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un punto di partenza: l'esperienza
di Cutrofiano
Uno
sguardo da Cutrofiano
(di B. Chiantera, sta in: "In corso d'opera 2" Adriatica
Editrice Salentina - 2000)
Nel 1977 il Centro A.I.A.S. di Cutrofiano (Lecce), che già da quattro
anni ha proceduto all'inserimento totale dei bambini handicappati nelle
scuole comuni, avvia un ripensamento serrato della politica sostenuta
nel decennio precedente in relazione ai soggetti interessati all'inserimento:
operatori del Centro, genitori, bambini assistiti, scuole. Il risultato
di questo dibattito è raccolto in un'articolata relazione del prof.
Giuseppe Ricci, direttore medico della sezione A.I.A.S. di Cutrofiano.
Da questa relazione è possibile rilevare un dato di fondo: la scelta
dell'inserimento è preceduta e seguita da profondi sconvolgimenti
e ristrutturazioni che coinvolgono l'identità stessa del Centro
come servizio, come istituzione, come équipe di operatori. "La
situazione concreta dei diversi operatori del Centro - scrive Ricci -
era all'inizio abbastanza diversa. Esistevano mansioni specifiche ben
definite per ciascuna categoria, con status e dignità diversi.
Alle cuoche e alle ausiliarie di assistenza erano attribuiti compiti specifici
che riguardavano solo aspetti ritenuti secondari dei bambini. Alle vigilatrici
della scuola materna competevano in pratica funzioni di custodia e comunque
ritenute di importanza secondaria rispetto alla riabilitazione. Le terapiste
- fisiochinesiterapiste, logoterapiste, terapiste occupazionali - invece
erano ritenute gli elementi più importanti del Centro, insieme
con i medici, da cui derivavano la loro autorità." La gerarchia
non riguardava solo le funzioni del personale, ma aveva anche degli esiti
diretti nel rapporto con i bambini assistiti dal Centro, nel senso che
il soddisfacimento dei bisogni primari risultava di valore più
basso rispetto al momento diagnostico e terapeutico. Un altro aspetto
direttamente collegato a questa gerarchia era la 'settorializzazione'
del bambino. Ogni operatore si occupava di un aspetto della vita del disabile.
Il linguaggio, il gioco, il movimento costituivano ben precisi settori
d'intervento dei diversi operatori. Era questo l'esito più paradossale
dello specialismo. Ma vi era anche un altro elemento da cui risultava
evidente che la riabilitazione si trasformava in un modello esclusivamente
medico: nelle riunioni di équipe si discutevano i vari "casi",
si aggiornavano le diagnosi, si approntavano i piani di riabilitazione,
tuttavia a questi incontri non partecipavano le "inservienti", che poi
erano le persone che in realtà avevano una conoscenza molto più
diretta e concreta dei bisogni del bambino. Il cambiamento genera comprensibili
tensioni all'interno delle varie categorie del personale e tuttavia si
rende necessario per poter passare da un modello riabilitativo esclusivamente
medico ad un modello d'integrazione centrato sulla globalità e
l'interdipendenza. D'altra parte, all'interno del modello 'specialistico'gli
stessi bambini introiettavano la gerarchia dei ruoli del personale, traducendola
in gerarchia di attività. L'inserimento richiedeva pertanto un
ridimensionamento radicale dei ruoli e del peso del personale medico a
vantaggio, da una parte del personale generico - l'assistente che seguiva
il bambino nella scuola finiva per occupare un posto strategico tra gli
operatori scolastici e gli operatori del Centro -, dall'altra degli operatori
scolastici che gestivano una parte consistente della giornata del bambino.
La destrutturazione della gerarchia dei ruoli e delle funzioni portava,
di conseguenza, nel bambino ad una ristrutturazione dei valori delle attività.
Era questo il punto di partenza di un cambiamento che doveva coinvolgere
anche gli altri soggetti con i quali il bambino trascorreva il resto della
giornata, e cioè la famiglia e tutti coloro che ruotavano intorno
a questo spazio-tempo del bambino. L'inserimento nella scuola comune,
pertanto, non era solamente la conquista di un diritto, ma si poneva come
punto di avvio di una globale ristrutturazione delle relazioni, delle
attività e dei valori del bambino handicappato. I criteri attraverso
i quali Ricci valuta i risultati dell'inserimento passano, ancora una
volta, attraverso la destrutturazione del modello medico. "Spesso ci è
stato chiesto di documentare i nostri risultati classificando i bambini
secondo i disturbi e secondo la gravità; e in realtà non
sarebbe difficile raggrupparli a secondo del tipo di handicap e valutare
l'entità del loro deficit in una tabella ponendo in relazione a
queste variabili i risultati dell'inserimento. A noi però sembra
che un tale procedimento sia scientificamente scorretto e che non serva
a nulla." L'analisi di Ricci parte dalla considerazione che il Sistema
Nervoso Centrale "è una struttura di una tale complessità...
che, sebbene vi siano delle maggiori probabilità di distribuzioni
delle lesioni, questo non ci autorizza a pensare che vi sia la probabilità
che molti bambini possano essere colpiti allo stesso modo. Si tratta,
poi, di un sistema dotato di un notevole grado effettivo di plasticità,
cosicché se anche vi fossero due bambini colpiti esattamente nello
stesso modo, è difficile pensare che le lesioni evolvano nel tempo
in modo perfettamente analogo." Inoltre le variazioni sul modo di immagazzinare
e riutilizzare l'esperienza sono tante che sicuramente determinano storie
assolutamente diverse. Conseguenza di tutto ciò è che "ogni
bambino impara ad usare in modo personale i suoi strumenti" ed inoltre
"l'apparenza di somiglianze che si può trovare in certi bambini
spastici o insufficienti mentali, come si suole definirli, sia dovuta
alla standardizzazione degli ambienti delegati alla riabilitazione ed
all'appiattimento delle esperienze che sono loro rese disponibili."
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