La parola, il gesto Lorenzo, terza elementare, nella sua valutazione finale dice peccato che il teatro è finito perché io mi annoio a stare seduto nel banco, e “il bruco per le scale” di Michael riscuote successo grande tra i compagni della elementare e della media. Perché spazio per il corpo nella scuola non ce n’è. Il corpo a scuola sta nell’ora di educazione fisica, poi scompare. Nel superiore è già scomparso, e la corporeità diventa già “senza senso” se non è “finalizzata” ad un “profitto”. Si fa oggetto di desiderio, il corpo, nel superiore, si trasforma in poesia, ma con la scuola non c’entra. Danza, teatro, canto, sono attività“altre”, non sono nemmeno valutate, non hanno prove né esami. La globalità della persona è un’affermazione di principio: sappiamo tutto, psicologia e pedagogia, sessualità e differenze di genere, disagi e benessere, anoressie e bulimie, sappiamo tutto, ma a scuola solo la mente ha diritto di dimora. Le emozioni non hanno parole, le parole non hanno corpi. Una scuola di partecipazione forse deve domandarsi su come accogliere la persona intera, su come dare spazio e dignità alle sue diverse “parti”, su come interpretare quello che già sa, ma che spesso dimentica, sulla globalità dei processi d’apprendimento e di sviluppo.
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