Dirigente scolastico Istituto “Grazia Deledda” Enzo Nicolì A favorire tale atteggiamento ha contribuito la figura del docente specializzato o, per meglio dire, il ruolo che ad esso è stato assegnato. Il fatto è che l’handicap si pone davanti alla scuola come uno specchio cinico e crudele che, senza pietà, riflette ogni ruga. Naturale che la prima reazione sia quella di non volerci guardare dentro. Senza trascurare i problemi di natura logistica, che continuano ad avere una dimensione inaccettabile, lo scoglio maggiore è da ricercare nell’impianto complessivo e nell’atteggiamento dei docenti curricolari. Per quanto la scuola dell’autonomia proclami la necessità della flessibilità, la struttura continua ad avere delle rigidità non facilmente superabili. L’impianto rimane sostanzialmente disciplinare, l’esame conclusivo impone e/o giustifica scelte didattiche piuttosto rigide. La previsione di prove nazionali, e le caratteristiche che esse anno, sembra definire, sia pure implicitamente, degli standard incentrati sulle conoscenze, imponendo ai docenti un adeguamento tutto quantitativo. In parte la rigidità in questione è giustificata dall’affermato valore legale del titolo di studio, ma ciò non toglie che essa finisce col costituire un ostacolo all’innovazione e un alibi per evitare la fatica della ricerca. La stessa struttura delle prove d’esame, colloquio compreso, nonostante tutti gli sforzi compiuti, rimane sostanzialmente incentrata sui contenuti disciplinari. In verità questo è solo un riflesso di quanto accade nel corso dell’anno e denuncia la difficoltà dei consigli di classe a costruire una didattica interdisciplinare. Nonostante sforzi anche apprezzabili, quindi, l’impostazione disciplinare permane come elemento assolutamente dominante, anche perché congeniale ala formazione e all’esperienza dei docenti. Certo è un ambito, quello disciplinare, che compete all’istituzione scolastica e che sarebbe un rave errore negare o sottovalutare, ma oggi eso assume quasi un connotato di natura psicologica: diviene il momento di riconoscimento di una propria identità, una sorta di maschera pirandelliana che fissa, dando sicurezza, e fissando legittima, dando autorevolezza. Dinanzi al mutare continuo delle cose, che crea incertezza e genera ansia, la difesa del ruolo appare come il porto sicuro, la sua messa in discussione come il preludio alla caduta degli dei. Affermandosi come esperto della materia, il docente nega o sottovalutaq quella dimensione comunicativa che ha invece una funzione fondamentale. Il riflesso di tutto ciò è costituito dalla difficoltà di riconoscere gli allievi nella loro individualità. Se tutto è riferito alla disciplina, allora il massimo di differenziazione possibile è quella tra chi segue e chi non segue, tra chi studia e chi non studia, tra chi sa e chi non sa. Ogni differenza è negata, ma, se non bastassero le continue e sempre più evidenti difficoltà nel clima relazionale della classe, ci pensa l’handicap a riportare, impietosamente, ad una realtà che è fatta di differenze. L’handicap s’impone e rompe gli schemi costringendo, qualunque sia poi latteggiamento assunto, a mettersi in gioco come persona e non più o non solo come esperto. Ecco allora, in modo forse disorganico, il terreno su cui è andato a collocarsi un progetto come questo, che attraverso il gioco del teatro cerca di coinvolgere, con il corpo e con la mente, l’alunno, il docente, il genitore, ponendoli, fuori dal ruolo, alla ricerca di un rapporto vero con se stessi e con gli altri. E’ pensabile che un tale intento non produca delle reazioni, più o meno istintive, di rifiuto? Certamente no! Anzi, bisogna dire che più elevato era il livello di coscienza delle finalità del progetto, più radicale il rifiuto o il tentativo di ricondurlo in ambiti consueti. Non è un caso che il maggior livello di coinvolgimento si sia registrato, invece, tra quei docenti che operano, per le caratteristiche stesse del proprio ambito disciplinare (educazione fisica) o per la funzione svolta (docenti specializzati), in situazioni meno rigidamente e convenzionalmente strutturate. In sostanza le ipotesi di partenza del progetto, in merito alla valenza del teatro di partecipazione e della scrittura libera, come luoghi dell’integrazione, risulta ampiamente confermata non solo e non tanto dai risultati positivi conseguiti, ma dal complesso di reazioni suscitate, che dimostrano la fertilità del discorso e la sua capacità d’incidere a fondo nella realtà di una scuola ancora strutturalmente monodimensionale. |
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