letteraria. Mettiamo alla prova la nostra credulità, e se la dinamica del mondo agisce in maniera coerente
allora la nostra credulità ne è rinforzata. Se posso interagire con un personaggio elettronico quel personaggio sarà più presente.
Che rapporto immagina possa istaurarsi in futuro tra la letteratura tradizionale e la narrativa digitale? Pensa che stringeranno un legame di
amicizia, come è già successo tra il cinema e la letteratura o che costituiranno domini separati?
Penso che il computer sia un mezzo di rappresentazione come il cinema e la stampa e che stia ricorrendo ai mezzi di comunicazione precedenti allo
stesso modo di come hanno fatto cinema e stampa. Allo stesso tempo forme contemporanee si servono l’uno dell’altro. Racconti e film stanno diventando
sempre più come delle simulazioni, proprio come gli ambienti interattivi stanno assimilando strutture della storia più complesse.
Come ultima domanda le chiedo di mostrarci la direzione verso cui si stanno muovendo le sue ricerche e che genere di esperimenti porta avanti nella
sua scuola.
Alla Georgia Tech, nella scuola di letteratura, comunicazione e cultura ci aspettiamo di poter annunciare nell’immediato futuro un nuovo corso
specialistico (Ph.D) in Media Digitale, pensato per produrre alunni che pratichino e teorizzino i nuovi generi digitali. Quindi una delle cose a cui
sono molto interessata è la formulazione di questa nuova disciplina. Sto scrivendo un manuale intitolato Inventing the medium che svilupperà le
connessioni tra i nuovi esercizi di scrittura e i più vecchi media e articolerà le specifiche possibilità offerte dal computer per ampliare
l’espressione e la comprensione dell’uomo.
Il mio lavoro, Hamlet on the Holodeck, è stato criticato in maniera interessante dai teorici del gioco scandinavi per aver imposto la retorica del
racconto nel gioco. Penso che interpretino in maniera errata il racconto, ma hanno ragione nel credere che i giochi conservano il proprio vocabolario
critico. Siccome non ho visto molto di questo vocabolario emergere da coloro che hanno criticato l’analisi narrativa, ho tentato di costruire un
formalismo del gioco. Insieme ad un gruppo di miei studenti abbiamo fatto un’indagine tra studiosi e tra alcuni dei più importanti game designer
chiedendogli quale fosse per loro il gioco più importante e le ragioni di questa scelta. Questi hanno mostrato lo stesso desiderio degli studiosi di
un vocabolario che gli permettesse di parlare di ciò che fanno. Abbiamo poi, analizzato i risultati per identificare le peculiarità dei giochi che
attraversano trasversalmente tutti i generi, e che non avessero niente a che fare con la narrazione di per sé.
Un altro ambito della mia ricerca è focalizzato sulla TV interattiva. Sono molto attratta dalla promessa delle tecnologie digitali di estendere la
portata e la profondità dello storytelling.
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pamela r.
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rispondo al prof
buonasera prof. devo prima di tutto scusarmi con lei per non aver approfondito meglio il discorso di michele sambin e di avermi fatto sfuggire il
fatto della sua partecipazione al progetto... comunque resta il fatto che il cd rom è stato davvero interessante e mi farebbe davvero piacere
approfondire l'argomento. l'anno scorso abbiamo avuto occasione di affrontare questo tema durante le lezioni del prof. santoro e l'unico incontro, con
michele sambin, di cui sono stata partecipe, si è svolto nell'istituto "Itaca" nei presso dei cantieri teatrali Koreja. la cosa che mi colpì, oltre
allo straordinario lavoro e di cui lei ha preso parte, è stato l'estusiasmo e la semplicità di un uomo che raccontava della sua attività con cuore e
amore... e qualche difficoltà!
per quanto riguarda l'inserimento della foto spero di riuscirci al più presto possibile, anche se lunedì tornerò alla mia vita senza pc e spero di non
incontrare difficoltà per continuare il mio lavoro di principiante nel mondo del virtuale...a presto!!!
A TUTTO IL FORUM:
visitate il sito www.compagnia della fortezza. it
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Sarah
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Michele Sambin a Melpignano
Originariamente scritto da pamela r.
...un fulmine a ciel sereno mi è venuto in mente l'esperienza che abbiamo affrontato con il prof. santoro l'anno scorso: " l'incontro con michele
sambin"...
Se non ricordo male l'incontro è avvenuto l'8 marzo a Melpignano presso il convento dove ogni anno ad agosto si ripete lo spettacolo della "Notte
della Tarantola. Incontro stupendo tra l'altro che ci ha visti prima impegnati con il cd rom dopo con lo spettacolo di Michele Sambin.
Messaggio per Pamela:
Pamè allo stadio non ci sono venuta e meno male perchè il Lecce ha vinto 5 a 3. Hai impegni per le prossime domeniche fino alla fine del campionato?
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alice
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Altre applicazioni della tecnologia(da un articolo di rivista).Davvero il virtuale può guarire?Lo sostengono gli studiosi che appoggiano il progetto
di medicina virtuale dell'Istituto Auxologico italiano di Milano.Questa nuova branca della scienza utilizza il computer e la grafica 3D per fare
diagnosi più precise e per curare.Sorprende l'applicazione in psicologia e psicoterapia .Con la medicina virtuale si possono curare vari
disturbi(quelli legati all'alimentazione ad esempio); grazie ad un programma software che ricostruisce virtualmente la fisicità,stimolando una
percezione più oggettiva del proprio corpo.Sarà vero?
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carlo
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Risposte: 2024
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sul virtuale e su scrittura mutante
tra qualche settimana attiverò un sito web con buona parte dei miei testi sulle realtà virtuali
tra cui anche quelli in cui ho trattato (10 anni fa circa) delle applicazioni del virtuale x le terapie riabilitative...
nel frattempo seguite il progetto scrittura mutante alla fiera del libro!
http://www.trovarsinrete.org/fieralibro2005.htm
e poi su Sambin apriamo una bella finestra in lezione
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Sarah
Member
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MEDICINA: VIDEOGAME PER COMBATTERE IL DOLORE NEI BAMBINI
L’altro giorno ho letto un articolo su un vecchio Panorama, e giacchè mi ricollego all'intervento di Alice, il quale diceva che il dolore dei bambini
in ospedale si combatte a colpi di joy-stick: secondo una ricerca condotta in Australia, nell'Adelaide Women's and Children's Hospital, e pubblicata
sulla rivista BMC Pediatrics, videogiochi e realtà virtuali si sono dimostrati un ottimo antidolorifico. I ricercatori hanno dimostrato che bambini
dai cinque ai 18 anni, ricoverati per ustioni gravi, sentono meno dolore durante le medicazioni se, oltre a somministrare loro i classici
antidolorifici, li si lascia entrare in un mondo virtuale di mostri e alieni. I ragazzi e i bimbi più piccoli dovevano loro stessi giudicare il dolore
provato durante il cambiamento dei bendaggi. Questo avveniva o dopo aver somministrato ai piccoli pazienti solo antidolorifici, oppure mentre i
piccoli, sempre trattati con antidolorifici, giocavano con un videogioco. Nel primo caso, ha riferito la coordinatrice del lavoro Karen Grimmer, in
una scala di misura del dolore da zero a dieci, illustrata in modo che lo zero corrispondesse ad un bel sorriso e il dieci ad una smorfia di
sofferenza, i piccoli avvertivano il dolore con un punteggio di quattro. Invece la realtà virtuale li distraeva a tal punto dalla medicazione che il
punteggio dato alla sensazione dolorosa diveniva di uno. I genitori e il personale che ha eseguito le medicazioni hanno confermato l'effetto lenitivo
della realtà virtuale. "E' evidente quindi che la realtà virtuale insieme agli analgesici e' più efficace nel ridurre il dolore che non gli analgesici
da soli", ha osservato Grimmer. Questo e' solo uno studio preliminare, ha ammesso l'esperta, ma i risultati sono molto promettenti. La realtà virtuale
va testata su un campione più vasto di bambini, ha concluso Grimmer, scegliendo il videogame in base alla fascia d'età', nella speranza che un giorno
si possa ridurre se non addirittura eliminare l'uso di antidolorifici per i piccoli pazienti.
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3kili
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Realtà virtuale e terapia del dolore .
Un gioco di realtà virtuale appositamente creato per aiutare pazienti vittime di gravi ustioni.
Un gioco virtuale in cui si fabbricano fiocchi e pupazzi di neve, igloo e pinguini, è stato sperimentato per alleviare il dolore che accompagna le
terapie a cui viene sottoposto chi ha subito gravi ustioni.
In questi casi spesso le cure sono molto più dolorose delle ferite stesse. Proprio per alleviare queste sofferenze è stato sperimentato SnowWorld, la
realtà virtuale creata da Hunter Hoffman, direttore del Virtual Reality Analgesia Research Center dell'Università di Washington.
Monitorando cinque specifiche aree del cervello associate alla percezione del dolore, è stato riscontrato che la loro attività è sensibilmente
diminuita durante l'utilizzo di SnowWorld. L'immagine del freddo di questo mondo virtuale ha in un certo senso controbilanciato il “fuoco” delle
ustioni dando un risultato soprendente: l'attività cerebrale legata al dolore si è sensibilmente ridotta, registrando un calo compreso tra il 50 e il
97 per cento.
Secondo Hofmann, più il paziente ha la sensazione di essere calato in questa realtà virtuale, maggiore è la riduzione del dolore percepito.
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3kili
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Realtà virtuale contro le fobie: In Italia il progetto Vrepar.
Vi fareste rinchiudere in una cucina da soli con un ragno che fa scruta dalla sua bella ragnatela? Forse sì, se sapeste che si tratta di una finzione.
Già perché oltre a intrattenere i più giovani, la realtà virtuale può essere utilizzata anche per curare traumi mentali e fobie.
L'idea non è del tutto nuova: secondo la terapia convenzionale, lo psicologo chiede al paziente di immaginarsi faccia a faccia con le proprie paure.
Con l'aiuto della computer graphics oggi si può fare un salto di qualità e "immergere" il paziente nella situazione che genera la fobia.
La terapia è ancora in fase sperimentale, ma ha già dato i primi risultati positivi. I ricercatori del Veterans Administrations Medical Center per
esempio stanno usando una simulazione tridimensionale chiamata Virtual Vietnam per curare i traumi sofferti dai veterani di guerra. Secondo un primo
studio 13 pazienti su 20 hanno affrontato con successo la terapia in meno di 20 sessioni.
Il connubio tra realtà virtuale e psicologia nasce nel 1995 quando Larry Hodges del Georgia Technology Institute, e Barbara Rothbaum, dell'Emory
University School of Medicine pubblicarono sull'American Journal of Psychiatry uno studio per curare l'acrofobia, ovvero la paura delle altezze. In
quel caso furono utilizzati diversi ambienti virtuali, dal tipico ponte su un canyon, al balcone in cima a un alto grattacielo. Da allora la
sperimentazione si è diffusa, grazie anche al progressivo calo dei costi della sofisticata attrezzatura.
Negli Stati Uniti varie aziende si sono buttate in questo campo realizzando programmi a scopo terapeutico: la Virtually Better per esempio fornisce
l'aeroplano virtuale per chi teme di volare, l'audience virtuale per chi deve affrontare il pubblico. E ancora: la tempesta virtuale, l'ascensore
virtuale e così via. Il paziente viene posizionato in piedi su una piattaforma e con un casco dotato di display tridimensionale e audio in stereo. Il
display consiste di un monitor per ciascun occhio e dispone di un meccanismo in grado di raccogliere dati che vengono trasferiti al computer.
In Italia queste tecniche sono in sperimentazione per curare disturbi alimentari: il progetto, chiamato Vrepar, è coordinato dall'Istituto auxologico
italiano, sotto la direzione di Giuseppe Riva. Al paziente vengono mostrati cibi diversi ognuno col proprio apporto calorico. Una bilancia virtuale
mostra i cambiamenti in peso a seconda del cibo scelto. Uno studio preliminare mostra un miglioramento significativo nell'apprezzamento del proprio
aspetto fisico da parte dei soggetti esposti alla terapia.
"I vantaggi sono molti", dice Page Anderson, una terapista che ha usato la realtà virtuale con più di cento pazienti, "l'analista detiene il controllo
del grado di esposizione del paziente e in questo modo la terapia può essere resa più graduale. Inoltre il computer ci permette di registrare in ogni
istante durante la simulazione i movimenti degli occhi del paziente e il suo battito cardiaco, dando così una misura oggettiva delle reazione
fisiche".
Non mancano tuttavia le critiche: sono stati osservati in alcuni pazienti disturbi collaterali come nausea e vomito, probabilmente causati
dall'illusione del movimento. E c'è anche chi teme ripercussioni negative su soggetti psicologicamente deboli non in grado di distinguere tra virtuale
e reale.
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carlo
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alcuni testi di approfondimento
eccone in attach
tra qualche settimana sarà attivo
con gran parte dei testi d'archivio
e ora una breve considerazione:
ho letto i vostri interventi (molto taglia-incolla da google...)
ma mi sembra che vi state proiettando sugli aspetti + reconditi del virtuale
non penso che sia la pista giusta
confrontiamoci sui contenuti che vi propongo
comunque, bene
mi piace l'intensità della vostra ricerca
ma ora cerchiamo di convogliarla verso i nostri obiettivi didattici
Allegato: La nuova esperienza.rtf (23kB)
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silvietta84
Member
Risposte: 19
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antonio rollo
Salve prof.!!
oggi ho notato una cosa molto interessante.........ho fatto un salto nel nuovo sito dei Sud Sound System(noto gruppo reggae salentino,spero lo
conosca) e mi ha sorpreso leggere in piccolo sotto la home page il nome del suo caro collaboratore Antonio Rollo, il quale, a quanto pare, ha ideato e
realizzato il sito................e poi ho pensato: che bello sarebbe se, in uno dei nostri incontri potessimo averli con noi,anche solo per un
contatto,x parlarci delle loro esperienze,anche con il digitale, con il teatro.............questo di certo accrescerebbe il mio interesse verso questo
insegnamento al 100%!!!!
Forse si tratta di un'idea folle,comunque mi premeva proporla...
Poi volevo farle un'altra domanda: secondo lei il mondo del virtuale finirà per sovrastare quello reale??
Per quanto mi riguarda lo trovo un mondo assolutamente affascinante, ma cerco sempre di mantenere le distanze da esso, perchè in un certo senso mi fa
paura e comunque preferisco i rapporti umani a quelli virtuali, anche se i secondi sono più semplici da innescare (e forse è priprio questo che mi
spaventa)parlo di chat e forum ormai largamente diffusi su internet, ma penso anche al futuro...come sarà la città del futuro???.............a presto.
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alice
Member
Risposte: 13
Registrato il: 6-2-2005
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Davvero illuminante l'allegato del professore: ho capito la differenza tra reale e virtuale.Il riferimento a McLuhan mi riporta ad un'altra
disciplina,Sociologia della comunicazione(si crea un'interdisciplinarietà).
Virtuale vuol dire che le cose,i corpi,i fatti sono sempre possibili altrimenti :in altri spazi,in altri tempi o in altri modi(come afferma Boccia
Artieri nel testo i Media mondo).Si apre davanti a noi una gamma di possibilità sempre più variabile e percepibile.L'apertura riguarda anche il
sociale,ovvero le azioni e relazioni.Si instaurano scelte che rinviano ad altre; tutto grazie alla comunicazione .
Tornando all'allegato fa riflettere lo sconvolgimento che la scoperta della riproducibilità tecnica dell'immagine abbia portato fra gli uomini(e
ancora un rimando alla Storia della fotografia;perchè non creare un'unica materia,insieme alla sociologia?).
Precedentemente una rappresentazione artistica era legata alla sua unicità e irriproducibilità.Torniamo alle origini e pensiamo al teatro:esso si
basava sull'azione,sulla relazione con lo spazio e sulla simulazione di realtà.Concentriamoci sul mondo attuale: la realtà virtuale simula lo spazio
fisico.Esiste quindi un legame tra teatro e virtuale.La percezione condivisa che si realizza durante una performance può rinnovarsi ed evolversi
anche con la riproducibilità tecnica(quando ci troviamo a contatto con uno scenario 3D).La telecomunicazione ha rivoluzionato le relazioni fra uomo e
mondo,ha riconfigurato l'identità dell'individuo anche nei suoi rapporti con l'esterno.L'uomo moderno può,grazie alla interattività,vivere una
simulazione come se fosse esperienza reale e percepire un nuovo spazio tempo(il Ma secondo la cultura giapponese).Le tecnologie multimediali mettono
in discussione il potere simulante della Tv.I mass-media sono stati sostituiti dai my-media (in cui prevale la personalizzazione).Nasce il punto di
vita.ovvero la possibilità di vivere un luogo virtule e simulato.
Emblematica e significativa la conclusione:Imparare ad imparare;l'uomo deve continuare a porsi domande ed ampliare sempre più le sue conoscenze con
spirito critico e capacità di osservazione.In una continua evoluzione.
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carlo
Amministratore
Risposte: 2024
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ci vediamo mercoledì
e vediamo cosa combinare d'eccellente insieme
stampate il piano lezioni e fatelo girare!
Allegato: programma delle lezioni di maggio.rtf (11kB)
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Ale_pac
Member
Risposte: 15
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Auguro una buona giornata a tutta la gente del forum! Mi sono iscritta oggi, e sinceramente non sono riuscita a visitare in una sola mattinata tutto
il contenuto di questo forum, anche perchè è ricco di link, notizie ecc..
Scusatemi se sono andata "off topic" ma volevo giusto salutarvi! a presto
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Elenuccia
Member
Risposte: 17
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Prime impressioni!!!
Salve a tutti!!!!
Finalmente sono riuscita ad avere il libro del prof., “Imparare giocando”, unico modo per cominciare ad informarmi su 1 argomento così vasto e molto
complicato……la realtà virtuale!!!!
Incominciando a leggere alcuni capitoli di esso mi sono resa conto di quanti riferimenti faccia il prof. riguardo alla grossa similitudine tra il
mondo del teatro e il mondo virtuale.
Personalmente ho fatto teatro per un po’ di tempo, sono venuta a contatto con quel mondo stupendo che io considero parallelo a quello reale. E’ vero,
fare teatro significa “simulare la realtà”, ma è anche vero che per giungere a ciò, la mente e il fisico sono costretti a sviluppare delle capacità
non indifferenti. Per imparare a conoscere così a fondo se stessi, e giungere così alla piena maturazione della simulazione a cui si sta lavorando,
bisogna necessariamente imparare a conoscere gli altri, a COMUNICARE con loro. L’ALTRO corrisponde alla spalla su cui si può sempre contare, con cui è
necessario interagire per crescere umanamente e imparare cos’è la tolleranza!.
I primi esercizi che si svolgono in teatro riguardano il venire a contatto con lo spazio, riuscendo a camminarci dentro, imparando a relazionarsi con
esso. Sembra facile, ma provate voi a dover riempire con il proprio corpo tutto uno spazio fisico e apportarsi ad esso!
E’ totalmente vero il concetto secondo il quale il teatro e il gioco vanno di pari passo con l’educazione. E’ 1 argomento che ho approfondito con
piacere, soprattutto con i bambini i quali, naturalmente, riescono ad imparare a vivere in un mondo limitato a livello di spazio e di tempo (ossia il
teatro) grazie all’aiuto del gioco “intelligente”!!!.
Poiché sono stata a contatto, a livello personale, con tutto ciò, il mio approccio con il concetto di MONDO TEATRALE è UGUALE A MONDO VIRTUALE mi ha
spaventato un po’, reso scettica…….ma in fondo in fondo anche incuriosito.
Ho trovato molto interessante il capitolo sull ‘ “edutainment”, ossia il connubio tra educazione e divertimento on -line.
Ad esso si riferiscono dei cd-rom e dei siti Internet di giochi educativi che invitano il bambino alla partecipazione e alla condivisione di tutto
questo con altri “piccoli esploratori”.
Addirittura, alcuni esempi possono essere dei giochi di ruolo sviluppati nelle chat line, in cui si finge di essere qualcun altro ( simile al caro
vecchio “guardia e ladro”!).
Quindi, simulare è comunicare, educare, giocare……..ma ciò che mi domando è: è sicuro che un bambino, dotato di una mente ancora vergine, come un
foglio bianco, è in grado di poter distinguere la realtà “vera” da quella “virtuale”, se già da piccolo lo si bombarda con l’esistenza di questo
“mondo al di là dello schermo”, il cui solo contatto fisico è dato da una tastiera, un mouse e un joystick ?
Non dimentichiamoci che il bambino necessita di concretezza e materialità per verificare l’esistenza delle cose.
Questo è un tema stuzzicante!!!!
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Lele84
Junior Member
Risposte: 2
Registrato il: 17-5-2005
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Salve a tutti quanti!Mi presento subito!
Il mio nome è Gabriele, sono uno studente del Dams Salento iscritto al 2° anno.
Mi sono iscritto oggi al forum e mi scuso tanto per il ritardo...
In questo momento sto facendo 1 giro in tutto il forum per conoscerlo.
Vi allego una mia foto e mi scuso anticipatamente ma purtroppo non ho altro ora..Una buona chat a tutti quanti..
Ciao Ciao e a presto! Smack
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Ale_pac
Member
Risposte: 15
Registrato il: 17-5-2005
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Buongiorno!
Caro prof, mi chideveo se è possibile aprire in questo forum una sezione dedicata al confronto sulle tematiche di oggi.
Ad esempio vorrei dire ciò che penso sulla laurea di Vasco Rossi; per ora scrivo di seguito il mio post; grazie, Alessandra.
Dietro a quella che sembra tutta un ennesima manovra commerciale il neo Dott. Vasco Rossi riceve oggi una laurea in Scienze della Comunicazione
una laurea Honoris Causa, certo non una cosa meritata dietro ai banchi di scuola, eppure è una cosa che potrebbe anche far discutere in senso
positivo.
Lasciamo stare il Vasco Rossi che vediamo oggi e andiamo indietro di una decina d'anni...
Quello che allora era un cattivo modello in verità è stato il maggior canale comunicativo per molti giovani degli anni '80.
Quella famosa generazione di sconvolti, senza santi ne eroi incapace di avere un dialogo con il resto del mondo, trovava nei testi di quelle canzoni
un riflesso dei propi pensieri...
Insomma qualcuno che li capiva c'era! e credetemi, per chi ha vissuto la propia giovinezza a cavallo tra gli anni 80/90 non era una cosa da poco.
Quella voglia di "libertà" che nasceva nei cuori dei giovani non era una cosa comprensibile allora...
Non si poteva spiegare a mamma e papà quello che passava per la testa, loro apparivano troppo "diversi" non avrebbero capito...
Così uno dei principali canali comunicativi tra i giovani è stato propio il dott. Vasco, non semplici canzoni per sognare una vita migliore ma un
qualcosa che nei testi di oggi non si trova più... era come se qualcuno ti metteva una mano sulla spalla e ti diceva " va bene così... ".
Oggi spero di sbagliarmi ma non vedo nessuno con questa capacità purtroppo.
I falsi miti di allora parlavano la lingua dei giovani, oggi appare il contrario.
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Sarah
Member
Risposte: 24
Registrato il: 17-3-2005
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The Sims 2 e Sim City: realtà virtuale per tutti?
Parliamo di videogiochi. E di realtà. Vite virtuali e vite reali che si intrecciano. Alter ego costruiti e vissuti narrativamente davanti allo
schermo. Ipotesi futuribili?
A tutt’oggi, un po' per gli interessi cambiati con l'età, un po' per gli impegni, guardo al mondo dei videogiochi contemporanei con interesse
relativo, ma l'uscita di The Sims 2 e di Sim City è un'occasione troppo ghiotta per non scarabocchiare qualche appunto sparso su alcune considerazioni
riguardanti l'arte video-ludica contemporanea. Partendo dalla determinazione che il videogioco sia, per certi aspetti, una pura arte a metà strada tra
la fantascienza e la psicologia, The Sims 2 e Sim City rappresentano perfettamente l'evoluzione in tal senso, l'attuale stato dell'arte.
Mai come in questo caso si può dire che siamo di fronte ad un mondo interattivo, intendendo per questo una riproduzione credibile della realtà, al
punto che via internet si raccontano le vite virtuali dei personaggi scaturite da semplici partite, trasformando i giocatori in generatori di storie,
esperienze, sentimenti.
Ciò che rende The Sims 2 un'esperienza unica sta nel fatto che per la prima volta si riproduce un mondo reale quotidiano, molto più immersivo rispetto
al suo fortunato predecessore, permettendo l'interazione di personaggi simulati cui viene conferito uno spessore psicologico in tempo reale con un
impatto ragionevolmente credibile (il gioco permette di creare a proprio piacimento dei personaggi simulati che verranno introdotti in un mondo
virtuale e di svilupparne le vite in base alle proprie scelte e interessi: insomma, partendo da premesse simili al "Grande Fratello", ovvero vedere
come si comportano delle cavie di fronte a situazioni quotidiane, il gioco prende vita propria, naturalmente tenendo conto dal fatto che siamo sempre
di fronte a una realtà virtuale e pertanto soggetta alla pura combinazione tra variabili).
Il suo creatore è tale Will Wright, un tipo che dalla seconda metà degli anni '80 ha iniziato a produrre simulazioni strategiche, a partire da Sim
City.
Sim City appunto. Per l'epoca fu già un piccolo evento, perché al giocatore veniva affidata una città chiavi in mano da tirar su, affrontando
criminalità, terremoti, invasioni o più semplicemente garantendo i servizi sociali. Per inciso, i Sims sarebbero proprio gli abitanti di Sim(ulated)
City, dove, tra l'altro, esiste un vero e proprio idioma, il Simlish. La megalomania del nostro Will (giustificata, visti i risultati) è cresciuta col
tempo; dopo il primo successo, replicato in successive versioni, ha lanciato sul mercato Sim Earth e Sim Ant. Se il secondo ci faceva gestire un
affollato formicaio, il primo ci permetteva il controllo evolutivo dell'intero pianeta (se non fosse una battuta tragica, verrebbe da pensare che Bush
& company abbiano progettato l'invasione dell'Iraq come se fosse un videogame. Ma davanti a uno computer noi possiamo solo giocare, per fortuna, o
eventualmente resettare la partita, mentre in Medio Oriente i morti ci sono davvero e non c'è niente da scherzare).
Sherry Turkle dice in un’intervista ”Credo sia importante che gli insegnanti aiutino gli studenti a comprendere la vera natura della simulazione.
Quando uno studente "gioca" con SimCity e poi dice che "alzare le tasse porta necessariamente a delle sommosse popolari", è cruciale poter spiegare a
quel bambino che questa simulazione, con le sue specifiche "regole" corrisponde a un microcosmo virtuale ma non necessariamente al mondo reale”.
Tornando a The Sims 2 e a Sim City, secondo me, ci troviamo di fronte a dei giochi che cercano di proporsi come alternativa alla realtà, ma così
facendo rivelano un rischio non secondario delle simulazioni accurate: è il pericolo di prenderle troppo sul serio, nel senso che in una partita è
sempre possibile ritornare sulle proprie decisioni caricando il salvataggio precedente, mentre nella realtà è molto più difficile rimediare agli
errori (a volte, purtroppo, è impossibile) e sbagliando troviamo spesso la giusta grandezza delle cose, cioè possiamo migliorare. Se si resta sul
piano del gioco, la sua complessità è intrigante e perfettamente rapportata al complicato mondo attuale dove spesso la misura è fuori luogo; a volte
ci si prende troppo sul serio, altre volte tutto è annacquato dall'ironia o da una semplice battuta.
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Ale_pac
Member
Risposte: 15
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A ben pensarci, è difficile credere che siamo sopravissuti!
Da bambini, andavamo in macchina (quelli che avevano la fortuna di averla)
senza cinture di sicurezza e senza air bag…
E viaggiare nel cassone posteriore di un pick up in un pomeriggio torrido
era un regalo speciale.
I flaconi dei medicinali non avevano delle chiusure particolari
e noi bevevamo l’acqua dalla del giardino, non da una bottiglia…
Che orrore!
Ci lanciavamo dalle discese e dimenticavamo di non avere i freni
fino a quando non ci sfracellavamo contro un albero o un marciapiede,
e dopo un sacco di incidenti imparavamo come fare…da soli!!!
Uscivamo da casa al mattino e giocavamo tutto il giorno,
i nostri genitori non sapevano esattamente dove eravamo,
nonostante ciò sapevano che non eravamo in pericolo.
Ci sbucciavamo le ginocchia, ci rompevamo le ossa o i denti,
ma erano solo incidenti: nessuno ne aveva la colpa.
Litigavamo, ci facevamo male, a volte piangevamo, ma passava presto.
Quasi sempre senza che i nostri genitori lo venissero a sapere.
Mangiavamo un sacco di dolci, la marmellata con il burro
e bevande piene di zucchero…ma nessuno di noi era obeso.
Ci dividevamo una Fanta con altri quattro amici,
dalla stessa bottiglia, e nessuno è mai morto a causa dei germi.
Non avevamo la Playstation, né il Nintendo, né i videogiochi.
Non c’era il satellite, le videocassette, internet e il PC.
Avevamo semplicemente degli amici.
Uscivamo da casa e li trovavamo.
Andavamo, in bici o a piedi, a casa loro,
suonavamo il campanello o entravamo e parlavamo con loro.
Figurati: senza chiedere il permesso!
Da soli!
Nel mondo freddo e crudele!
Ci inventavamo dei giochi con dei bastoni e dei sassi.
Giocavamo con le lucertole e altri animaletti e,
malgrado le avvertenze dei genitori,
nessuno ha mai tolto un occhio a un altro con un ramo
e i nostri stomaci non si sono mai riempiti di vermi.
Alcuni studenti non erano intelligenti come gli altri
e qualcuno doveva ripetere la seconda elementare,
ma non si cambiavano i voti, per nessun motivo.
L’idea che i nostri genitori ci avrebbero difeso
se avessimo trasgredito a una legge non ci sfiorava:
loro erano SEMPRE dalla parte della legge.
Se ti comportavi male i tuoi genitori ti mettevano in castigo
e nessuno li metteva in galera per questo.
Sapevamo che quando i genitori dicevano NO
significava proprio NO.
I giocattoli nuovi li ricevevamo a Natale e per il compleanno,
non ogni volta che si andava al supermercato.
I nostri genitori ci facevano i regali per amore,
non per i sensi di colpa,
e le nostre vite non sono state rovinate
perché non ci hanno dato tutto quello che volevamo.
Questa generazione ha prodotto molti inventori,
amanti del rischio e persone molto creative,
negli ultimi 50 anni
c’è stata un’esplosione di innovazioni e nuove idee.
Questa generazione ha avuto libertà, responsabilità, successi e insuccessi
e ha imparato a gestirli.
Se sei uno di loro, complimenti!
purtroppo questo non l'ho scritto io.. ma un mio carissimo amico! Pensavo che nessuno meglio di lui, in questo momento, avrebbe potuto rendere cosi
chiaro un concetto: I videogiochi stimolano e se ben usati insegnano a crescere certo! Ma, per caso, mentre leggevate le righe di questo post, avete
mica dipinto in mente il quadro descritto dal mio amico? credo proprio di si
A chi è rimasto in bocca il gusto dolce del ricordo e della nostalgia?
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marzo pazzerello84
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alice ha proprio ragione.. la mostra è stata bellissima.....!!!!!
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Devil
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Devil
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Jack Kerouac
On The Road
"La prima volta che incontrai Dean fu poco tempo dopo che mia moglie e io ci separammo. Avevo appena superato una seria malattia della quale non mi
prenderò la briga di parlare, sennonchè ebbe qualcosa a che fare con la triste e penosa rottura e con la sensazione da parte mia che tutto fosse
morto. Con l'arrivo di Dean Moriarty ebbe inizio quella parte della mia vita che si potrebbe chiamare la mia vita lungo la strada"
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Devil
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Devil
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The sims
giocare a sims e divertentissimo,costruire la casa,mandarli a lavoro,farli divertire,ecc.ma ucciderli è ancora più divertente.
Vi lascio qualche immagine d'esempio.
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