Scuola delle tre I. E l’integrazione paga Con una riforma come quella della Moratti, legata agli interessi del
sistema capitalistico, nella quale si privilegiano efficientismo e produttività,
c’era da aspettarsi che il settore dell’Integrazione scolastica
dovesse pagare il prezzo più alto. Quale poteva essere d’altra parte il destino dei soggetti svantaggiati,
portatori di handicap, ma anche dei figli di immigrati, in un sistema
scolastico che tende, più che a recuperare, a selezionare in
maniera sbrigativa, per non dire brutale? Eppure con le trasformazioni
in atto in Italia, specialmente in Puglia, divenuta crocevia di civiltà
diverse, il problema dell’integrazione scolastica è diventato
urgente e prioritario. Che le cose stiano realmente prendendo una brutta piega, che siano
bastati pochi mesi per mettere in pericolo quel poco o molto che alcuni
docenti di buona volontà erano riusciti a costruire in anni di
paziente lavoro, lo si è capito anche durante una riunione che
si è tenuta nella scuola media “Galateo” di Lecce. Qui, la preside, Rita Bortone, (sempre in prima linea sul fronte dei
diritti dei fanciulli meno fortunati, forte di una conoscenza tecnica
di prim’ordine), ha invitato a discutere insegnanti e famiglie,
con alcuni “addetti ai lavori”: Francesco Gatto, docente
universitario per tre anni a Lecce, membro del Comitato tecnico presso
il Ministero della Pubblica Istruzione,
per l’Integrazione scolastica; Gino Santoro, responsabile
dell’insegnamento di Storia del teatro e dello spettacolo dell’Università
di Lecce e Delegato del rettore per i problemi delle fasce deboli; il
dottor Patrocinio, responsabile dell’AUSL Lecce 1 per il settore
Disturbi della comunicazione; la prof. Maura Gelati, docente di Pedagogia
speciale; Giuliano Capani, docente di Storia e critica del cinema; e
Serenella Molendini, del Provveditorato agli studi. L’argomento
proposto: “Per una integrazione partecipata: quale teatro?” Bisogna avvertire che la scuola Galateo ha realizzato in questi anni
alcuni interventi d’avanguardia nel settore del teatro con i ragazzi
disabili e non, che sono stati documentati con videocassette a loro
volta presentate in diversi congressi dedicati al problema, in Italia
e all’estero. Tutte queste iniziative sono state condotte in collaborazione
con l’Università (istituto di Storia del teatro). Si deve
ricordare che nel campo dell’integrazione l’Università
leccese vanta una tradizione di ricerca di almeno trent’anni:
è questo uno dei fiori all’occhiello che può esibire
con giusto orgoglio, sia sotto il profilo teorico, che per la prassi
seguita, sicuramente d’avanguardia. I continui scambi con altri
centri di ricerca, gli incontri frequenti con i massimi esperti del
settore, il diuturno coinvolgimento di studenti e insegnanti attraverso
corsi di formazione per animatori hanno prodotto una ricca messe di
studi, ma soprattutto di interventi pratici, in varie scuole del Salento. Il teatro è stato l’occasione, il “luogo”
della sperimentazione, ma non inteso come rappresentazione, bensì,
come è stato chiarito, come partecipazione. Alla base c’è
l’idea stessa di teatro, una concezione del fare teatro mutuata
all’avanguardia non solo europea, con in primo piano Grotowski
e il suo Teatro povero, che mette
al centro l’attore e ne fa il protagonista di un processo di conoscenza
di sé e degli altri. Questa concezione è sufficiente, se trasferita all’interno
di un laboratorio teatrale, modernamente inteso, a trasformarlo in vero
centro di esperienze umane e psicologiche. E al laboratorio teatrale realizzato da
alcuni insegnanti del Galateo, su un progetto di Beatrice Chiantera,
era dedicato il video, dal titolo
“Con un sorriso ce l’ho fatta…” (pensieri,
azioni, riflessioni) proiettato durante l’incontro. La prima cosa che colpisce è la partecipazione all’attività
del laboratorio dei genitori dei ragazzi, che in questa scuola hanno
consuetudine di accesso, secondo una prassi che rivoluziona anche gli spazi, trasformati
anche nell’arredamento. La sala in cui si svolgeva l’incontro,
ad esempio, somigliava più ad una caffetteria che a un’aula
magna tradizionale, con tanti tavolini, ciascuno col suo bravo portafiori
colmo di roselline. Sembrerebbero particolari trascurabili, invece sono
segnali importanti di una nuova concezione della scuola. L’altra osservazione da fare riguarda il superamento dei ruoli,la
libertà di movimento e di esprimersi, aldilà delle proprie
capacità e soprattutto incapacità, dove al balbuziente
si offre ad esempio l’alternativa di altre forme di linguaggio,
a partire da quello visivo, e via via, fino a quello musicale e corporeo.
Colpisce l’allegria di questi ragazzi, il rapporto familiare con
gli adulti, il sapersi mettere in gioco, non solo degli alunni, ma anche
dei docenti e genitori, che è poi la condizione imprescindibile
per il successo del laboratorio teatrale. Dove tutti prima o poi, anche
i soggetti disabili più gravi, trovano il modo di esprimersi,
di raccontarsi, anche con la scrittura. Tra i materiali presentati,
vi era anche un libro, che raccoglie testi di alunni, dal titolo “Io,
noi, gli altri in un posto speciale”. Stralciamo un passo della presentazione di Rita Bortone: “Un
laboratorio di libera espressione… dove gli altri ti accolgono
per quello che sei, non per quello che sai”. Il pensiero va subito alla signora Moratti. Domanda: come può
un Ministro che promuove una scuola funzionale all’azienda, con
le sue tre I (internet, inglese,
impresa), ad incoraggiare l’integrazione, che vuol dire appunto
accogliere un soggetto non per quello che sa o può saper, ma
per quello che è? Infatti non è un caso che la scuola media Galateo abbia dovuto
aspettare sei mesi, praticamente ad anno scolastico quasi finito, per
ottenere il contributo governativo necessario a far partire il laboratorio
teatrale. Eppure era noto che avevano partecipato a un laboratorio teatrale
di questo tipo, avevano poi proseguito gli studi senza molti problemi,
che almeno per Lecce, altre scuole si sono collegate al Galateo, per
sperimentare le stesse iniziative. Mala tempora currunt , ha spiegato
Gatto, per l’integrazione scolastica, nonostante i buoni risultati
ottenuti, e non c’è
da stare allegri per il futuro. E’ ormai una sorta di braccio
di ferro, come ha spiegato Santoro, tra le scuole che intendono realizzarla
e il ministero che nicchia. Eppure, mentre i docenti più responsabili
si battono contro l’indifferenza dei pubblici poteri, specialmente
nel Salento, crocevia di migranti, incalzano nuove urgenze. Una è quella, non nuova, di superare la distinzione tra insegnante
di classe e insegnante di sostegno: questa distinzione è la negazione
del concetto di integrazione, ed è di per sé un modo per
scaricare sull’insegnante di sostegno la responsabilità
di educare i soggetti deboli, di occuparsi cioè dei casi difficili
da risolvere, quei casi, che l’insegnante culturalmente sprovveduto
è tentato di risolvere con una sbrigativa bocciatura (succede). L’altra è di evitare che una scuola come il Galateo diventi o venga vista come “ad alta specializzazione”, per cui dalle altre scuole si cerchi di scaricare su di essa i casi difficili. Un altro problema è quello di estendere l’integrazione alle scuole superiori. Battaglie perdute in partenza? A giudicare dagli interventi ascoltati, non ci sembra.
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