Verso la costruzione di comunità

Abbiamo scoperto che l’integrazione trova ostacoli nel curricolo, nei saperi disciplinari, nella centratura della scuola su un cognitivoi che che sancisce le differenze senza integrarle, nella prevaricazione dei ruoli sulle persone, nella rigidità dei modelli organizzativi della scuola, ma abbiamo scoperto soprattutto che l’integrazione trova ostacolo nelle modalità di relazione che la società contemporanea va determinando, trova cioè ostacolo nell’assenza di comunità. Abbiamo rilevato che è la comunità il contesto che per sua struttura e natura identifica, accoglie, integra. Ma abbiamo osservato che i contesti nei quali le persone oggi s’incontrano e vivono non sono più comunità, perché le persone vivono accanto l’una all’altra, ma ciascuno con scopi e sensi diversi, se non anche conflittuali.
Abbiamo capito che il teatro di partecipazione funziona perché destruttura le relazioni e le persone, e promuove la costruzione-ricostruzione di equilibri intrapersonali e interpersonali diversi rispetto a quelli socialmente codificati. E’ questo potere di destrutturazione-ricostruzione, questo suo “costruire comunità” ciò che lo rende efficace sui processi d’integrazione. E il senso di sé che deriva dall’appartenenza a una “comunità” è forse ciò che spinge i nostri alunni, ormai grandi e in altre scuole, a voler tornare da noi appena cominciamo il teatro; ciò che spinge i genitori a chiederci quando ricominciamo, ciò che spinge gli insegnanti a lavorare oltre tutti i tempi, a stare insieme anche senza protocolli. La nostra ricerca, in fondo, verifica questo: che il problema della integrazione è grave, che richiede energie competenze risorse tempi spazi strategie progetti. Ma che costruire le condizioni dell’integrazione significa soprattutto costruire contesti di lavoro e di vita che abbiano i caratteri della comunità