Gli insegnanti della Scuola Elementare: libere valutazioni


Luciana

La formazione. Partiamo dal principio, da quel fatidico settembre del 2002, quando questo progetto cominciò a far parlare di sé. Fin dalle prime battute c’era qualcosa che mi aveva conquistata, mi ammaliava, l’idea di partecipare cominciava a occupare i miei pensieri. Con Giuliana abbozzavamo qualche frase, cominciavamo a progettare… Tutto il carico di lavoro,che andava ad aggiungersi a tutto ciò che più o meno andavamo a programmare, non solo come attività curricolari, ma anche come progetti a cui intendevamo partecipare,certo non ci consolava, e il solo pensiero ci metteva in uno stato d’ansia notevole.Inoltre il progetto non poteva prescindere da un lavoro di team, che solo se concepito come lavoro di gruppo avrebbe sortito i risultati cui mirava, e c’è da dire che non per tutte la disponibilità era piena. Sicurametnte volevamo vederci chiaro fra formazione, attività, laboratori curricolari, extracurricolari per adulti e per ragazzi, progettazione e chi più ne ha più ne metta non si poteva “dormir sogni tranquilli”! Comunque sia il condizionamento è stato forte e abbiamo intrapreso il nostro viaggio verso una destinazione sconosciuta e fumosa.Già perché, essendo un progetto di ricerca, non tutto era chiaramente definito.E’ cominciata così la formazione, il primo modulo, quello con Antonio Viganò, che ha cominciato a solleticare in me le prime emozioni. Poi di seguito con scadenze e ritmi più o meno regolari tutti gli altri. Mai, forse, prima d’ora mi ero messa in gioco in situazioni simili. Diciamo che la mia disponibilità ad attività di questo tipo non è stata piena e scontata sempre e subito.Alcune delle proposte della formazione devono rientrare in un “modus vivendi” per essere colte appieno nel loro “credo”. Senza contare che in moltissimi casi tali attività seguivano giornate piene e massacranti di lavoro con i bambini, in settimane colme di impegni scolastici,e poi a casa il lavoro di mamma, che pensa ai figli degli altri e assolutamente non può permettersi di trascurare i suoi,e poi il marito, la casa, non c’è più tempo e spazio per nessuno neanche per te stessa. Ecco perché a volte è mancata la voglia di entrare interamente in situazione, perché la stanchezza bloccava la mia diponibilità a entrare dentro, a pensare un po’ a me. Lo stesso dicasi per i momenti di discussione che spesso avvenivano a fine serata, quando ormai si era troppo stanchi per pensare e anche per ascoltare i discorsi cattedratici di qualcuno che confondeva maggiormente un percorso che a fatica andavamo rischiarando. Devo ammettere che, però, non sono mancati gli stimoli positivi per le attività che poi abbiamo condotto con i bambini. Certamente adesso sono contenta che tutto stia ormai per finire, siamo agli sgoccioli, posso sfogarmi e urlare: FINALMENTE!
I laboratori curricolari. Adesso se ci penso i miei ricordi sono mescolati a tante emozioni e stati d’animo, che vanno dalla gioia, all’entusiasmo, alla fatica…ricordo che in principio, quando cioè ancora non sapevamo cosa andare a fare erano quasi un incubo.E’ stato necessario sederci a tavolino, schiarirci le idee, confrontarci, approfondire alcune conoscenze consultando testi e riviste, progettare.Siamo state sole a fare tutto ciò. In questo io credo ci sono mancati dei sostegni. Abbiamo rischiarato i fumi dei nostri pensieri a nostre spese. Ci ha ripagato però l’entusiasmo dei bambini, che indistamente e continuamente chiedevano: quando andiamo in teatrino? Lì dove loro, e inconsciamente anche noi, adulti, ci liberavamo di ogni “abito”, e tutti insieme cominciavamo a “giocare, facendo finta di…”
Se devo considerare il disciplinare, per me che insegno matematica la vita a volte è stata un po’ più complicata. Voglio dire che qualche spazio è stato sacrificato, ma secondo me nei contenuti, non negli obiettivi. Si, perché la matematica per me è flessibilità e fluidità di pensiero, ipotesi e progettazione di percorsi, ricerca di strategie alternative, e poi tecniche e abilità. Per qualcuno tutto questo vuol dire perdere tempo, ma io ci credo ciecamente e porto avanti questa convinzione da molti anni, fin da quando insegno matematica. Il “teatro” è stato un altro strumento per portare avanti questo mio credo.

 


Giuliana

L’esperienza compiuta si chiude con un bilancio complessivamente positivo. Devo però esprimere un certo disappunto per il carico di lavoro che non accenna a diminuire visto che, al termine dell’anno scolastico, alle “fatiche” istituzionali consuete continua ad aggiungersi la necessità di esplicitare valutazioni su valutazioni, fuori da ogni previsione.

L’esperienza didattica
È stata messa in atto una modalità di lavorare nella scuola che ha indubbiamente arricchito il percorso di un anno scolastico. Le energie sviluppate negli “spazi” del laboratorio teatrale hanno continuato ad espandersi permeando le discipline e ricadendo quindi positivamente non solo sull’integrazione ma anche sulla partecipazione e sul rendimento degli alunni. È stato naturale utilizzare strategie di coinvolgimento sperimentate in “teatro” anche durante le ore dedicate alla riflessione linguistica o all’analisi testuale.
Gli alunni spontaneamente ed in svariate occasioni hanno utilizzato forme di scrittura creativa.
Nei laboratori teatrali c’è stata la creatività del gesto del movimento, del ritmo ….. dopo, nell’attività di educazione all’immagine, i bambini hanno prodotto disegni sempre più originali, espressivi, curati sotto il profilo grafico pittorico e per esprimere i propri vissuti o rappresentare immagini hanno spontaneamente utilizzato “tecniche e materiali diversi” oltre il disegno.
Come ho già avuto modo di scrivere, alcuni segmenti del percorso sono stati definiti dai bambini indimenticabili. È stato evidente, nei lavori di gruppo proposti, l’impulso dato alla capacità di collaborazione con l’altro.
I bambini nel corso delle attività di laboratorio sembravano accumulare forti energie che permanevano nelle ore e nei giorni successivi: rispondevano sempre con prontezza alle proposte operative, erano sempre gioiosi e pronti a lavorare; quella carica sembra durare ancora e così …. a scuola si divertono anche quando scrivono, leggono, eseguono esercizi.

L’esperienza di formazione
Ripeto testualmente quanto gia scritto in altra sede Le risorse professionale che hanno guidato il percorso di formazione sono state indiscutibilmente importanti e significative. Tutti “i nostri maestri” hanno indicato, suggerito, sollecitato un modo di TEATRARE possibile per tutti i bambini, che fosse per tutti coinvolgente e partecipato; soprattutto hanno stimolato la ricerca di percorsi didattici utili alla crescita sociale di TUTTO IL GRUPPO CLASSE, in un’ottica di accoglienza e di collaborazione”.
Aggiungo: avrei voluto vivere diversamente un percorso così importante. Avrei voluto essere ancora più serena e disponibile.
Di chi la colpa?
I modelli organizzativi della formazione dei docenti della scuola italiana continuano ad essere di scarsa efficacia.
Come si può essere sereni e disponibili lavorando nelle classi “frontalmente” per cinque ore antimeridiane e frequentare nel pomeriggio quattro ore di attività di laboratorio con appena un’ora e mezza d’intervallo durante il quale assolvere tutti gli impegni famigliari?
Attività che fanno mettere tanto in gioco se stessi necessiterebbero di tempi più rilassati.
Ancora: come si può preventivare la durata di un percorso in cui siano coinvolti docenti in servizio e poi andare così oltre tanto da interferire con altri impegni istituzionali e privati?



Francesca

Mettersi in gioco, esprimere le più intime energie positive e negative, scoprire chi siamo come adulti o come bambini non è facile e quasi sempre è più comodo evitarlo. Con il teatro tutto ciò è possibile: se lo vogliamo, se realmente lo crediamo, se ci amiamo tanto da regalarcelo. Risposta positiva è dunque emersa attraverso l’attivazione dei laboratori espressivo-teatrali di cui abbiamo fruito sia noi docenti che gli alunni. L’impegno che ciascuno di noi ha profuso in contesti di attività che privilegiavano il gioco-drammatizzazione e movimento come principale strumento di comunicazione, ha consentito di soddisfare bisogni spesso negati: socializzazione, fantasia ed immaginazione, desiderio di fare da sé, maggiore consapevolezza di sé e, conseguentemente, migliori qualità relazionali e di integrazione.
Ritengo che solo partendo dall’oscuro, profondo mondo dell’anima di ciascuno, teatrando anche la propria vita, migliorando il rapporto con noi stessi e conseguentemente integrandosi con gli altri con il tramite del “teatro di partecipazione”, si possono ottenere “miracoli” pedagogico-didattici e della persona nella sua totalità (adulto o bambino che sia) integrato in una scuola-mondo partecipato.
Tale didattica ha offerto moltissime opportunità di scambi, di conoscenze e situazioni di apprendimento, tanto più significativi in quanto non si è trasmesso un sapere preconfezionato ma sono stati coinvolti gli alunni nel provare, scoprire, ricercare, risolvere, discutere. Nello specifico, la didattica laboratoriale-teatrale ha consentito di fare acquisire a tutti:
v una migliore capacità di interazione sociale;
v la capacità di comprendere la necessità ed il valore delle regole dei comportamenti sociali corretti;
v la capacità produttiva a livello produttivo completo;
v capacità espressive e creative adeguate;
v la capacità di socializzare e collaborare nella struttura sociale;
v la consapevolezza di far parte di un gruppo;
v la conoscenza di differenti tipi di comunicazione (linguaggi verbali e non verbali);
v la conoscenza delle potenzialità del linguaggio visivo, espressivo e corporeo.
In ciò che ho espresso ho da sempre creduto, l’esperienza vissuta con il progetto “per una integrazione partecipata: quale teatro?”, ha contribuito a rafforzare maggiormente le mie convinzioni e ritengo di poter arricchire sempre più in futuro attraverso questo tipo di esperienza il mio vissuto di persona globale. Voglio aggiungere che l’efficacia dell’esperienza liberatoria del “teatro di partecipazione” ho potuto verificarla anche come mamma, in quanto mio figlio vive già da un anno un approccio teatrale di questo tipo in altri contesti. Penso inoltre che tale progetto abbia finalmente permesso la realizzazione di una continuità interistituzionale (scuola elementare/scuola media) vissuta sul piano umano.



Giovanna

Personalmente sono sempre stata interessata alla problematica della integrazione e nel corso della mia esperienza con bambini affetti da autismo, da sindromi psicotiche o altro, ho dovuto ricercare continuamente strategie comunicative che mi permettessero di relazionarmi e di intervenire al meglio con essi.
Pertanto, circa vent’anni a, spinta dal desiderio di innovare le mie metodologie didattiche, spesso inadeguate rispetto a specifiche situazioni di alunni, e di disporre di nuovi strumenti interpretativi del comportamento degli alunni stessi, iniziai una formazione basata sull’educazione alla corporeità, alla relazione, che durò per ben quattro anni. Mi trovavo a Mestre e cominciai a partecipare agli stages e ai seminari di studio che tenevano in Italia due psicomotricisti francesi, B, Aucouturier e A. Lapière; con Lapière ho lavorato anche a Strasburgo e a barcellona. In seguito a queste mie esperienze di formazione, ma anche parallelamente ad esse, cominciai pian piano a scoprire quanto il nostro corpo parli, anche a nostra insaputa… a conoscere il mio corpo, a padroneggiarlo, a sviluppare l’aspetto comunicativo con il mio corpo, a sentirmi bene e a star bene con gli altri. Naturalmente tutto questo ha comportato fatica e comporta tutt’ora fatica.
L’esperienza di formazione del nostro progetto mi ha reso ulteriormente consapevole del fatto che, per dimostrare l’ipotesi su cui si fonda, è necessario che i docenti-educatori siano consapevoli del ruolo che il corpo ha nella relazione con se stessi, con gli oggetti, con gli altri. Ritengo, pertanto, che non possano esimersi dal are certi percorsi, che spesso sono determinanti per stabilire approcci e relazioni corrette con gli alunn.Credo inoltre che sia giusto, probabilmente anche onesto, prendere coscienza di quelle che sono le resistenze interne di ciascuno di noi, le quali molte volte rimandano alla nostra storia personale, a come il nostro corpo è stato accettato o negato.
Ritengo infatti che un insegnante, proprio per il compito specifico che si assume, non debba prescindere da una formazione globale della persona. Non è possibile mantenere scissi da una parte il pensiero, dall’altra il corpo, veicolo delle emozioni.
Noi adulti non facciamo più passare nulla attraverso il corpo, non ascoltiamo più i nostri vissuti affettivi e relazionali; ci fa più comodo naturalmente intellettualizzarli e sublimarli in parole. Del resto sappiamo bene che è più difficile il confronto con i colleghi sul piano affettivo-relazionale, piuttosto che su quello delle competenze.
In una formazione di questo tipo non puoi non “metterti in gioco”, pena l’autoesclusione, l’abbandono,; non puoi non sentirti, inizialmente, destrutturato, segnato da rotture rivoluzionarie che porteranno pian piano, solo se lo si vuole veramente, a una ristrutturazione della persona nella sua globalità.
La consapevolezza di “essere” lì con il corpo, oltre che con la mente, di essere se stessi, di provare emozioni, di gestirle, ci mette in comunicazione vera con l’altro, nel rapporto spazio-tempo con l’altro. E’ sicuramente più vantaggioso “insegnare insegnandoci” in quanto ci permette di utilizzare tutti i canali attraverso cui i bambini apprendono. La metodologia del “teatro partecipato”, o comunque di una scuola fondata sul “gioco-teatro” dà la possibilità di perseguire obiettivi curricolari, come ho potuto rilevare sia in passato sia nell’esperienza didattica svolta, di “scoprire” le conoscenze, i saperi, attraverso modalità destrutturate, in base ai bisogni e alle finalità, di codificare regole nell’interazione con gli altri, di stabilire autentici rapporti con gli altri, in cui tutti diventiamo attori e spettatori delle nostre storie e della nostra crescita psicosociale e culturale.
Durante i nostri laboratori didattici si sono verificati evidenti cambiamenti, in positivo, nel gruppo, sia sul piano delle relazioni interpersonali tra bambini, tra adulti, tra bambini e adulti, sia sul piano degli apprendimenti, delle conoscenze, spesso volutamente mirate, ma fatte passare attraverso le emozioni e , come tali, veramente assimilate e interiorizzate. Nei diversi spazi laboratoriali (teatrino della scuola, aula, palestra) non sono mai mancate attività di riflessione, di comunicazione verbale, di libera espressione ma anche di consegne precise, di scrittura creativa, che hanno permesso ai bambini di simbolizzare i propri vissuti e di elaborarli, di imparare giocando.
Il “teatro della partecipazione” potrebbe rientrare in un discorso di curricolo per “rompere” in un certo senso un sistema di strategie non sempre funzionali o consone ai diversi approcci relazionali ma anche apprenditivi dei bambini, quindi non rispettosi di essi. Comunque, di fatto, è estremamente importante che i bambini, a scuola, “si sentano bene”. Noi abbiamo il dovere di assicurare loro questo benessere e credo che sia vero che “per crescere bisogna cambiare”.



Gabriella

Mi piace lavorare con i bambini e l’esperienza didattica vissuta nel corrente anno scolastico è stata per me, un’opportunità di crescita personale e professionale.
Giorno dopo giorno ho “partecipato” al crescente entusiasmo degli alunni verso la proposta di lavoro vissuta attraverso l’esperienza del “GIOCO”.
Il laboratorio curricolare è diventato così un pretesto per comunicare ,per esprimere,per capire ,per conoscere gli altri e se stessi,per maturare e migliorare il proprio rapporto con se stessi e con gli altri,per scoprire il piacere e l’utilità del “GIOCO”.
Nella dimensione piacevole del “gioco teatrale”,ho avuto l’opportunità di osservare i bambini in una situazione nuova,decontestualizzata dall’ambiente-aula specificatamente scolastico,e da un punto di vista privilegiato che mi ha permesso di comprenderli meglio e di individuarne bisogni e risorse.
Lo “spazio” e il “tempo” del laboratorio teatrale ha consentito ai piccoli protagonisti di “giocare” le proprie emozioni,senza ansia e timore, nella consapevolezza di un grande divertimento.
E’ in questo “spazio” che TUTTI i bambini hanno usato,spontaneamente,modalità espressive diversificate: il corpo nella sua globalità dinamica e statica(che produce e comunica sensazioni ed emozioni) , il gesto, la voce, la mimica, il linguaggio iconico, il linguaggio creativo(scrittura creativa) , il linguaggio musicale( brani musicali selezionati dai bambini in funzione di un sottofondo ritmico per giochi-conte-filastrocche).
In un contesto libero dai rigidi schemi istituzionali (intendo aula e contenuti didattici squisitamente disciplinari) i bambini TUTTI hanno giocato, hanno agito individualmente e in gruppo, hanno scoperto regole, hanno imparato a rispettare i ritmi degli altri e a far conoscere i propri, hanno inventato, hanno ridimensionato instabilita attentiva-motoria-di concentrazione, hanno aperto uno spiraglio nel loro mutismo-isolamento, hanno controllato l’impulsività. MA soprattutto hanno provato grande godimento nello stare bene tutti insieme
E non solo. E’ cresciuta senza dubbio, l’autostima e la motivazione ad apprendere.
Personalmente ritengo che la valenza pedagogica di questa esperienza non è tanto nel raggiungimento o meno di obiettivi,quanto nel percorso di integrazioneche tutti insieme,docenti ed alunni,abbiamo fatto.
La formazione
Inizialmente ho opposto resistenza, mi sono sentita destabilizzata ed anche sconfortata dal gravoso impegno che mi attendeva.
Il primo periodo di formazione l’ho vissuto proprio male ; mi rifiutavo di capire A. Vigano’ e di lasciarmi andare. C. Infante l’ho visto appena ed ho completamente disatteso l’utilizzo del Forum ,ma questo è da attribuirsi anche ad una mia scarsa disponibilità verso i mezzi multimediali.
In seguito ho cominciato ad apprezzare l’esperienza di Formazione quando, con le colleghe del team,abbiamo dato avvio alle attività di laboratorio curricolare con gli alunni.
Significativi e veramente apprezzabili i giorni con F. Ughi e M. Sapienza : mi sono entusiasmata e sono cadute le ultime resistenze.
Ho potuto così recuperare la motivazione e credere in quello che stavo facendo.
Il resto della Formazione l’ho vissuto abbastanza serenamente e con coscienza professionale.
Sono mancati,a mio avviso, la chiarezza di dove si stava andando a parare ( l’ho capito in seguito, lavorando coi bambini) ; il supporto tecnico e multimediale interno ed esterno alla propria Istituzione scolastica ;un coordinamento efficace dei lavori. I momenti di comunicazione e di socializzazione dei vissuti di formazione e delle attività con gli alunni sono stati pochi.
Non sono mancate le richieste di documentazione cartacea e non ,avvenute in corso d’opera.
Complessivamente ritengo l’esperienza di Formazione positiva e generalizzabile.



Pinuccia

La mia partecipazione all’interno del progetto, nella funzione di tutor, ha avuto un ruolo diverso da quello del tutor delle altre scuole coinvolte, dal momento che negli incontri iniziali di progettazione si era deciso con il Dirigente Scolastico di coinvolgere il Collegio dei Docenti della mia scuola nell’individuare quale modulo fosse più idoneo a vivere questa esperienza, a partire dalle caratteristiche richieste, in modo che l’adesione fosse condivisa e partecipata dall’impianto scuola nella sua totalità.
Durante i primi incontri emergevano le perplessità, da parte dei docenti circa il sovraccarico di lavoro, indicato dal progetto e l’oggettiva difficoltà che nasceva dal calare la teoria e le attese del progetto stesso nella realtà curriculare.
D’altra parte questi interrogativi espressi più volte negli incontri iniziali e in itinere non hanno trovato risposte esaustive se non come indicazioni che venivano suggeriei dagli esperti, ma che non tracciavano il “Come fare per….”.
Tutti i docenti, presenti negli elenchi, del modulo delle classi 3E/F, nonostante le perplessità, gravate dal misero compenso per un tale impegno, hanno aderito alla sperimentazione per saggiare la ricaduta dell’operato nella formazione degli alunni.
La fase iniziale del lavoro del laboratorio curriculare, strutturato in 4 moduli di 2 ore ciascuno per un numero di 8O ore complessive, che andavano oltre le richieste del progetto stesso, tre incontri settimanali, 8 ore totali ripartite equamente tra i docenti di area linguistica, logica e antropologica e due insegnanti di sostegno del modulo oltre la mia partecipazione, ha avuto una veste ludica indirizzata a condurre gli stessi bambini a individuare: i luoghi, le funzioni, le regole e l’utilizzazione degli spazi, che si strutturano e de-strutturano in base ai bisogni e alle finalità.
Il metodo Brainstorning applicato alle parole “gioco”, “luogo”, “scuola” ha dato la possibilità di registrare le prime risposte creative, il vissuto di ogni alunno in relazione alla sua soggettività e alle dinamiche relazionali e partecipative.
La seconda tappa ha coinciso con la presenza di Antonio Vigano che, nei luoghi Istituzionali è riuscito a rompere la regolarità degli stessi (classe e teatro), riuscendo a creare,attraverso il gioco “dell’immagine allo specchio”, nuovi significati emotivi su una gestualità normalmente mortificata: boccacce, stereotipie a carico di tutto il corpo, grida inconsulte,…..
Nell’apparente libertà, il corpo poetico ha codificato le regole nell’interazione gestuale e verbale tra l’adulto e il bambino, superando la difficoltà della resistenza comportamentale sia dell’iperattivo, sia dell’inibito, che spesso frenano l’azione didattica- educativa quotidiana.
Ha, inoltre, dato una nuova configurazione dello spazio e del tempo in relazione al corpo che è capace di viverli, di attraversarli e di farsi parte integrante di essi.
In questa attività la partecipazione di ognuno di noi può definirsi “vissuta” dal momento che abbiamo accettato di metterci in gioco, frequentando il corso di formazione che ci ha visto attori, e apportando all’interno dell’esperienza nel laboratorio curriculare il nostro contributo come persone e come docenti nella propria globalità e nella propria storia.
A tale proposito anche la scrittura libera è stato un mezzo per esprimere il so, rompendo la struttura della scrittura come linearità logica e di senso. Liberare la scrittura dal vincolo del rigo e della sequenza logica ha reso possibile avvicinare la narrazione al vissuto emotivo dei bambini, filastrocche, ninna nanne, conte, …, fluite liberamente nella composizione del foglio.
Un ulteriore contributo alla costruzione del percorso è stato dato dalla fase espressiva-pittorica, seguita all’analisi del quadro di Brueghel “I giochi dei bambini”,
in cui gli alunni hanno rappresentato se stessi in relazione alle attività, agli adulti, al gruppo, potenziando le relazioni tra il sé e gli altri ed esaltando le proprie capacità individuali (metodo cooperativo).
La partecipazione al forum di discussione, che costituiva uno dei punti essenziali del progetto, non ha potuto avere la piena partecipazione dei docenti coinvolti perché non esonerati dagli impegni di supplenze; veniva quindi meno la possibilità di compresenze di più adulti che avrebbero dovuto supportare la didattica informatica.
La partecipazione al laboratorio extracurricolare ha visto impegnati soltanto i docenti del modulo coinvolto e una parte degli alunni che hanno frequentato attivamente e con assiduità in funzione dello spettacolo finale.
Dall’analisi globale delle attività messe in atto e dei risultati conseguiti,si può affermare che il teatro di partecipazione può costituire un mezzo per costruire nuove strategie del fare scuola negli aspetti comunicativi e relazionali, oltre che un supporto più flessibile alle discipline.