Prima il piacere, poi il dovere.
Dice Vigano che nessuno può fare teatro “per obbligo”.
Non riesce. Lo devi volere, il teatro, per poterlo fare, ti deve piacere. Se
non ne sei coinvolto, non riesce.
E la scuola? E’ diversa la scuola? Venire a scuola per obbligo si può,
e si può per obbligo imparare una lezione ed eseguire un esercizio. Apprendere,
però, è un’altra cosa: se quello che fai non ti piace, apprendi
poco, non “significhi” molto, diventi triste e non vedi l’ora
di fuggire. Anche entrare in relazione con gli altri per obbligo non si può.
Anche entrare in relazione ti deve piacere, ne devi avere un senso, un gusto,
uno scopo. Se no non entri, dentro, in relazione.
L’impegno che chiediamo agli alunni, nella scuola, lo chiediamo in nome
del senso del dovere, in nome di una responsabilità personale, del perseguimento
di scopi che altri hanno individuato come importanti e significativi.
Dimentichiamo, a scuola, che la maturazione del senso dei responsabilità
e il valore dell’impegno sono obiettivi, non presupposti della formazione.
Che l’impegno è connesso con il personale sistema di motivazioni
e di scopi, e che la motivazione nasce da ragioni cognitive, affettive, relazionali
anche legate al contesto in cui si lavora.
Nel nostro percorso abbiamo visto ragazzi concentratissimi, impegnati, instancabili
nel lavoro, rispettosi delle regole del gruppo, responsabili verso gli impegni
assunti, collaborativi con i compagni di lavoro. Ma facevano cose che a loro
piacevano.
E’ in un contesto di piacere e di senso condivisi che assume senso e scopo
la richiesta d’impegno e di responsabilità, che assume senso e
scopo il “senso del dovere”.
Se la progettazione educativa si pone come problema prioritario la costruzione
del “senso del piacere”, forse su questo riesce anche a costruire
un “senso del dovere”.
Se non vogliamo farne una questione pedagogica e psicologica, facciamone una
questione d’efficacia: il dovere, la noia, l’assenza di scopi e
significati uccidono la voglia di apprendere, vanificano i sensi dello stare
insieme, inibiscono e de-significano le relazioni.
Una scuola di partecipazione deve ribaltare i luoghi comuni: la partecipazione
è piacere, prima che dovere.
E gli adulti?
Dagli adulti, però, ce lo si può aspettare un senso del dovere!
Sì, certo.
Ma un insegnante che viva il suo lavoro solo sul senso del dovere ha finito
d’essere insegnante: quali motivazioni, quali prospettive, quali sensi,
quali amori potrà offrire ai suoi ragazi?
Lo leggiamo e lo diciamo tante volte, che gli insegnanti sono stanchi e demotivati,
ma abbiamo mai visto di cosa sono apaci gli insegnanti quando una cosa li prende,
li appassiona, li motiva? Sono capaci di studio matto e disperatissimo, di lavoro
senza orario e di abnegazione, di collaborazione e di inventiva. Dimenticano
i diritti contrattuali e il fondo d’Istituto, i dirigenti e gli stipendi.
Da troppi anni agli insegnanti si fanno richieste in cambio di niente: non dico
solo di soldi, ma di sensi e di scopi.
Come per i ragazzi, anche gli insegnanti per obbligo possono fare lezioni e
relazioni, per soldi possono fare progetti e interpretare funzioni, per senso
del dovere possono fare recuperi e potenziamenti, ma solo sul piacere possono
fondare la faticosità della ricerca, l’impegno dell’autoanalisi,
la voglia di relazione con i ragazzi, l’energia di un cambiamento permanente.
Il lavora torna vivo e ritrova scopi sociali ed esistenziali, se quello che
faccio mi piace, e se lo faccio in un clima che mi piace.