Piccoli Profughi

 

Prologo

[Luce ultravioletta. Piedi che  camminano e fagotti sulle spalle]

 

Le partenze sono tutte uguali.

Impugniamo le ciglia dell’aurora

e, dopo aver cancellato tutti i mali,

dipingiamo di rosa le speranze.

 

Ma poi le labbra si tingono di viola

e mastichiamo scongiuri o preghiere

per respingere le amare lontananze

e incatenare i latrati del passato.

 

E quando il vento dei ricordi ci sfiora

gli occhi si colmano di lacrime nere

un nodo s’incattivisce nella gola

e strangola i ricordi che hai cullato.

(Anonimo salentino)

 

 

SCENA I

 

[Buio. Si accende una candela, illumina il volto di un ragazzo. Un battito di ali.]

 

L’aquilone.

Le aquile.

Le rondini.

Il gabbiano.

Volano.

Viaggiano

 

[Ancora un battito d’ali. La candela illumina il volto di un altro ragazzo]

 

Un viaggio.

Un treno.

La zia Rosaria.

Ha tutte le sue cose

Lontano.

Lontano.

A giugno

Tornerà

Da noi.

 

[Ancora un battito d’ali. La candela  illumina il volto di un altro ragazzo]

 

 

Un viaggio.

Un porto.

Ulisse.

Anche lui

Si è portato

Dietro

Tutte le sue cose.

Anche lui

Tornerà

A casa sua.

 

[Ancora un battito d’ali. La candela illumina il volto di un altro ragazzo]

 

 

Un viaggio.

Una macchina bianca.

Io

Mio padre

Serena

Emanuela

La mamma

Il nonno

La mia famiglia.

 

[Ancora un battito d’ali. La candela  illumina il volto di un altro ragazzo]

 

Nella valigia

Un astuccio

Per colorare

I miei disegni.

Le scarpe

Per andare lontano.

Le chiavi

Per tornare a casa.

 

[Ora sono due candeline. Battiti d’ali. Due volti illuminati. Un grido di gabbiano]

 

Un viaggio.

Una macchina nera.

Ruben, il mio cane.

L’hanno ammazzato.

Non tornerà.

 

[Ora sono tre candeline. Battiti d’ali. Tre volti illuminati. Grida di gabbiani]

 

Un viaggio.

Una catena.

Trudy, il mio cane

Legato alla catena.

Almeno

Non lo ammazzano!

 

[Quattro volti e quattro candeline volteggiano nel buio. Battiti d’ali]

 

Un viaggio.

A Bari.

Una dottoressa.

Mi dice che sto bene.

Adesso

Posso mangiare

Tanti dolci.

 

[Al centro compare un volto mascherato. Grida più forti]

Ho sognato

Di vivere

In prima persona.

Poi piano piano

Sono diventato

Un personaggio.

Ho scritto

Delle mie esperienze.

Ho raccontato

Le mie emozioni.

Ho fatto

Le mie scelte di vita.

Ho approfittato

Dell’amore.

 

[Compare un altro volto mascherato]

Anch’io

Ho viaggiato

Per diventare

Un ragazzo vero.

Ho viaggiato

Per diventare

Un ragazzo in gamba.

 

[Compare un terzo volto mascherato che si raddoppia nello specchio]

 

Mi sono guardato

Allo specchio

E ho visto

La mia faccia.

Ho ascoltato

Il mio cuore

E ho sentito di essere

come gli altri.

Ho toccato

Chi mi stava vicino

E ho scoperto

Che IO potevo

Farmi prendere

Dalle emozioni.

 

 

[Le candele si spengono una dopo l’altra. Si perdono anche i battiti d’ali. Rimangono le grida del gabbiani. Le maschere rimangono a galleggiare nel buio.Tante piccole lampadine tascabili esplorano la scena. In un angolo, aggrappato al suo fagottino un ragazzo con la faccia sporca.. Le luci si concentrano su di lui]

 

Anch’io ho fatto un viaggio

Di notte

Sul gommone.

Da Valona all’Italia.

Non so perché.

Ho le idee confuse

Siamo tutti

Piccoli esuli.

Ci vorrebbe di nuovo Noè

Con la sua grande arca

Siamo tutti

Piccoli naufraghi.

 

 

SCENA II

 

[Una diapositiva del mare. Prima sfocata, poi a fuoco, poi sfocata. Nel fascio di luce del proiettore, due ragazzi con una calzamaglia nera coperti da maschere bianche dirigeranno le azioni]

 

 

 

 

 

Una voce registrata:

 

- Mar Rosso, mare Egeo, mare Adriatico, mare Jonio, Scilla e Cariddi, Canale d’Otranto… Il mare è un libro di storia.

 

SCENA  III

 

[Un ragazzo va al centro della scena. Indossa la maschera.]

 

-       Prima della guerra mio padre diceva che l’Albania era una grande prigione. Io immaginavo la mia terra come il Labirinto di Minosse.

 

[Altri ragazzi gli costruiscono attorno il Labirinto]

 

 

 Ma intanto Dedalo, stufo di essere da tanto tempo confinato a Creta, e preso dalla nostalgia della sua terra natale, era bloccato: lo bloccava il mare. “Che Minosse mi sbarri pure le vie di terra e d’acqua - disse – ma almeno il cielo è sempre aperto. Passeremo di lì! Sarà padrone di tutto, ma non dell’aria!….. E subito dispose delle penne una accanto all’altra, cominciando dalle più piccole, su su, sempre più lunghe…..

 

 Icaro, il suo figlioletto, gli girava intorno e senza sospettare di toccar cose che gli sarebbero state fatali, con volto raggiante ora acchiappava le piume che il vento birichino faceva svolazzare, ora ammorbidiva col pollice la cera bionda, e giocherellando disturbava il prodigioso lavoro.

 

[Si avvicinano i due ragazzi con la calzamaglia nera e consegnano le ali al ragazzo che è al centro. Dedalo indossa le ali e le fa indossare ad Icaro.]

 

-       Quando ebbe dato all’opera l’ultima mano, l’artefice provò di persona a librarsi su un paio di queste ali, e, battendole rimase sospeso per aria. Quindi ne munì anche il figlio, dicendogli: “Vola a mezza altezza, Icaro,  mi raccomando….. Vienmi dietro, ti farò da guida”. Gli dava le istruzioni per volare, e intanto gli applicava alle braccia quelle ali mai viste. Mentre lavorava e dava consigli, s’inumidirono le sue guance di vecchio, tremarono le sue mani di padre, Poi baciò il figlio – furon gli ultimi baci – e levatosi sulle ali volò….. esortandolo a non restare indietro, erudendolo in quell’arte pericolosa, battendo le ali proprie e voltandosi a guardare quelle del fanciullo…..

 

[I l labirinto scompare progressivamente sostituito dai teli del mare]

 

-       E già si erano lasciati a sinistra Samo, sacra a Giunone, e Delo e Paro, e a destra avevano Lebinto e Calimne ricca di miele, quando il fanciullo cominciò a prender gusto all’audace volo, e si stacco dalla guida, e affascinato dal cielo si portò più in alto. La vicinanza del sole ardente ammorbidì la cera odorosa che teneva unite le penne. Si strusse, la cera; lui agitò le braccia rimaste nude, e non avendo con che remigare non si sostenne più in aria, e invocando il padre precipitò a capofitto, e il suo urlo si spense nelle acque azzurre che da lui presero il nome.

(Ovidio, "Le Metamorfosi")

  

[Alla fine del brano le ali vengono lanciate con un urlo sui teli del mare.]

 

SCENA  IV

 

[Dedalo indossa la maschera]:

 

-       In Albania c’era una specie di guerra. Tutti cercavano di scappare. Ogni nave che vedevo partire dal porto di Valona mi sembrava l’Arca di Noè.

 

[Compare l’Arca]

 

[Scena dell’Arca e degli animali scandita da diapositive con le immagini delle navi dei profughi albanesi, kossovari, curdi e da una musica molto ritmata..Poi tutti si bloccano. Diventano statue. I ragazzi delle maschere spostano i vari personaggi che rimangono immobili.]

 

 

[diapositiva:]

 

Dio aggiunse:

“Vi do un segno

dell’alleanza che ho stabilito

fra me e voi

e tutti gli esseri viventi

che sono con voi

e per tutte le loro generazioni

in futuro:

ho messo il mio arco

tra le nubi.

Sarà il segno dell’impegno

che ho preso verso il mondo.”

            (La Bibbia)

                      

[Un ragazzo viene verso il pubblico, indossa la maschera]:

 

 

-       Pensai: Sarebbe bello se il canale D’Otranto si aprisse e lasciasse passare tutti bambini che scappano dalla guerra e dalla miseria

 

 

 

 

 

 

 

 

SCENA  V

 

[Scena del passaggio del Mar Rosso]

 

 

-       Gli Israeliti presero i recipienti con la pasta ancora lievitata, li avvolsero nei mantelli e se li caricarono sulle spalle, Fecero inoltre quel che Mosè aveva detto e chiesero agli Egiziani oggetti d’argento e d’oro ed anche vestiti…..

-       Dio guidò il popolo per la strada del deserto verso il Mar Rosso. Gli Israeliti uscirono dall’Egitto in buon ordine…..

-       Allora Mosè stese il braccio sul mare. Per tutta la notte il Signore fece soffiare da Oriente un vento così forte che spinse via l’acqua del mare e lo rese asciutto. Le acque si divisero e gli Israeliti entrarono nel mare all’asciutto: a destra e a sinistra l’acqua per loro come un muro.

(La Bibbia)

 

[La voce del narratore]:

 

-       Invece, c’era gente che tornava, come Ulisse e gente che se ne andava per sempre, come Enea

 

 

[Lo spazio scenico viene diviso in due. Da una parte la fuga di Enea, dall’altra il ritorno di Ulisse.]

 

 

Haec fatus, latos umeros subiectaque colla…

Ciò detto, le vaste mie spalle e la schiena, curvandomi,

vesto d’un panno e poi d’una pelle di fulvo leone,

e accolgo il mio carico: la destra il piccolo Iulo

mi stringe, seguendo il padre con dispari passi.

Dietro viene la sposa. E andiamo per strade segrete;

e me, che or ora non impeto d’armi impauriva

né folla di Greci per quanto stretti a combattere,

ora ogni soffio atterrisce, mi scuote ogni suono,

in ansia e timore per il compagno e pel carico.

Ero ormai vicino alle porte e tutta credevo

D’aver scampato la via, quando ad un tratto agli orecchi

Sembrò avvicinarsi fitto suono di passi, e il padre nell’ombra

Ficcando lo sguardo: “Figlio, grida, fuggi figlio, son qui!

Fiammeggianti gli scudi vedo, e il barbaglio dell’armi!”

(Virgilio, "Eneide")

 
 
 
 
Greus d’eis iuperò anebèseto carcalòosa…

La vecchia salì al piano alto, gridando di gioia,

per dire a Penelope che il suo sposo era in casa;

e le ginocchia eran salde, i piedi correvano rapidi.

Le stette sopra la testa e le diceva parola:

“Sveglia, Penelope, creatura cara, vieni a vedere

con gli occhi tuoi quello che invochi ogni giorno.

E’ venuto Odisseo, è in palazzo, finalmente tornato.

E i pretendenti alteri ha ucciso, che la sua casa

affliggevano e i beni mangiavano e opprimevano il figlio.”

(Omero, "Odissea")

 

SCENA VI

 

[Un ragazzo racconta. Le spalle rivolte al pubblico:]

 

Era l’estate del 1998 quando mia madre venne in Albania e disse a me e ai miei genitori adottivi se volevamo venire in Italia. Lei era molto preoccupata perché in Albania c’era ancora la guerra.

La ricordo ancora la guerra in Albania…Non andavo a scuola. Avevamo troppa paura. C’erano tanti palazzi, neri per il fuoco. Distrutti. Disabitati. Tanti altri edifici importanti erano stati distrutti dalle bombe. Si sentivano gli spari. Tutti sparavano: in aria, oppure solo per far vedere che erano armati! Si sentivano le bombe. Nessun bambino stava fuori a giocare come prima. Le strade erano vuote. La gente prendeva quanta più farina era possibile per non uscire da casa e fare il pane da soli…

Noi eravamo d’accordo, perché per noi era un bene lasciare la guerra e andare a vivere in un luogo dove c’era la pace, dove riuscivi di certo a fare più fortuna che in Albania. Dove c’era un ambiente bello, pulito e con una cultura migliore. Lei ci disse anche che con la nave non potevamo venire. Non avevamo documenti e a Tirana non ce li avevano dati. C’era la guerra! Ci restava solo il gommone!!!

La paura ci fece dubitare e così decidemmo di non venire. Mia madre tornò in Italia.

 

SCENA  VII

 

La voce del narratore:

-       Alcuni dicevano che era facile raggiungere la costa italiana. Altri, abbassavano la voce e sussurravano che i poliziotti sparavano e quelli dei gommoni buttavano a mare anche i bambini, perché le persone non interessavano a nessuno: l’importante era trasportare armi e droga..

 

 

 

[Un gruppo di ragazzi sta giocando. Piccole bambole. Microscopici aquiloni. Combattimenti con fiammiferi. Campana con pezzetti di giornali. Si sente un tuono e arriva un gran vento. BUIO. Notte in mezzo al mare. Sale il rombo del gommone. Uno spinge gli altri fuori dal gommone. Rumore e luce di un elicottero. I ragazzi resistono. Si stendono per terra, si aggrappano alle gambe dello scafista. Lo scafista strappa di mano l’involto di un bambino, lo tiene sollevato. Lo butta in mare. Rumore del gommone che si allontana.)]

 

SCENA VIII

 

 [Riprende il racconto con la voce di prima:]

 

Era il 12 ottobre del ’98, le ore 22.00, quando salii piangendo sul gommone. Era terribile solo il pensiero di dover stare per circa un’ora e mezza in mezzo al mare…

Quando sono salita ho visto le facce dei bambini e delle madri. Tutte spaventate. Ho sentito i motori che si erano accesi. Girai la testa verso est e vidi il mare. Sembrava senza fine…era così scuro che a me sembrò una pozzanghera di fango.

Siamo partiti…

Io stavo con i miei genitori adottivi. Mia madre, sempre quella che mi ha adottata, mi guardava e pregava perché non succedesse niente. Mio padre, pure lui quello che mi ha adottata, abbassava la testa e mi ripeteva che, qualsiasi cosa succedesse, lui mi salvava. Io invece guardavo solo il cielo che in quella notte era pieno di stelle e la luna era piena. L’unica cosa che dicevo era: “Signore, aiutami!”.

 

[Luci di lampadine tascabili che cercano sul mare. Un corpo galleggia sulle onde. Viene tirato via col mezzo marinaio.]

 

Una voce: Qui ce n’è un altro

 

SCENA IX

 

Alle 23.30 siamo arrivati. Quando stavamo per scendere, la polizia si è accorta di noi e ha sparato in aria. Tutti gridavamo per la paura caso mai ci sparavano addosso.

Siamo entrati in un bosco… Tutti correvamo… Alcuni cadevano, perché dal buio non vedevano dove mettevano il passo.

Mentre correvamo, però, la polizia stava venendo davanti a noi. Tutti quanti, poi appena abbiamo visto le luci della macchina ci siamo subito stesi per terra e così i poliziotti non ci hanno visto.

Abbiamo camminato per due ore in quel bosco pieno di cespugli. Poi abbiamo camminato per altre due ore su di una strada dove c’erano tanti cani che abbaiavano.

Avevamo tanta paura caso mai qualcuno degli italiani si accorgevano di noi albanesi e telefonavano alla polizia.

Poi siamo arrivati su di un’autostrada. Sono venuti a prenderci e ci hanno portati a casa dalla mia vera madre che ci stava aspettando con molta ansia. Lei ci stava aspettando alle scale e appena ci ha visti ci ha subito abbracciati. Avevamo camminato così tanto che nei primi giorni non riuscivo a camminare.

 

SCENA X

 

[Diapositiva: borsoni vestiti scarpe. Un faro si concentra sul volto che si toglie la maschera. Fino a buio totale]:

 

Era da due anni che sapevo la verità. Cioè che lei era la mia vera madre e non le volevo molto bene. Ma appena l’ho vista e abbracciata ho provato una sensazione meravigliosa e credo che è stato proprio da quel momento che ho cominciato a volerle davvero molto bene. La mia vita per un periodo è stata molto difficile. Poi ho trovato un po’ di tranquillità. Il primo anno che sono stata in Italia è stato per me un inferno, ma da quando sono rimasta con la mia vera madre ho trovato la pace. Non voglio dire che con i miei genitori adottivi non mi trovavo bene, anzi, al contrario. Voglio bene molto a loro, ma con la mia vera madre per me è stato come se ho cominciato una nuova vita molto diversa da quell’altra.

 

 

[Tutti si alzano e prendono  posto in fondo allo spazio scenico: sembrano i  personaggi del quadro di P. De Volpedo “Il quarto stato”. Si tolgono le maschere.Da dietro ricompaiono i ragazzi con la calzamaglia nera  che come nuotando trascinano il gruppo verso il pubblico. Si siedono diventando una scultura di maschere.]:

 

-       Siamo tutti PICCOLI PROFUGHI

 

 

[Canzone registrata di Tito Schipa: “Vivere”. I ragazzi  ballano]

                                

 

                                                  FINE