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L’interattività tra scena e nuovi media
Como, 17 dicembre 2005
ore 10
Villa Gallia
L’interattività tra scena e nuovi media
seminario di studi sul rapporto tra multimedialità e il teatro per le nuove generazioni
a cura di Carlo Infante, docente di performing media
introduce Mario Bianchi, studioso di teatro per le nuove generazioni
intervengono:
Cristina Cilli, studiosa di teatro e nuovi media
Paolo Atzori, architetto e scenografo multimediale
Renzo Boldrini, attore-autore teatrale, regista di Giallo mare Minima Teatro
Da sempre il teatro rappresenta una delle migliori tecnologie per mettere in relazione il corpo con lo spazio, inventando forme di condivisione
possibile. Un aspetto, questo, che acquista ancora più pregnanza quando si opera con le nuove generazioni e con quei piccoli che fanno di questa
ricerca d’ambientamento una delle loro prime interrogazioni al mondo.
Cosa credi ci sia dietro l’entusiasmo per una palla che rimbalza?
O dietro il clic ad un’icona che risponde all’azione del mouse con un piccolo evento?
E’ d’interattività che si tratta.
Ecco parliamo di questo: come progettare le nuove forme di relazione tra corpo e nuovo spazio-tempo digitale.
Il fatto che alcuni autori teatrali stiano concentrando la propria ricerca su questo aspetto, sondando le peculiarità psicologiche e percettive di
questa inedita interazione, è importante e strategico.
Non solo. Questa ricerca ha raggiunto ottime risoluzioni, teatrali e pedagogiche.
Introduce una qualità di elaborazione formale e performativa di cui la ricerca teatrale, in particolare quella rivolta alle nuove generazioni, ha
bisogno.
Pratiche che s’inseriscono nell’ampia problematica di ciò che definisco l’Interaction Design, la progettazione delle nuove forme d’interazione
digitale.
In questo senso l’azione scenica nell’ambito multimediale si basa su una consapevolezza piena, assolutamente ludica, arrivando a contemplare una
“drammaturgia dell’interattività” che risiede, ancor più che nell’automatismo del cliccare su pulsanti, sulla capacità di contemplare lo sguardo dello
spettatore e le sue reazioni.
Un’operazione che si basa su una semplicità, l’invenzione teatrale dell’azione nel raggio della videoproiezione, e su una necessità: la creazione di
opportunità che dimostrino che la multimedialità non si gioca solo all’interno dello schermo di un computer, dove è facile perdere il senso del
rapporto tra reale e virtuale.
Le metamorfosi teatrali
Interrogarsi sull’evoluzione delle arti coincide con le dinamiche evolutive che hanno scandito le mutazioni del rapporto tra noi, i nostri corpi, e il
mondo esterno in una metamorfosi continua che la sensibilità teatrale ha per secoli interpretato. Tanto più oggi, in un modo pervaso dalle tecnologie.
Ma senza dimenticare che l’origine dell’arte è inscritta nel concetto di “techne”, intesa come estensione fisica e cognitiva dell’uomo verso il
mondo.
Le protesi attraverso cui operiamo sono sia gli arnesi che le parole, entrambe tecnologie che ci estendono nello spazio esterno al corpo, così come
gli occhiali o un mouse.
In questo senso l’atlante ipermediale “E-motion. Movimenti elettronici” può rivelarsi come un buon modo per attivare una ricognizione teorica
sull’interazione tra corpo e sistemi elettronici, sia per quanto riguarda l’interaction design sia le nuove forme della performance, individuando le
caratteristiche dei dispositivi e delle condizioni che stabiliscono tali processi: dai motion-capture (l’impianto di sensori che rilevano il
movimento fisico e lo traducono in forma digitale) agli ambienti interattivi in cui si sviluppano i climax per installazioni e performance di nuova
sensibilità, fino al digital story-telling attraverso cui è possibile narrare utilizzando l’ambiente digitale per amplificare il senso e il
racconto.
Per quanto possa essere consapevole che l’opinione comune nei confronti del teatro è quella di un’arte tra le tante, se non la più debole e inattuale
, insisto nel sostenere che alla radice del teatro c’è qualcosa che riguarda fortemente il modo attraverso cui ci siamo ambientati nel mondo,
pensandolo e agendolo. E’ attraverso la tecnologia di rappresentazione chiamata teatro che si è infatti presa coscienza del mondo, fisico ed
immaginario, grazie ad un sistema di simulazione che di fatto ha svolto una funzione educativa a tutti gli effetti, insegnandoci a condividere lo
spazio comune nell’integrazione tra l’uso del corpo e della parola.
Credo che una buona definizione di teatro possa essere quella di simulazione fisica di uno spazio mentale: portare fuori attraverso l’azione e
l’espressione verbale qualcosa che risiede nella mente, sentimenti, stati d’animo, visioni mitiche.
Questo portare fuori, rendendolo pubblico, ciò che sta esclusivamente all’interno della sfera privata, ha fatto che sì che si sviluppasse la mente
pubblica, ciò che definiamo civiltà.
Oggi, di fronte all’avvento della Società dell’Informazione, ci poniamo le stesse domande ma rivolte ad uno spazio pubblico fatto di bit, le unità
minime dell’informazione digitale, attraverso cui transitano le nuove espressioni dell’interagire umano, dalle transazioni economiche all’empatia dei
blog.
E’ per questo che credo ai principi attivi del teatro come chiave per misurarci con la mutazione culturale oggi in atto: individuando in alcuni
aspetti della post-avanguardia italiana che negli anni ottanta ha inventato il videoteatro l’inaugurazione del dibattito sul virtuale per procedere in
una ricognizione tra le diverse forme della performance interattiva.
Carlo Infante (per@carloinfante.info )
CD-Rom
E-Motion. Movimenti Elettronici
Atlante ipermediale dell’interazione tra corpi e mondi virtuali
a cura di Carlo Infante
http://www.performingmedia.org
Tracce di una ricognizione teorica per sessioni di studio basate su navigazione guidata
CORPI
La fisicità tradotta in forme e informazioni
>la danza che modella figure virtuali : Ariella Vidach “E-Motions” (2000)
>I segnali elettrici dei muscoli si fanno input digitali: Stelarc “Heaven for every one” (1994)
>L’atleta informa il software del videogame: Medialab “Motion del calciatore“ (1998)
>Il marionettista con il data-glove e il burattino digitale. S.Roveda/G.Verde “Info”(1997)
>Il teatro-danza della tradizione indiana che attraverso i “mudra” descrive la narrazione
(disegni e foto tratte da “Anatomia del teatro” dell’ International School of Theatre Antropology , Casa Usher,1993)
MONDI ELETTRONICI
dalla scena immateriale alla realtà virtuale e aumentata
> L’interazione sottile tra corpo, video e suono: Michele Sambin “VTR&J” (1978)
> l’ambiente artificiale del cromakey: Falso Movimento, “Tango Glaciale” (1982)
> l’interazione tra corpi e monitor video: Corsetti-Studio Azzurro, “Prologo” (1985)
>la realtà artificiale: Myron Krueger, sistema Videoplace, “Critter” (1984)
>la realtà virtuale immersiva: sistema Provision (1992)
>hi-tech / hi-touch: “Contact Water”, Siggraph 2001
> .Gli ambienti sensibili: Studio Azzurro, “Coro” (1995)
>l’azione nello scenario interattivo: Ariella Vidach, sistema Mandala System, “Exp”(1997)
MUTAZIONE
le metamorfosi del mondo digitale
>Cybermartire: Marcel-li Antunez Roca, “Epizoo” (1994)
> L’ibrido uomo-macchina: Stelarc, “Exoskeleton” (1999)
> L’infografia per la simulazione del corpo in azione: Thecla Schiphorst, “Life Forms” (1995)
> .L’animismo elettronico: Studio Azzurro “Giardino delle cose (1992)”
> Balla con i virus: vita artificiale degli agenti intelligenti:Knowbotic Research, Interscena (1997)
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carlo
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un link, tra i tanti
è la tesi realizzata on line dai miei studenti di Torino nel 1999
http://www.teatron.org/corpielettro/corpi_elettroniche.html e poi i miei blog
http://www.performingmedia.org
http://www.teatron.org
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carlo
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gli altri forum
dai un'occhiata qui
http://www.teatron.org/forum/forumdisplay.php?fid=11 in giro,
per vedere come sono andati altri forum nello scambio connettivo degli inpulsi
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Paolo Atzori
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Prendendo lo spunto dallo scritto introduttivo di Carlo, vorrei incentrare il mio intervento su un particolare progetto, Full Play.
Full Play è una produzione di teatro sperimentale che attua i risultati di ricerche principalmente condotte nel dipartimento di Scenografie Digitali
all'Accademia Superiore di Arti Mediali di Colonia da un team internazionale di scienziati, artisti e musicisti.
Affrontando il problema della rappresentazione dell'invisibilità dei flussi di informazione e soprattutto considerando l’informazione come elemento
drammaturgico,
le attività si sono incentrate per alcuni anni sullo studio di una nuova "macchina" teatrale che consenta una rappresentazione dinamica delle
trasformazioni, relative allo sviluppo delle tecnologie della comunicazione, che caratterizzano la societá contemporanea e allo stesso tempo renda
possibile l'esperienza fenomenologica di un nuovo tipo di spazio in cui la sensorialità naturale viene messa a confronto con quella artificiale delle
tecnologie digitali.
Questa ricerca ci ha portato alla definizione e realizzazione di una nuova scena, uno spazio "pervasivo", ambiente multidimensionale e sensibile in
cui l'inserimento di una interfaccia appositamente concepita amplifica il campo e le possibilità d'azione del performer con inconsuete dinamiche:
continui flussi di dati vengono registrati dal sistema ibrido dell'interfaccia che integra reti di sensori e sistemi ottici di cattura del movimento;
l'interfaccia segue la sua azione, registra la corrispondente energia che viene tradotta matematicamente in vettori che vengono mappati nel
dataspace, e diventano fattori determinanti per lo sviluppo dello spettacolo.
Il progetto è concepito come "site specific" sia per quanto riguarda l'allestimento che la drammaturgia ed i suoi contenuti, che oltre a sorgenti
audiovisive dal vivo, consistono di un database di campionature e registrazioni di suoni ed immagini della città in cui Full Play viene
rappresentato.
La scena è disegnata in modo assai flessibile e modulare, per adattarsi allo spazio che ospiterà l'evento; in precedenza, sempre a livello
sperimentale, Full Play è stato allestito nella Westergasfabriek, il gasometro di Amsterdam e a Parigi nella Grand Halle del Parco della Villette.
Lo spettacolo è un solo di danza, liberamente ispirato all'idea dell'Ulisse di Joyce.
Le immagini sono corrispondenti idealmente alle osservazioni di un Mr. Bloom contemporaneo che si aggira in una città nella quale eseguirá una
performance. Registrazioni di
semplici esperienze che ognuno di noi compie quotidianamente, questi dati possono essere fra di loro aggregati essenzialmente su due diverse polarità:
introspettiva & ambientale, interna ed esterna
con la possibilità che in qualsiasi momento, come in uno specchio di Lacan, di reversibilitá del punto di vista: il soggetto diventa oggetto,
l'interno esterno e viceversa.
Uno dei criteri della progettazione della scena è fornire al performer una specifica dimensione per la rappresentazione delle sue idee, dei suoi
pensieri, della sua personalità, del suo modo di vedere e sentire il mondo, che si integri, contemporaneamente, con la sua azione di danzatore, di
rendere possibili associazioni corpo-mente che vengono impresse come in una gigantesca retina nell'anello di schermi sospesi,
tenendo presente che il performer si avventura anche nell'universo dell'informazione: egli si confronta con con uno spazio che reagisce alla sua
azione
e questo sará appunto il terzo livello della drammaturgia ipertestuale.
se invece si concentra sul campo dell'introspezione, la dimensione diventa più "ritrattistica": il "ritratto" dinamico di una persona del nostro
tempo
che si trova in un interno, avvolta da una certa intimità, un normale ambiente, sia esso una casa o un ufficio: mentre i nostri sensi continuamente
percepiscono informazioni sull'ambiente circostante, sovrapponendosi al nostro pensiero che scorre incessantemente così come batte il nostro cuore....
il performer può decidere di spostare l'attenzione all'esterno, osservare ciò che succede nel giardino, le nuvole che corrono per il cielo, la
variazioni di luce, il suono di una macchina, delle campane di una chiesa, un aereo che vola sul cielo... uscire per un viaggio nel fiume
metropolitano... anche in questo caso le sue osservazioni sulla città, sulla gente verranno registrate in modo tale da presentare la sua
visione/percezione degli eventi
e ricombinati in modo tale da costituire un affresco dinamico, un quadro contemporaneo di un paesaggio urbano che costituisce il secondo dei 3
principali livelli drammaturgici.
Per fare ciò è fondamentale la progettazione dell'interfaccia che abilita il performer all'attivazione di un database che sostanzialmente consiste di
riproduzioni ipertestuali della sua memoria e delle sue esperienze relative all'ambiente in cui si trova insieme ad una serie di riflessioni
introspettive, una sorta di rappresentazione multimediale e non lineare dell'idea di stream of consciousness di James Joyce.
Probabilmente il livello più interessante di una simile performance è quello in cui entrambe le dimensioni possono essere contemporaneamente
riunite:
la possibilità per ripercorrere, così come avviene nei sogni, esperienze precedenti assemblandole, mettendole insieme, ri-componendole
secondo logiche inconsuete... come un'immersione nelle correnti invisibili dei dati il performer rivela al pubblico che alla sua azione corrispondono
diversi livelli
produce, attiva, manipola, compone, scompone e ricompone
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carlo
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link al progetto
Quota: | Originariamente scritto da Paolo Atzori
Prendendo lo spunto dallo scritto introduttivo di Carlo, vorrei incentrare il mio intervento su un particolare progetto, Full Play.
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benissimo!
puoi mettere un link al progetto?
e visto che ci sei linki anche ad una pagina web con un tuo profilo?
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Paolo Atzori
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Risposte: 2
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link
link sul progetto si trovano sul mio sito:
http://www.khm.de/~Paolo
poi occorre cliccare su
"PROJECT"
sulla timeline scegliere
1999
per FP ad Amsterdam
e 2002
per FP a parigi
link dei festival:
http://www.villette-numerique.com/main.php ?pg=11&cat=2&lang=fr&vr=f
http://www.villette-numerique.com/main.php?pg=20&lang=fr&vr=f&id=92...
vedi anche
http://www.actioncamfilms.com/fullplay
il mio profilo:
Nasce il 30 Settembre 1958 ad Iglesias , dove compie gli studi primari e secondari.
Dal 1988 fino al 2004 ha vissuto e lavorato a Roma, New York, Vienna, Colonia, Bruxelles.
Dall'estate 2004 vive e lavora prevalentemente in Italia.
STUDI PRINCIPALI
Ha studiato architettura a Venezia e a Roma (tesi sperimentale, relatore Achille Bonito Oliva, sui rapporti fra sviluppo delle tecnologie della
comunicazione e nuove forme artistiche), e
Arti Mediali a Colonia (diploma di specializzazione; relatori: Fabrizio Plessi e Siegfried Zielinski).
ATTIVITÀ
Dal 1984 al 1993 pratica intensivamente lo sport della vela con partecipazione alle piu' importanti competizioni nazionali e a diverse regate
internazionali, comprese due traversate dell'Oceano Atlantico, nel 1987 e nel 1991.
Dal 1990 al 1992 lavora come architetto a Vienna, nell'Atelier Albert Wimmer.
Nel 1992 con Anna Maria Montaldo allestisce a Cagliari la mostra ArtEl, Media Elettronici nell'Arte Visuale in Italia.
Alla fine del 1992, presentando un progetto di Teatro Multimediale, vince il concorso d'ammissione al Master in Media Arts presso l'Accademia
Superiore di Arti Mediali di Colonia, in Germania, conseguendo il Diploma nel 1995.
Dal 1994 al 1997 lavora come assistente di Fabrizio Plessi, professore dell' Accademia Superiore di Arti Mediali di Colonia, con cui nel 1994
costituisce il nuovo corso di "Scenografie Elettroniche"
Il corso comprende un laboratorio con cui vengono realizzate diverse produzioni sperimentali di teatro-danza, la prima delle quali é stata Ex Machina,
nel 1994, con la compagnia belga Charleroi Danses, diretta dal coreografo Frédéric Flamand.
Nel 1996, cura la produzione del secondo progetto di Scenografie Elettroniche, Moving Target, nato da una collaborazione fra Flamand e gli architetti
Diller & Scofidio.
Nel 1997 cura la terza produzione di Scenografie Elettroniche: Memos-Pandora Librante con Fabrizio Plessi ed il Maestro Claudio Ambrosini, lavoro
ispirato alle lezioni americane di Italo Calvino. Per tutti questi progetti crea anche delle immagini video.
Dopo il diploma nel 1995, comincia lo studio e sperimentazione di dispositivi interattivi
applicati a prototipi di set-digitale e ambienti pervasivi.
Dal 1997 al 2000 riceve un incarico come collaboratore artistico-scientifico da parte del Ministero dell'istruzione e Ricerca Scientifica del Nord
Reno Westfalia, presso l'Accademia Superiore di Arti Mediali di Colonia. Grazie a questo incarico concepisce diversi progetti artistici e teatrali che
si incentrano sulla sperimentazione delle tecnologie digitali e della comunicazione.
Negli ultimi anni '90, concentra le sue ricerche nello studio di una nuova scena teatrale che consenta una rappresentazione dinamica delle
trasformazioni che caratterizzano la societá contemporanea, in particolare quelle relative allo sviluppo delle tecnologie della comunicazione.
Nel 1999
con il compositore Anthony Moore ed un gruppo interdisciplinare di artisti e tecnici realizza la prima versione di una performance interattiva di
teatro-danza, FullPlay, allestita nel gasometro di Amsterdam; progetto co-prodotto dai Ministeri della Cultura Olandese, del Nord-Reno Westfalia e
dall'Accademia di Colonia.
Nel 2000, con il coregrafo Roberto Castello realizza a Lucca le Avventure del Signor Quixana, premiato lo stesso anno come migliore produzione di
danza in Italia. Nello stesso anno, a Bruxelles, con la coreografa Michéle Noiret ed il compositore Todor Todoroff crea InBetween. Sempre con gli
stessi artisti nel 2001 realizza Twelve Seasons. Entrambi i lavori sono stati co-prodotti dall'Opera di Bruxelles. Nello stesso anno, a Tel Aviv, crea
Close-Up con la coreografa israeliana Rina Shenfeld. Nel settembre del 2002, a Parigi, realizza la seconda versione del progetto FullPlay con il
compositore Anthony Moore ed il coreografo Bud Blumenthal.
Parallelamente al lavoro artistico avvia un percorso d'insegnamento: nel 1997-1998 progetta e realizza, in collaborazione con Carlo Infante,
Interscena, corso di formazione in Autore Multimediale, per la regione Toscana, Provincia e Comune di Livorno, con contributi europei.
Oltre al progetto Interscena ha insegnato in diversi seminari internazionali (elencati di seguito), l'ultimo dei quali è stato nel Dicembre 2004 a
Ramallah, in Palestina, per l'Università Al Quds di Gerusalemme.
ULTERIORI ATTIVITÀ: 1993-2004
Dal 1993 tiene conferenze, partecipa a festival internazionali e
pubblica diversi articoli e saggi.
Nel 1995 collabora con l' Institute for Network Studies di New York, progettando una cabina
pubblica internet, "Net-Hyper_Booth".
Membro del comitato scientifico e curatore di una sezione di Fabbrica Europa, '97 e '98, a Firenze e
nel 1998-99 del "Golem videofestival”, di Torino.
Socio fondatore dell'Associazione Culturale ANOMOS di Parigi e di Interscena a Lucca.
Nel 2000 elabora il progetto E2 per il Teatro Eliseo di Roma.
Ideazione per la Fondazione Fabbrica Europa di due progetti interdisciplinari incentrati sulla sperimentazione delle tecnologie della comunicazione:
Art_ventures(1998) e Il Gesto(2004-2005). I Entrambi i progetti vengono finanziati dalla Comunità Europea nell'ambito di Cultura 2000.
Nel 2004 fonda con Nicole Leghissa Panic Production e realizza diversi DVD, ipertesti e la videoinstallazione I Liguri per "Genova Capitale Europea
della Cultura" al Museo della Commenda di Prè.
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carlo
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link x treni
http://orario.trenitalia.com/b2c/TimeTable?stazin=Gallarate&stazout...
io prenderei quello delle 19.31 da Porta Garibaldi x arrivare alle 21.28
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carlo
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dimenticavo
dimenticavo che i link troppo lunghi s'incasinano ijn questo forum.
puoi copiarlo e incollarlo, se vuoi
messo qui
fa saltare un pò di passaggi...
è una mia buona pratica quella di usare il forum anche come piattaforma organizzativa
oltre che teorica
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xilli
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Salve a tutti.
Posto sul forum con abominevole ritardo a causa del black out totale dl mio hard disk.
Vi scrivo da un internet point, quindi priva di mie memorie esterne, che siano chiavette usb, dvd et similia.
In realtà, l’increscioso accadimento mi ha fatto riflettere su quanto sia, oggi per me “naturale” , affidarmi a estensioni della mia memoria.
Estensioni che immagazzinano informazioni che io vado a ripescare quando ne ho necessità e desiderio.
La mia è una formazione da filosofo del linguaggio, che poi si è andata mano mano ampliando e specializzando a seconda delle evoluzion/involuzioni
delle sperimentazioni in campo mass mediale.
Quindi prima linguaggi elettronici, oggi quelli digitali.
Concettualmente, mi ha sempre interessato l’aspetto conoscitivo che implicano i cambiamenti legati ai mezzi di comunicazione.
Comunicazione parola tanto inflazionata, quanto, finalmente oggi, circoscrivibile a differenti ambiti.
La comunicazione non è solo pubblicità, persuasione occulta e marketing.
La comunicazione è insita in qualsiasi progetto di messa in scena e ogni spazio è in teoria uno spazio virtuale e ogni spazio virtuale richiede una
determinata drammaturgia dell’interattvità.
La “materializzazione” d cui abbiamo spesso parlato e o scritto negli scorsi anni, a proposito della decostruzione di canoni linguistici e/o
rappresentativi tradizionale - teatro cinema ma anche carta e televisione- è oggi materializzazione di nuove drammaturgie dell’immagine in cui
continua a modificarsi il rapporto tra spectator e actor. Cambiamenti in atto, che modificano il nostro confine tra naturale e artificiale.
Anche se appare tale, non è la medesima cosa segnarsi un numero di telefono su una agendina e memorizzarlo su un palmare. Il supporto che utilizzo per
gestire i miei dati in memoria, modifica anche le connessioni possibili tra le mie memorie. Crea percorsi differenti, attiva ulteriori dispositivi
emotivi e estetici, magari a scapito di altri. I dispositivi tecnologici ampliano il mondo: la cibernetica non è solo al di là dello schermi di un
computer, ma come dire, il cyberspazio siamo noi.
E questa potrebbe essere una delle chiavi di lettura di CCC, il dipositivo tecnologico, che con grande successo sta utilizzando il TPO di Prato, per
allestire i suoi spettacoli e ideare installazioni interattive.
“Cibernetica” proviene da [ koubernis], ossia, governo del vascello. Una emozione di allegria o di sconforto, una conoscenza nel senso stretto del
termine sono informazioni che processiamo in forma di vissuto e immagazziniamo in memoria, sia in entrata che in uscita, sia che siamo riceventi sia
che siamo emittenti di quella determinata informazione/emozione. In questo modo formiamo un sistema che è in continua interazione e trasformazione di
flussi.
Nel mio percorso professionale, oltre alle specifiche attività di formazione nel campo della comunicazione e dei linguaggi dei nuovi media, ha un
ruolo rilevante il mio percorso di regista e autrice radiofonica e televisiva. Percorso che, si è svolto anche lungo i binari di regie non
tradizionali, ma fatte in ambienti virtuali con la grafica computerizzarta.
Questo mi ha permesso di approdare ai nuovi media con una domanda di fondo: come si pensano i nuovi media? Quali sono le possibilità espressive che mi
permette un determinato dispositivo eletrronco e digitale? Quale zona della mia creatività e del mio spettatore credo e vorrei andare a sollecitare?
Che differenza c’è tra una operazione di tipo trans-mediale e una operazione cross-mediale?
Cos’è un concept design? Come si pensano i nuovi media?
Credo che potremo parlarne assieme sabato.
Presentandomi brevemente, posso dire:
attualmente, accanto alle mie docenze e corsi su “ Teorie e metodi di progettazione e regia in ambiente ipemediale” , mi sembra rilevante sottolineare
la mia collaborazione con il T.P.O di Prato ( http://www.tpo.it ) e la mia attività di consulente, in qualità di creative concept designer, presso il research e development lab di una
Società di Telecomunicazioni.
P.S Rileggo prima di lasciare la mia postazione internet point, e vedo di aver usato tanti termini in inglese. Non è per pigrizia mentale, ma credo
che, la difficoltà di trovarne di corrispondenti in italiano, è indice della scarsa presenza di figure professionali “ibride”, che non siano
necessariamente solo ingegneri o solo comunicatori. Getto un sasso nel problema della formazione, di cui spesso sentiamo parlare. Problema che sta a
cuore di molti di noi.
A presto.
Cristina Cilli
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xilli
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arrivi a milano/como
carlo
io arrivo a milano alle 20.00 e alle 20.20 avrei da milano centrale la coincidenza per como , dove arriverei per le 21.00
tutto questo f.s. permettendo.
Direi che ci sentiamo durante il tragitto per vedere di connetterci "fisicamente" in qualche luogo "reale"
a domani
cris
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carlo
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in attesa
bene, ci vediamo già domani sera x cenare insieme
e la mattina, alle 9,30, a Villa Gallia
in attesa che anche Renzo Boldrini metta delle note qui nel forum (in zona cesarini... no limit zone) ecco un link emblematico rispetto al lavoro che
sta facendo sul digital story-telling
http://www.netbabele.it/
e il link al forum
http://www.teatron.org/forum/viewthread.php?tid=89
che attivai 3 anni fa per un seminario su questi temi al DAMS di Bologna
molti altri link si trovano a partire dalla piattaforma di http://www.teatron.org/blog/
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giallomare minimal teatro
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rapporto teatro/scuola e nuovi media
Il rapporto teatro/scuola
Quale ruolo può esercitare il teatro nel contesto educativo contemporaneo?
Un ruolo necessario in un mondo che radicalizza e intensifica l’uso della guerra, come “irrimediabile” strumento di soluzione dei conflitti, nella
società ipermedializzata dove anche i concetti come spazio e tempo vengono moltiplicati aprendo scenari nei processi comunicativi “fantascientifici”
fino a pochi anni fa, il teatro diventa luogo e lingua indispensabile per il confronto fra identità sociali, etniche, culturali e religiose e spazio
della memoria, individuale e collettiva, della selezione di segni e simboli nel rumore di fondo della comunicazione di stampo televisivo. Può divenire
concezione di un tempo liberato dall’estetica urlata dai ritmi frenetici degli spot per diffondere merci, può intensificare la sua vocazine come luogo
d’incontro definito, perimetrabile, “odorabile” fra individui in carne ed ossa.
A maggior ragione il teatro (inteso come spazio, come disciplina multilinguistica, ma anche come modo di guardare e comunicare le “realtà”) è
necessario, oggi più di ieri nell’insieme degli interventi volti a formare la personalità morale ed intellettuale di un individuo, come indispensabile
laboratorio creativo, capacità di mettere in gioco e mozioni private e collettive.
Il teatro inteso come una “terra di mezzo”: uno spazio ed un tempo speciale, condiviso materialmente dove si pratica e si recupera, ad esempio,
l’esplorazione “creativa” del proporio corpo, dei propri sensi, delle proprie energie, oltre gli “stereotipi”, patinati e patologici, del “body
building” e del fisico da top model. Modelli che hanno contribuito a generare “flagelli”, nel mondo degli adolescenti, come anoressia e bulimia. La
“teatralità” intesa come un agire dove la poesia dei numeri ed il rigore matematico della “grammatica” della fantasia sia antidoto alla diffussione di
un’educazione al sapere contingentato in maniera assolutamente “utilitaristica”, costruita con “manuali d’istruzione per l’uso” e Bignami, come
strumenti e testi di approfondimento. Il teatro nella scuola può divenire un territorio assolutamente ideale, dove, tramite il gioco, si possono far
incontrare maschere e burattini con le grandi opportunità che, in termini ludici e compositivi, possono dare l’utilizzo in video proiezione di
immagini realizzate o scaricate dalla rete tramite il computer, ad esempio rispetto al disegno scenografico di uno spettacolo realizzato nella
scuola.
Il teatro, abituato da sempre a far relazionare i linguaggi e le realtà immaginative più diverse può scrivere, ricontestualizzare poeticamente,
l’immaginario della play station o della rete, fondendo, a misura di ragazzo, segni e dimensioni magari utilizzando lo schermo di un computer usandolo
come testa “maschera elettronica” come testa per un “cyberburattino” che ha un corpo realizzato con carta, pennarelli, forbice e colla. Linguaggi,
pratiche comunicative generazionali che operano, creano, nel quotidiano, fratture fra più o meno giovani, che nel gioco di rappresentazione e di
metafora di cui si nutre il “fare” scenico possono trovare logiche di ricomposizione, soluzioni simboliche, catarsi.
Teatro e parola, teatro e lettura.
La relazione con il libro rischia di diventare oggi qualcosa di desueto. E’ lo stesso linguaggio tradizionale sembra scommettersi sotto l’irrompere di
nuovi codici comunicativi dettati dai media che lo modificano nella struttura, nei ritmi, nelle valenze semantiche. Eppure il progetto “Dedicato a
Giulietta e Romeo” è tutto imperniato sulle parole e sulla lettura intesa come modulo comunicativo autonomo. Puoi spiegare le motivazioni di questa
scelta drammaturgica controcorrente?
La scelta innanzitutto deriva per ciò che concerne “Dedicato a Giulietta e Romeo” ad un biettivo: diffondere fra i giovani i testi della grande
tradizione teatrale e letteraria “rimettendoli in gioco” tramite una formula teatrale (crediamo originale) che esplora l’uso del libro come vero e
proprio s/oggetto scenico e scenografico, la parola come segno plasmabile foneticamente ma anche dal punto di vista dell’immagine ed il leggere come
un codice teatrale e ludico estremamente poliedrico.
Proprio la “crisi” di valore e d’uso che sembra investire i più giovani verso strumenti per noi “sacri” quali il libro o la caduta d’attenzione verso
i testi fondamentali della nostra formazione mi ha indicato la necessità di ricercare creativamente una strada che fondesse pratiche “tradizionali”
legate alla lettura ad alta voce e sistemi di riproduzione del suono e dell’immagine legati al digitale ed alla grafica computeristica, segni e
strumenti quotidiani nella comunicazione fra i più giovani.
Così facendo il testo scritto, non solo evoca in questa azione scenica le vicende della Verona dei Montecchi e dei Capuleti ma diventa, tramite la
videoproiezione di frammenti testuali e di parole chiave, trattate ed animate graficamente, scenografia fluida ed imprevedibile, eco visivo che si
fonde con la parola letta e recitata dagli attori. La parola si fa suono, gesto, spazio, colore, partitura sinestetica.
La storia, le sue parole quindi vengono udite, viste dai ragazzi in uno spazio di ascolto, di condivisione che si assume la responsabilità di
“ri/leggere” Shakespeare-Garfield usando anche forme e modalità comunicative non estranee alle loro prassi quotidiane di comunicazione: lo
scritto-parlato degli SMS e delle e-mail, i codici dei writers che riempiono le mura delle scuole e delle città etc. Si badi bene un tentativo
comunque tentato nell’idea di un fare teatro inteso come laboratorio di sottrazione o sintesi, ricerca solo del “necessario”.
Significa, questo sì controcorrente e, a mio avviso, decisivo dal punto di vista culturale, estrarre parole e significati al “rumore di fondo”
semantico ed iconico in cui noi ed i ragazzi veniamo sprofondati da una società della comunicazione che moltiplica costantemente la sua capacità
quantitativa, mediatica con uno svilupparsi inversamente prporzionale alla qualità dei suoi contenuti. Una sovraesposizione che, come accade quando
gli occhi sono sottoposti ad una luce eccessiva, ottiene sordità, cecità, rifiuto.
Perchè prendere come soggetto la storia shakespieariana di Giulietta e Romeo nella riedizione in prosa di Leon Garfield.
Nella sterminata produzione shakespeariana, Giulietta e Romeo credo rappresenti un capitolo particolare per ciò che concerne un suo utilizzo per un
pubblico transgenerazionale che contempla anche i più piccoli. Una storia innanzitutto che ha come protagonisti giovanissimi, il confronto fra storie,
generazioni differenti, il tema dell’amore e della morte, della passione e dell’odio che specularmente s’intrecciano in una storia senza fine.
Una linearità narrativa seppur coniugata con geometrica potenza poetica a continui rimandi, invenzioni e sottotesti legati a personaggi e vicende. Il
tutto condito dalla magistrale capacità del drammaturgo inglese di mischiare commedia e tragedia, sacro e profano, aulico e “volgare”.
Temi, ritmi, personaggi che oggi come ieri possono parlare direttamente anche ai ragazzi ed ai giovani, senza distanza, da uno sguardo ed un ascolto
contemporaneo, anche e soprattutto se ci si fa carico (senza peraltro imboccare scorciatoie imbonitorie) di pensare non solo al testo che si
rappresenta ma anche al referente a cui, in maniera privilegiata, si è scelto di parlare.
Non casualmente, nel tempo, ho, su questo testo, realizzato come drammaturgo e regista, differenti allestimenti sia con attori professionisti che con
ragazzi e giovani. Azioni e spettacoli pensati per pubblici trasversali a cominciare dai più piccoli.
In tal senso la scelta della riduzione in prosa di Leon Garfield per ciò che concerne “Dedicato a Giulietta e Romeo” è una scelta di gradualità. E’
pacifico che la grandezza di Shakespeare risiede soprattutto nella lingua. Ma avendo già l’obiettivo di promuovere, oltre alla storia, il soggetto
libro e l’azione del leggere come forma ludica e teatrale aperta e reinventabile, abbiamo preferito (tranne per qualche breve inserto originale,
innestato sulla riduzione) optare per una versione in prosa pensata proprio per i ragazzi. Una scelta, nella nostra intenzione, non certo definitiva,
intendendo “Dedicato a Giulietta e Romeo” come una tappa, di un potenziale percorso di lavoro su differenti piani, che può nascere dalla visione dello
spettacolo-lettura, ivi compreso un approfondimento del testo originale che continua in classe o in attività collaterali.
Assistendo alla vostra lettura/spettacolo sono stata colpita dalle modalità di esplorazione – direi quasi dilatazione – della parola, che attraverso
l’uso dei riproduttori meccanici, elettronici e digitali si fa immagine, suono, scenografia. Il libro in quanto contenitore della parola diventa
protagonista assoluto della scena. Puoi esemplificare il processo di questa scelta drammaturgica? Hai fatto altre esperienze in questo campo?
La parola che si amplifica, anche spazialmente, che si dilata anche scenograficamente, nel processo drammaturgico e di composizione scenica è un
elemento d’indagine storico nel lavoro di produzione artistica della Compagnia. Nel 1992 con “Boccascena” (premio Stregagatto - produzione del
progetto Teleracconto) spettacolo ispirato da “Non Io” di S.Beckett, l’attrice Vania Pucci aveva la propria bocca quasi incollata ad una telecamera,
montata alla rovescia, in macro ripresa, collegata ad un televisore, che restituiva a colori e a 28 pollici, labbra, denti, lingua e piccoli
oggetti.
Un “cyborg” composto da attore, telecamera e schermo televisivo per costruire una scena-bocca, dove ogni parola tramite la propria scansione, dizione
si trasforma in gesto significante. Ascoltare e vedere, per lo spettatore, subivano un cortocircuito che dava corpo, materia, al gesto del dire.
Nel 1999 in “Storie Zip” (premio Stregagatto) tramite la grafica computeristica, in uno dei brani dello spettacolo, ispirato alla versione di
Cappuccetto Rosso riscritto da Roal Dhal, permetteva alle parole chiave del testo di divenire, tramite la proiezione, scenario digitale dove si
muoveva fisicamente l’attore. Ad esempio, la parola albero, ripetuta e reinventata graficamente all’infinito, sullo schermo formava, a livello
simbolico e percettivo, un bosco dove, non solo si smarriva la protagonista della storia narrata, ma anche ogni spettatore che in quelle tante
versioni “calligrafiche” della parola albero, poteva immaginare forme e colri del bosco a lui più caro.
Nel 2000 “La storia di Giulietta e Romeo” (premio stregagatto) uno dei tanti allestimenti sul testo shakespeariano di cui ho fatto scrittura e regia,
utilizzava i differenti sipari per separare i due pubblici contrapposti (Montecchi e Capuleti) che assistevano alla rappresentazione, come pagine
sterminate di un libro su cui proiettare frammenti di testo, parole e segni che scandivano, scena dopo scena, il susseguirsi della storia.
Contemporaneamente a “Dedicato a Giulietta e Romeo” dal 2001 si è sviluppato su più tappe il progetto “net.babele.it” totalmente incentrato (tramite
l’uso di differenti strumenti: un sito web, un cd rom, laboratori, azioni teatrali e performatiche) sul rapporto fra teatro, parola e
multimedialità.
Una ricerca che fin dal suo formarsi ha cercato, tramite la fusione di tecniche primarie del teatro (figura, parola, corpo, maschera, spazio) e gli
strumenti meccanici, elettronici e digitali di riproduzione del suono e dell’immagine di trovare vie mediane, contaminate e sincretiche fra teatro di
parola ed immagine.
Tu hai sempre dedicato molta attenzione all’”ascolto creativo” da parte dello spettatore, come si realizza questo elemento nella struttura scenica
della lettura/spettacolo? E nei laboratori con gli insegnanti.
Da sempre cerco di occuparmi, quando penso ad uno spettacolo, al “ruolo dello spettatore” e all’interno di un laboratorio su come stimolare un
concreto processo d’interazione (ricerca e produzione comune di senso, intuizione, scoperta) con i “partner” di un percorso laboratoriale.
In questi anni siamo dinanzi ad una perdita significativa della capacità di relazione fra platea e scena o comunque ad una sua diffusa
“banalizzazione” che attraversa, più o meno vistosamente, generi, produzioni etc.
Crediamo che chi il teatro lo fa, lo utilizza per formare professionisti o individui, debba fare lo sforzo di riconsiderare (nello scegliere un testo
o una strategia di rappresentazione) ciò che spesso è dato per scontato: ripensare il meccanismo, il “rito” del teatro. Riflettere sulla perdita di
potere che la scena con la sua frontalità, il suo comunicare unidirezionale, subisce, rispetto al concetto di interattività fra emittente e ricevente
di un messaggio, sul quale la comunicazione multimediale poggia il suo fulcro.
E’ utile riconsiderare, soprattutto nei processi di uso del teatro a fini educativi e quindi svincolati dai paletti dell’uso della rappresentazione
come merce (ad esempio, la preoccupazione del numero degli spettatori che pagano il biglietto) alcuni elementi del rito di rappresentazione come l’uso
dello spazio che può prevedere infinite variazioni di senso poetico e drammaturgico rispetto alla posizionatura e relazione tra gli spettatori e la
scena etc.
In “dedicato a Giulietta e Romeo”, ho ulteriormente sviluppato la chiave di lettura applicata negli anni alle varie edizioni che ho realizzato su
questo testo: il conflitto fra Montecchi e Capuleti.
Il pubblico viene diviso in due fazioni, gli attori che interpretano due personaggi che leggono, di fatto si riferiscono, capeggiano la propria parte
di pubblico. Gli spettatori sono trascinati fin dalle prime parole dell’azione/lettura ad identificarsi nella propria fazione, a contrapporsi alla
“lettura” degli avvenimenti, strumentale, che ogni attore ne da, usando ogni sfumatura, ogni sottotesto della vicenda, a suo favore. Gli spettatori si
trovano dentro la storia, protagonisti della vicenda.
Per ciò che concerne i laboratori che si sono sviluppati presso il Centro S.Chiara rispetto a questa esperienza, come sempre, ho spinto verso un
coinvolgimento “paritetico” soprattutto per quanto riguarda la parte pratica fra conduttore ed insegnanti. Ho stimolato rispetto ai testi presi in
esame (“Giulietta e Romeo” e “Sogno di una notte di mezza estate”) una moltiplicazione, una personalizzazione del testo da parte di ogni gruppo di
lavoro, assumendomi costantemente l’onere di assumere le indicazione delle “allieve” come materia grezza da trattare drammaturgicamente e
registicamente e quindi da rilanciare ad una loro ulteriore ridefinizione (teatrale e di messa in scena). Un processo di stimolo/risposta, che
cercasse di stabilire un feed/back costante con le insegnanti, per mantenere viva la loro curiosità, tensione di scoperta creativa, e di soluzioni
linguistiche, sceniche etc.
Il tuo discorso lascia intravedere una pluralità di ricadute nella prassi scolastica: lettura individuale e collettiva, messa in scena di
personaggi/lettori, uso delle biblioteche come spazi teatrali. Ma sono “sostenibili” queste esperienze nella situazione scolastica attuale?
“Dedicato a Giulietta e Romeo” punta proprio sulla “sostenibilità” in termini imitativi di riproduzione, tecnica ed ambientale anche in luoghi
(scuola, centri sociali,etc) dove non siano presenti spazi, strutture estrumenti di carattere teatrale. Lo spettacolo vuole essere stimolo e punto di
partenza, viste le tecniche e modalità di rappresentazione utilizzate, per i ragazzi, le insegnanti o più in generale, per i più diversi spettatori
grandi o piccoli. “Dedicato a Giulietta e Romeo” non casualmente nasce da un duplice lavoro di sperimentazione laboratoriale contemporaneamente
sviluppato da un lato nei due anni di laboratorio insieme ai docenti di Trento e della provincia coinvolti nel progetto “Scene Leggere” promosso dal
Centro S.Chiara e dall’altro con un lavoro fra operatori professionisti per la produzione della performance. Infatti lo spettacolo, pur avendo una
vita autonoma, idealmente nasce come una tappa di un percorso di ricerca più vasto indirizzato a ragazzi, insegnanti, genitori, operatori etc. Un
orizzonte di studio che può, singolarmente, o, trasversalmente, affrontare più livelli di approfondimento di carattere laboratoriale:
a) Lettura individuale e collettiva, intesa come traccia primaria teatrale, contaminabile, con elementi di narrazione ed utilizzo di segni ed oggetti
legati all’universo lettura (libri, leggii, pagine etc.) reinventati come s/oggetti di scena.
b) L’uso di luoghi “quotidiani” reinventati come spazio scenico a partire da ambienti abitualmente “abitati” da libri come biblioteche, sale lettura,
classi etc.
c) L’utilizzo della parola, oltre che come suono e musicalità come spazio scenografico, maschera, costume. Costruzione tridimensionale e
bidimensionale di s/oggetti parola, utilizzando elementi di tecnica grafica pittorica, o strumenti riproduttivi come fotocopiatrici, video e
telecamera, diapositive, lavagna luminosa e computer.
d) Lavoro sul punto di vista dello spettatore attivando percorsi di “ascolto creativo” e strutture drammaturgiche che puntano sull’interazione
poetica, simbolica, ludica fra scena e platea.
e) Costruzione, a partire dalla storia matrice presa in considerazione, di nuovi testi da leggere e costruzione di libri intesi, non solo come
contenitori di testo, ma anche strumenti ideati per la rappresntazione del contenuto.
Una linea di lavoro che punta molto sulla potenza simbolica ed evocativa delle parole ed ad una restituzione di senso legata ad una loro esplorazione
e dilatazione semantica nello spazio, nel tempo. Un lavoro utile a partire dai più piccoli, immersi in una pratica quotidiana d’ascolto caratterizzata
dai ritmi vertiginosi tipici di una comunicazione audiovisuale “satura”, dal punto di vista informativo, come quella televisiva. Quindi si punta ad un
agire che fa perno sull’artigianalità creativa e che conta su stimoli flessibili capaci di dialogare con differenti gruppi di lavoro e spazi.
Condizioni che permettono a questa proposta una sostenibile diffusione anche nello scenario, non certo esaltante, della scuola italiana di oggi.
L'uso della tecnologia - anche nelle sue forme più semplici consentite dalle attrezzature scolastiche - non rischia di impoverire le potenzialità
espressive dei ragazzi?
Una sequenza di diapositive, anche monocrome, che siano in grado di sollecitare in aula spoglia, usata come teatro, una reazione, fisica e testuale
(magari legata alle sensazioni di Alice che cade, seguendo il coniglio bianco, nella buca che la precipita verso il paese delle meraviglie) in un
gioco di drammatizzazione, credo moltiplichi e non sottragga stimoli di scoperta e occasioni di provare e suscitare emozioni tramite la scena. Si può
giocare con un episcopio, una lavagna luminosa, e usare la parete di un’aula come fosse una pagina di un grande libro immaginario, che dà sfondo e
contribuisce in concorso alla voce ed al gesto alla rappresentazione della storia. Gli attori possono interagire con le parole di quel testo che si
compongono, s’ingrandiscono, si dissolvono etc.
La chiave del problema sta tutta nell’equilibrio e nella modalità di uso delle varie tecnologie che possono interagire con la “macchina” corpo ed
aiutarci a immaginare, rappresentare mondi, storie, colori, suoni. Ci si interroghi piuttosto se le immagini e i suoni prodotti ne sostituiscono in
termini informativi il gioco teatrale, senza attivare la dolce fatica necessaria per scoprire metafore, invenzioni simboliche.
Se si proietta una pagina di Giulietta e Romeo così com’è, per leggerla punto e basta, non c’è prassi teatrale e creativa, ma, al più, si realizza un
contributo di defaticamento oculistico per gli spettatori. Inoltre crediamo “obbligatorio” che il teatro, ovvero la più straordinaria macchina
multimediale pensata dall’uomo (basti pensare all’incontro fra ricerca scientifica/tecnologica ed arte con le macchine teatrali rinascimentali del
Vasari, Michelangelo, Leonardo da Vinci) quando dialoga con i più giovani del suo tempo, non può prescindere dal confronto con i segni che
caratterizzano la loro vita individuale e sociale.
Non si può ignorare l’utilizzo continuo di strumenti e forme di comunicazione che caratterizzano, quotidianamente, il loro habitat comunicativo. Non
bisogna erigere muri ma costruire ponti fra immaginari. La Play Station in se potrebbe essere un formidabile strumento di arricchimento a livello
cognitivo di un ragazzo o uno strumento capace di contribuire a creare gravi patologie relazionali. Dipende da come la si intende, usa. In teatro, la
Play Station, la sua grafica, il suo alfabeto linguistico, la sua tipologia narrativa, può diventare sfondo per ricontestualizzare Cappuccetto Rosso
oppure Edipo, magari utilizzando solo l’audio tipico dei giochi elettronici usato come colonna sonora per un racconto fatto solo di parole.
La centralità è quella del corpo dell’attore, della poesia a cui, come si è fatto fin dagli albori del teatro, si aggiungono “segni” come la luce che,
nel tempo, passa dalla tecnologia del fuoco e delle torce fino alle sofisticate macchine di illuminazione e riproduzione delle immagini capaci di
realizzare le più straordianarie visioni ed atmosfere.
Bisogna pensare all’artificio audiovisuale, alla realtà virtuale ed artificiale non come dimensioni che “sostituiscono”, ci sottraggono dalla realtà e
le sue infinite rappresentazioni ma ne articolano una sua possibile amplificazione. Buona esplorazione!
Come richiestomi da Giovanna provo a buttar giù qualche nota introduttiva e di contestualizzazione del progetto.
“Dedicato a Giulietta e Romeo” nasce all’interno del Progetto “Scene Leggere” promosso dal Centro Culturale S.Chiara di Trento ed affidato a Giallo
Mare Minimal Teatro in collaborazione con Giovanna Palmieri. Un progetto, rivolto alle insegnanti di ogni ordine e grado della città e della provincia
di Trento, che si è sviluppato nell’arco di tre anni e che si poneva i seguenti obiettivi:
a) Diffondere fra i più giovani e nel mondo della scuola la conoscenza di libri, testi della grande tradizione teatrale a partire da William
Shakespeare.
b) Realizzare un doppio livello di ricerca laboratoriale, da un lato il team fra operatori ed insegnanti e dall’altro fra professionisti dello
spettacolo che esplorino la lettura ad alta voce come genere teatrale autonomo.
c) Indagare sulla parola, sulla scrittura, sul testo, non solo come phonè, ma come materia plasmabile (anche tramite l’uso di strumenti di
riproduzione digitali e meccanici dell’immagine) come spazio scenografico, maschera “elettronica” etc.
d) Utilizzo del libro non solo come fonte di lettura o d’ispirazione registica-drammaturgica ma vero e proprio s/oggetto scenico, figura, strumento di
rappresentazione.
e) Favorire, tramite l’indicazione di tecniche, metodologie creative, la realizzazione nelle scuole del territorio di esperienze teatrali legate alla
“rimessa in gioco” di testi shakespeariani (“Giulietta e Romeo” e “Sogno di una notte di mezza estate”) nella scuola tramite processi di adattamento e
“messa in lettura” delle storie da parte dei ragazzi.
f) Costruire tracce di un programma creativo (quasi un piccolo vademecum teorico-pratico rappresentato anche da questo testo) per giovani, operatori,
insegnanti sulla valorizzazione del libro e del leggere in termini ludici ed educativi a cavallo fra teatro e multimedialità.
g) Realizzare un’azione, a cavallo fra lettura a voce alta e messa in scena, sul testo “Giulietta e Romeo” da presentare alle scuole di Trento e
provincia.
Un percorso che è concretamente riuscito a raggiungere gli obiettivi prefissati, fra i quali trova un oggettivo e visibile riscontro, una
realizzazione diffusa di esperienze nelle scuole di quel territorio legate ai testi ed ai tempi del progetto e realizzate autonomamente da ragazzi ed
insegnanti. E’ capitato che biblioteche d’istituto sono diventate luoghi scenici per leggere e raccontare le vicende dei Montecchi e Capuleti.
Mentre le vicende ed i personaggi del “Sogno” sono stati riambientati in Pub e Locande delle Valli e della Provincia di Trento, trasferendo fate e
folletti, nelle notti a rischio di molti nostri adolescenti alla ricerca di sogni artificiali.
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carlo
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sta parlando
paolo e scorrono le immagini di performance realizzate con la coreografa noiret.
si parla di spazi sensibili,in grado cioè di reagire alle azioni dei performer...
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gstefi
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saper lavorare insieme
Il primo intervento è stato fatto da Carlo; la sua introduzione è stata interessante anche se qualche volta siamo stati distratti dal vento che
"chiudeva le finestre".
Il teatro nasce grazie ai Greci ed è direttamente connesso alla necessità di avere un codice comune, così che ci si possa capire ed intendere.
Il teatro è nato perché è direttamente funzionale alla comunicazione; il cinema, la televisione sono solo invenzioni che seguono "l'illuminazione" del
teatro.
Secondo me il teatro serve a sfogare le proprie emozioni e ad imparare una cosa che a parer mio ha molta importanza: saper lavorare insieme e saper
accettare i pregi e i difetti di tutti quelli che ci circondano.
Voi cosa ne pensate? Mi piacerebbe molto saperlo. Grazie
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bici
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La cibernetiica ritorno al teatro
La conferenza è stata suddivisa in quattro parti ognuna delle quali aveva un relatore diverso. Nella prima parte Carlo Infante ha introdotto il tema
della conferenza, immergendoci nell'ambiente e nella problematica proposta dalla conferenza. Ha iniziato dicendo che per primo il teatro stesso è
stato un media in quanto permetteva la comunicazione tra diversi cittadini di una stessa polis.Il teatro usava due tipi di linguggi, da una parte
l'alfabeto, parole quindi portatrici di un significante e di un significato, dall'altra parte il linguggio del corpo, molto più immediato e capace di
esprimere significati che vanno al di la di molte forme di linguaggio. Importante all'interno di questa prospettiva è il concetto di PERCEZIONE, che è
stato uno dein punti chiave di tutta la conferenza. Il teatro è diverso dalla percezione ce noi abbiamo e diventa spesso una vera e propria
esperienza psicologica e interiore. Quello che mi chiedo se in un certo senso al cibernetica e le realtà virtuali non siano un ritorno a un tipo di
processo inetriiore molto più attiva, in quanto...
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demopith.
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e' sicuramente un mio limite mentale il non riuscire ad associare all'idea di teatro un concetto di elettronica. mi risulta antitetico...forse per
un'ignoranza di principio. Ho trovato comunque la conferenza alquanto interessante, per certi versi forse complicata, ma ne attribuisco la "colpa"
sempre al mio "limite". (Il racconto della relatrice a proposito del bimbo auitistico, è per me stato la dimostrazione della passione con cui lavorano
i professori che ho avuto piacere di ascoltare) Complimenti. Rifletterò su ciò che ho ascoltato e tornerò per le domande che sicuramente sorgeranno...
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carlo
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la palestra dell'alterità
Quota: | Originariamente scritto da gstefi
Il primo intervento è stato fatto da Carlo; la sua introduzione è stata interessante anche se qualche volta siamo stati distratti dal vento che
"chiudeva le finestre".
Il teatro nasce grazie ai Greci ed è direttamente connesso alla necessità di avere un codice comune, così che ci si possa capire ed intendere.
Il teatro è nato perché è direttamente funzionale alla comunicazione; il cinema, la televisione sono solo invenzioni che seguono "l'illuminazione" del
teatro.
Secondo me il teatro serve a sfogare le proprie emozioni e ad imparare una cosa che a parer mio ha molta importanza: saper lavorare insieme e saper
accettare i pregi e i difetti di tutti quelli che ci circondano.
Voi cosa ne pensate? Mi piacerebbe molto saperlo. Grazie
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sono perfettamente d'accordo
il teatro è la migliore palestra dell'alterità
ovvero
la condizione che ci pernette d'uscire da noi stessi, dal nostro guscio psicologico,
per entrare in relazione con l'altro
il teatro è percezione condivisa
grazie per aver aperto la pista degli interventi in questo forum durante il convegno
come vedi (a proposito, vedete come è utile il forum? rispondendo a stefi lancio un'istruzione x l'uso del forum a tutti)
ho usato il QUOTE x risponderti
ciò pernette di citare l'intervento verso cui mi rivolgo nello specifico rendendo + chiara la dinamica del confronto
alcuni interventi tenderanno infatti a rispondere nello specifico, e così tutto diventa + esplicito
spero che i vostri insegnanti trovino un tempo della didattica x dare opportunità a questa vostra esperienza di commentario dell'evento
educare significa tirar fuori!
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