Lungo le vie di Taotor

 

SCENA 1: TAOTOR

[Adulti e ragazzi disposti di spalle, seduti, su tre lati del palcoscenico. Possibilmente alternati: un adulto un ragazzo. Un adulto si alza, indossa la maschera che ha dietro la nuca e va verso il leggìo. Mentre legge un ragazzo si avvicina e cerca di spiare quello che c’è dietro la maschera]

 

Lungo le vie di Taotor

vi sono cime in penombra e caverne di luce

e c’è chi la vita tesse nell’ombra

e chi con la falce di fuoco la scuce.

 

Lungo le vie di Taotor

Vi sono cataste di ricordi fumanti e paludi di memoria

E c’è chi si spinge in avanti

E chi scende nel ventre della storia.

 

Lungo le vie di Taotor

Vi sono vetrine di cose vere e specchi di menzogna

E c’è chi offre carezze sincere

E chi brinda con l’acqua di fogna.

 

Lungo le vie di Taotor

Danzano abbracciati il mare e la terra, il sole e la luna

E c’è chi il ritmo nel cuore rinserra

E chi il senso della vita consuma.

 

SCENA 2: IL BANDITORE   

[Si alzano due ragazzi. Uno con trombetta e tamburo, l’altro col cartiglio del banditore. Squillo di trombetta, rullo di tamburo]

 

Il Banditore: Udite, udite…

[Squillo di trombetta, rullo di tamburo. Udite, udite…

[Squillo di trombetta, rullo di tamburo.

 Arriva di corsa un altro ragazzo]:

Basta con le lagne, i proclami e i banditori! Lì c’è il pubblico [dubbioso] Non è che siete tutti sordi e ciechi, vero? [si porta le mani alle orecchie] D’accordo: non udenti e non vedenti. Ma è uguale, no? Insomma, lì c’è il pubblico di sordociecomuti e qui ci stanno gli attori. Siete attori?… Attorini,…quasi attori? Se state qua siete attori. Punto e basta e questa è la fiera del teatro. Punto e basta. E questo è un palcoscenico. Punto e basta! [si gratta la testa] E quelle sono le luci. Punto e basta! [si gratta la testa]  Ma a teatro che si fa? Si fa…Si fa…[si gratta la testa]

Il trombettiere: si fa… do re mi [cantando] Sifadoremi…La sol…SiafdoremilasolSi!

Una voce: servono le storie!

Gli adulti: noi abbiamo preso in prestito alcune storie di Pirandello

I ragazzi: e noi alcune storie mitologiche.

 

SCENA 3: LE BOTTEGHE

[Le botteghe: vengono aperti degli striscioni

I ragazzi e gli adulti si distribuiscono dentro le botteghe, dietro gli striscioni.Appendono le maschere. Fra gli uni e gli altri la mamma di Damiano sistema il tavolo per fare la pasta. Benedica il suo.]

 

Beatrice (rivolta al pubblico): come avete visto, sono tutte storie di viaggi. Certo, belle storie, ma non sono sufficienti a fare teatro…

Una ragazza (offre a Beatrice un mazzo di fogli): noi abbiamo anche le storie della zia Galatea.

Un ragazzo (si precipita con un altro pacchetto di fogli): e anche le storie che ci hanno raccontato i nostri compagni immigrati.

Beatrice: avere tante storie è una cosa buona perché ci dà la possibilità di scegliere, ma non di fare il teatro che vuole Fabrizio, o Damiano, o Antonio…

1° ragazzo (alzandosi in piedi): il teatro che io voglio è…

2° ragazzo: c. s.

3° ragazzo: c.s.

 

SCENA 4: LA RAGNATELA

[Beatrice verso la ragnatela]

 

Beatrice: Le storie sono come reti o ragnatele; servono per catturare i pesci e le farfalle, la Vita. Le storie di Pirandello o di Omero sono reti che ci servono per catturare la nostra vita: il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro…

Una voce: allora anche i nostri ricordi?

Beatrice: certamente!

Un’altra voce: a me piaceva come cominciava lo spettacolo dell’anno scorso

 

SCENA 5: LE PARTENZE

[luce solo sul leggìo e sul lato opposto dove una madre è seduta per terra col bambino in braccio. Sul motivo arpeggiato di “l’aura sira passai te le paduli”]

””22

Le partenze sono tutte uguali.

Impugniamo le ciglia dell’aurora

e, dopo aver cancellato tutti i mali,

dipingiamo di rosa le speranze.

 

Ma poi le labbra si tingono di viola

e mastichiamo scongiuri o preghiere

per respingere le amare lontananze

e incatenare i latrati del passato.

 

E quando il vento dei ricordi ci sfiora

gli occhi si colmano di lacrime nere

un nodo s’incattivisce nella gola

e strangola i ricordi che hai cullato.

 

SCENA 6: I GIGANTI

 

Beatrice: aveste visto? Una musica dolce, un bel testo, le luci al posto giusto ed ecco la magia del teatro, ma…vi avverto subito, questa sera non ci sarà uno spettacolo, questa è la FIERA DEL TEATRO e quelle sono le botteghe con le bancarelle![Porta il microfono alla bottega dei Giganti]:

Un adulto: Che volete da noi? Eravamo anche noi attori, avevamo il copione e le parti e recitavamo nei migliori teatri della vita. Poi abbiamo deciso di abbandonare il mondo e viviamo qui, in questa villa isolata. Il nostro capo si chiama Cotrone…

 

SCENA 7: LUISA/COTRONE

[Nella bottega de “I giganti della montagna” c’è agitazione. Un mucchio di ragazzi ‘rotola verso il proscenio’ un fagotto: emerge Luisa – Cotrone e comincia a danzare accompagnata da Paolo e da…]

 

Altra voce:  “Siamo qua come agli orli della vita. Gli orli a un comando si distaccano; entra l’invisibile; vaporano i fantasmi. E’ cosa naturale. Avviene, ciò che di solito nel sogno. Io lo faccio avvenire anche nella veglia. Ecco tutto. I sogni, la musica, la preghiera, l’amore…tutto l’infinito ch’è negli uomini è dentro e intorno a questa villa…Non bisogna più ragionare. Qua si vive di questo. Privi di tutto, ma con il tempo per noi: ricchezza indecifrabile, ebollizione di chimere. Le cose che ci stanno attorno parlano e hanno senso soltanto nell’arbitrario in cui per disperazione ci viene di cangiarle. Disperazione a modo nostro, sia chiaro!

 

SCENA 8: LE BACCHETTE MAGICHE

[Mentre alcuni ragazzi, a turno,vanno a prendere delle bacchette da Luisa e toccano adulti e ragazzi delle botteghe facendogli cambiare posizione ed espressione]

 

Altra voce: Non si può campare di niente; e allora è una continua sborniatura celeste. Respiriamo aria favolosa.  Gli angeli possono come niente calare in mezzo a noi; e tutte le cose che ci nascono dentro sono per noi stessi uno stupore. Udiamo voci, risa; vediamo sorgere incanti figurati da ogni gomito d’ombra, creati dai colori che ci restano scomposti negli occhi abbacinati dal troppo sole della nostra isola. Sordità d’ombra non possiamo soffrirne. Le figure sono inventate da noi; un desiderio dei nostri stessi occhi. …Voi attori date corpo ai fantasmi perché vivano – e vivono! Noi facciamo al contrario: dei nostri corpi, fantasmi: e li facciamo ugualmente vivere. I fantasmi…non c’è mica bisogno d’andarli a cercare lontano: basta farli uscire da noi stessi.

 

SCENA 9: I PEZZI DI STOFFA COLORATA

[Uno comincia a tirare fuori da un cesto pezzi di stoffa colorata e li lancia in mezzo alla scena. Titti e tre ragazze li raccolgono, fanno un giro di corsa e li consegnano a Luisa che è ferma al centro della scena. Quando li ha tutti in mano cerca di andare verso la Bottega dei Giganti, ma Titti e le ragazze sono attaccate, una alla punta delle stoffe, le altre ad un piede di Titti e frenano la corsa di Luisa]

 

Altra voce: Io ho sempre inventate le verità e alla gente è parso sempre che dicessi bugie. Non si dà mai il caso di dirla la verità come quando la s’inventa. Non ho mai fatto altro in vita mia! Tutte quelle verità che la coscienza rifiuta le faccio venir fuori dal segreto dei sensi, oppure, le più spaventose, dalle caverne dell’istinto. Con questi miei amici m’ingegno di sfumare sotto diffusi chiarori anche la realtà di fuori, versando, come in fiocchi di nubi colorate, l’anima, dentro la notte che sogna.

 

SCENA 10: TITTI E LA MACCHINA FOTOGRAFICA

[Luisa si è liberata e ha raggiunto la Bottega dei Giganti; scompare dietro ai genitori che hanno fatto muro.

Titti è al centro della scena, seduta per terra, la testa riversa all’indietro, le mani con le palme rivolte verso l’alto. Un ragazzo della Bottega del Figlio cambiato le porta una maschera e una macchina fotografica. Lei indossa la maschera dietro la nuca e, prima d’imbracciare la macchina fotografica, improvvisa un rapporto di paura, odio, amore.La sfiora, s’allontana, la tocca: è bollente, cerca di morderla, alla fine l’abbraccia, la bacia, la culla; la poggia per terra, si stende, si fa una foto con l’autoscatto. Poi tira fuori, guardandosi intorno sospettosa, un pezzo di stoffa e con quello veste la macchina che ora tiene in alto come un totem.]

 

SCENA 11: LA PROCESSIONE

[Inizia una specie di processione. Dietro di lei vanno alcuni ragazzi. Il gruppo fa tre passi e si ferma. Ancora tre passi e si ferma. E questo più volte. Quando Beatrice raggiunge il leggìo i ragazzi si accucciano stretti a Titti.

Da questo momento Titti e i suoi aiutanti seguiranno tutte le scene scattando foto. Potranno anche andare in mezzo al pubblico, o farsi spazio in mezzo ai genitori. Ogni volta che si fermano per fotografare, realizzeranno una specie di quadro plastico]

 

SCENA 12: GLI AUTOMI

 

Beatrice: E’ un sogno sfuggire al labirinto della vita, ma è un sogno straordinario. E in ognuno di noi c’è un Dedalo che si trascina dietro il suo Icaro. Ma d’un tratto si volta e non lo trova più e, allora, per consolarsi comincia a raccontare a se stessa La favola del figlio cambiato

[Si volta e comincia a camminare come un automa seguendo percorsi geometrici. A turno, lo stesso fanno gli altri. Stringono una corda. Quando si fermano si fanno un giro di corda intorno al polso e continuano a marciare sul posto. S’inginocchiano. Si siedono per terra. Alzano la corda a realizzare una barriera. Dedalo e Icaro danzano al centro della scena

 

 [Benedica dalla bottega di Dedalo: inchioda, sega, scartavetra, trapana. Mette in mano ad un ragazzo due pezzi di legno. Il ragazzo batte a tempo due pezzi di legno.]

 

Una ragazza:

Ma intanto Dedalo, stufo di essere da tanto tempo confinato a Creta, e preso dalla nostalgia della sua terra natale, era bloccato: lo bloccava il mare. “Che Minosse mi sbarri pure le vie di terra e d’acqua - disse – ma almeno il cielo è sempre aperto. Passeremo di là! Sarà padrone di tutto, ma non dell’aria!….. E subito dispose delle penne una accanto all’altra, cominciando dalle più piccole, su su, sempre più lunghe…..

 

Quando ebbe dato all’opera l’ultima mano, l’artefice provò di persona a librarsi su un paio di queste ali, e, battendole rimase sospeso per aria. Quindi ne munì anche il figlio, dicendogli: “Vola a mezza altezza, Icaro, mi raccomando….. Vienimi dietro, ti farò da guida”. Poi baciò il figlio – furono gli ultimi baci – e levatosi sulle ali volò...

 

E già si erano lasciati a sinistra Samo, sacra a Giunone, e Delo e Paro, e a destra avevano Lebinto e Calimne ricca di miele, quando il fanciullo cominciò a prender gusto all’audace volo, e si staccò dalla guida, e affascinato dal cielo si portò più in alto. La vicinanza del sole ardente ammorbidì la cera odorosa che teneva unite le penne. Si ammorbidì, la cera e invocando il padre precipitò a capofitto, e il suo urlo si spense nelle acque azzurre che da lui presero il nome.

 

SCENA 14: VOLA… VOLA…

 

Beatrice: ci sono viaggi per terra e viaggi per mare. Dedalo e Icaro viaggiarono nel cielo per raccontarci del viaggio più rischioso. Quando lo lanciavo in aria, per gioco, mio figlio rideva. Se piangeva, lo cullavo. Erano piccoli voli per accompagnarlo nel mondo del sogno. Anche quando imparò a camminare il suo gioco preferito era il “vola, vola”. E finisce che questi figli imparano a volare davvero, mentre le nostre ali perdono le penne e diventiamo ogni giorno più pesanti.

 

 

 

 

 

SCENA 15: IO SONO…

[Luisa gioca con la doppia maschera mentre]

 

una madre:

Io sono… orgogliosa o puntigliosa?

Felice? Ma cos’è la felicità?

Io sono di questo mondo… e l’altro come sarà?

Io sono piccola… o grande?

Importante per qualcuno o… non indispensabile

Appassionata o innamorata della passione?

Io sono coraggiosa o… desiderosa di esserlo

Prudente ma… non troppo

Sognatrice… spesso con i piedi per terra

Polemica… ma non a tutti i costi

Io sono mamma, ma desiderosa ancora di essere figlia

Io sono al passo coi tempi… con i miei

Io sono una brava ascoltatrice, ma poco ascoltata

Generosa… al punto giusto?

Clemente con gli altri, poco con me stessa

Io sono alla ricerca di me stessa.

 

SCENA 16: LE COCCOLE

 

Una voce di adulto dalla bottega del Figlio:

Quando era piccolo mi piaceva coccolarlo, fargli le tenerezze e quando andava a letto mi chiamava per dargli il bacio della buonanotte. Aveva capelli biondi e occhi azzurri. Io lo chiamavo angioletto.

Adesso è cresciuto, non è più un bambolotto, è un ragazzo, sta diventando uomo. Me ne accorgo ogni giorno che passa. Quando era bambino mi raccontava dei suoi piccoli segreti, che per lui erano “grandi”-

E’ cambiato molto, i suoi segreti sono solo suoi. Guai se gli chiedo di condividerli con me. Ora i suoi segreti li conosce solo il suo migliore amico.

Comunque… rimane sempre il mio angioletto.

 

SCENA 17: CARA MAMMA…

 

Una voce di ragazzo:

  Cara mamma,

ti voglio tanto bene. Ti mando il denaro che ho raccolto io. Ho lavorato molto. Con questi soldi puoi sistemare la casa. Farla più grande, come un albergo. Possiamo vivere tutti noi, tutti insieme, pure il nonno. Vivremo a Frigole, non a Lecce. Frigole è più bello, c’è il mare con le onde.

 

SCENA  18: LA CAMPANA/L’ACQUA DEL MARE

[Un gruppo di ragazze va  verso il centro della scena e gioca a campana. Ad un tratto si fermano]

 

Voce di ragazza:

L’acqua del mare è più bella del vetro.

D’estate è giovane, pulita.

D’inverno è vecchia, è fredda.

Mi piace sempre l’acqua del mare…

 

 

Altre voci

Vorrei sapere dell’acqua del mare,

(in coro) se invecchia, se muore!

Ci sarà la più giovane,

quella che più viva si muove?

E l’altra, quella che spuma,

quella che stracca s’abbatte alla spiaggia,

è forse la vecchia? Vi fa

ridere questo pensiero

(in coro) dell’acqua bambina,

dell’acqua vecchia del mare?

 

SCENA 19: STARE INSIEME-SEPARARSI /SULLE ORME DI MIA FIGLIA

(Con la maschera dell’acqua Luisa e una ragazza fanno un’improvvisazione sul tema “stare insieme – separarsi”)

 

Un’altra voce adulta:

Io e mia figlia condividiamo tutto: gli amici, no veramente lei ha i suoi ed io i miei, i libri, no, non sono per niente gli stessi, ma molti io li ho già letti; poi c’è la scuola, io la mia e lei la sua, i miei compiti, i suoi compiti. La casa, sì la casa la condividiamo! Ma da tre settimane abbiamo in comune qualcosa in più:

uno spazio che non è la nostra casa, uno spazio in cui lei per tre anni ha vissuto senza di me un’esperienza che non mi apparteneva.

Quando mi hanno proposto di fare la sua esperienza con le stesse persone ero turbata senza sapere perché. E’ una tenera emozione avvertire qui la sua presenza, sentirla mentre non c’è e sapere che ha fatto qualcosa che ora faccio anch’io. Non è lei che mi segue, sono io che ripercorro i suoi stessi passi. Per una volta lei ha esplorato prima di me.

Non è come condividere i nostri spazi consueti. Essere qui mentre lei non c’è e sentirla vicina mi dà un’emozione nuova, non ancora vissuta con lei. So che succede qualcosa di simile anche a lei e quando torno a casa la prima cosa che mi chiederà sarà di raccontarle quello che ho fatto nelle mie ore di laboratorio teatrale nella sua scuola e i nostri ruoli per un po’ si capovolgono ed io capisco che non sempre lei possa aver voglia di raccontarmi quello che fa fuori di casa, senza di me, slegata da me, un’altra persona, diversa da me.

 

SCENA 21: LA FARINA

[La mamma di Damiano prende un sacchetto di farina e gettandola a manciate in aria va verso il leggìo di Beatrice accompagnata da Damiano che gioca col game-boy]

 

La mia vita è qua,

la mia vita è là,

trottola trottola,

requie non ha.

Sempre giro,

giro,

giro,

giro, giro sempre più.

Come sono?

bianca,

rossa,

verde, nera?

sono di tutti i colori,

biancorossa,

verdenera,

giallolillarosablù.

[butta una manciata di farina addosso a Beatrice e ritorna a fare la pasta ripetendo]:

La mia vita è qua,

la mia vita è là,

trottola trottola,

pace non ha.

 

SCENA 22: ICARO

 

Una ragazza su di una scala:

Icaro ha volato

Le piume di cera

Più alto più alto

Il sole bruciava

Ha perduto le ali

Più alto più alto

E’ caduto

Dedalo e Icaro

Vicini abbracciati

Volano

Nel cielo della nostra memoria

 

SCENA 23: LE FORBICI

[Luisa rincorre un gruppo di ragazzi e con due bacchette a mo’ di forbici taglia loro le ali. Alcuni si accasciano al suolo, altri tentano di volare con un’ala sola, ma sbattono di qua e di là.

La bottega di Dedalo e quella del figlio cambiato si fondono. I due striscioni ora stanno uno sopra l’altro].

 

SCENA 24: ERRARE/ERRORE

 

Beatrice:

… E solo quando non hai più casa, tutto il mondo diventa tuo. Vai e vai, poi t’abbandoni tra l’erba al silenzio dei cieli; e sei tutto e sei niente… e sei niente e sei tutto

.Il fatto è che poi arriva un momento in cui smettiamo di viaggiare. Viaggiare diventa errare e il viaggio un errore. Non viaggiamo più tra le persone, nei luoghi, nel tempo. Solo pochi continuano a viaggiare errando. I più diventano abitudinari: viaggiano nelle abitudini. Dormono nello stesso letto,  a tavola occupano lo stesso posto, percorrono la stessa strada, entrano nello stesso ufficio…Voliamo solo coll’immaginazione perché il corpo si è appesantito, si è riempito di passato, di ricordi, di rimpianti, di piccoli amori raccattati nella spazzatura delle favole, di piccoli appartamenti ricavati negli scantinati dei grandi castelli.

Allora possiamo diventare cattivi, crudeli: come genitori o come insegnanti prendiamo le forbici delle nostre abitudini e ci avventiamo sulle ali di chi vuole volare e ci sembra di vedere negli occhi di ogni zingaro, di ogni Ulisse migrante il ladro, l’assassino delle nostre piccole sicurezze. Oppure ci perdiamo nei racconti delle sue avventure, nei colori dei suoi vestiti, nei passi delle sue danze, nei ritmi delle sue canzoni…[Lo striscione di Ulisse si fonde con quello dei Giganti. Beatrice va a prendere la ragazza che deve leggere e l’accompagna al leggìo La zattera trascinata da Francesca]:

 

SCENA 25: EOLO

 [Improvvisazione Eolo. Bolle di sapone]

 

        Aiolìen d’es nèson aficòmeth; ènta d’ènaien
E all’isola Eolia arrivammo; qui stava

            Eolo Ippotade, caro ai numi immortali,

            nell’isola galleggiante: tutta un muro di bronzo,

 

                     Doche de m’ecdèiras ascòn boòs enneòroio

           Mi diede un otre, che fece scuoiando un bue di nove anni,

           e dentro costrinse le strade degli urlanti uragani;

           perché signore dei venti lo fece il Cronide,

           Nella concava nave l’otre legava con una catenella d’argento

           lucente, che non trapelassero fuori dal nulla;

           e solo il vento di Zefiro mi mandò dietro a soffiare.

           Che portasse le navi e noi pure;

          

           ma non doveva condurci a fine: perimmo per la nostra pazzia.

           Nove giornate di seguito navigammo di giorno e di notte,

           al decimo già si scorgevano i campi paterni,

           gli uomini intorno ai fuochi vedevamo vicini.

           Allora il sonno soave mi prese, ch’ero sfinito;

           continuamente alla barra ero stato, senza darla a nessuno

           dei compagni, perché più presto arrivassimo in patria;

          e i compagni parole fra loro parlavano,

           

           e dicevano che oro e argento a casa portavo,

           doni d’Eolo magnanimo, figlio d’Ippote.

 

          Così dicevano e vinse la mala idea dei compagni:

          sciolsero l’otre: i venti tutti fuori balzarono,

          e all’improvviso afferrandoli, al largo li riportò l’uragano,

          piangenti, lontano dall’isola patria.

[Scompare la zattera. Torna al suo posto la ragazza. Tutti tornano ai loro posti.]

 

SCENA 26: MOSE’

[I ragazzi si vestono. Prendono i fagotti.]

 

Beatrice:

Il viaggio, quello vero, comincia sempre con una lacerazione; ma è in quella ferita che c’è la forza per andare avanti. Perdiamo le cose, le persone, le parole consuete, ma il dolore della perdita è la moneta che ci permette di acquistare altre cose, altre persone, altre parole.

[Paolo va a prendere dal tavolo della mamma di Damiano un pugno di pasta per il su pajak. Ne distribuisce dei pezzetti agli israeliti]

 

[Improvvisazione Mosè – Mar Rosso]

 

 

Gli Israeliti presero i recipienti con la pasta ancora lievitata, li avvolsero nei mantelli e se li caricarono sulle spalle. Fecero inoltre quel che Mosè aveva detto e chiesero agli Egiziani oggetti d’argento e d’oro ed anche vestiti…..

Dio guidò il popolo per la strada del deserto verso il Mar Rosso. Gli Israeliti uscirono dall’Egitto in buon ordine…..

Allora Mosè stese il braccio sul mare. Per tutta la notte il Signore fece soffiare da Oriente un vento così forte che spinse via l’acqua del mare e lo rese asciutto. Le acque si divisero e gli Israeliti entrarono nel mare all’asciutto: a destra e a sinistra l’acqua per loro come un muro.

[Tutti vanno a sedersi lungo i bordi]

 

SCENA 27: NUOTARE

[Ricompare la zattera di Ulisse. Alcuni ragazzi sopra, tutti glia nuotano intorno come a spingere la zattera verso riva. Dalla Bottega della Nuova Colonia qualcuno lancia monete, altri cercano di respingere gl’immigrati con delle picche, altri buttano salvagenti]

 

 

SCENA 28: ERWIN

[Tutti fermi, immobili]

 

Un ragazzo:

Tutto cominciò l’agosto del 1991 con l’arrivo della nave Vlora nel porto di Bari.

Ma quella non era una nave qualsiasi. Era una zattera sulla quale il mondo aveva imbarcato tutta la sua sofferenza: il suo passato, il lavoro che non c’è, la guerra, ma anche la speranza in un futuro migliore.

Ervin aveva portato con sé su quella nave il suo passato, pieno di ricordi e soprattutto di nostalgia per il suo paese… per la sua famiglia… per i suoi amici.

.

Di motivi per fuggire ce ne stavano fin troppi. Troppa povertà, troppa fame, troppe malattie … e anche la guerra, che ti costringe a morire o a emigrare. Tanta disoccupazione. E soprattutto la voglia di poter fare una vita migliore. Ervin crede che tutto potrà andare liscio una volta lì. Ma presto scoprirà di dover fare lavori molto duri. Verrà sfruttato, arriverà a sacrificare tutto, sarà rifiutato e ignorato.

E tuttavia Ervin pensa di aver fatto la cosa giusta. Deve rischiare per poter avere il meglio.

 

SCENA 29: L’ELEMOSINA

[I ragazzi si siedono.

La zattera scompare.

Improvvisazione di Alberta]

 

SCENA 30: IL RITORNO

 

Un’altra voce:

Le partenze erano tutte uguali… e i ritorni?

 

Riprende il ragazzo di prima (di spalle al pubblico, la maschera dietro la nuca):

Sono tornato. Ma non è stato bello.

Sono ritornato a casa. In quella casa dove sono cresciuto. Mi è sembrata piccola. Mi ricordavo ogni angolo di quella casa. Cadevo ogni volta che uscivo sul balcone, urtavo sempre lo spigolo del letto…

Sono ritornata. Mio nonno mi prende per mano e mi dice: “Arbi, vieni che ti racconto la tua storia preferita”. Quando ero piccola ogni mattina mi infilavo nel suo letto e lui mi raccontava la sua storia della guerra, quando era soldato e combatteva per il suo paese.

Anche se ormai ero grande, mi faceva piacere sentire quella vecchia storia e rivivere gli attimi di quando ero piccola, di quando ero felice. (I ragazzi giocano. Improvvisazioni)

Sono uscita.

Ho salutato i miei amici: Olti, Denis, Nardi… Besmir era morto, mi hanno detto che lo avevano sparato.

La piazza del mio paese la ricordavo sempre affollatissima. Adesso era un deserto. (I ragazzi si bloccano)

Ero partita dall’Italia con la speranza di vedere la mia gente allegra e senza paura, e con una grandissima voglia di riprendere a vivere… dopo la guerra. Ma è stato tutto diverso!

Da casa non usciva più nessuno. Le ragazze uscivano solo per andare a scuola.

La mia scuola…

Ho fatto ritorno alla mia scuola. Sono entrata nella mia classe. Non c’era nessuno. Mi sembrava di sentire dei rumori, molti rumori… ma erano solo i miei ricordi. I ricordi…fanno strani rumori

Un mercoledì mio nonno si sentì male. Lo portarono in ospedale. Poi, mentre stavo andando a dormire sentii bussare alla porta: era mio zio. Mi ha detto che il nonno era morto. Si era portato via i ricordi più belli.

Dopo tre giorni salii sul traghetto. Era il ritorno del ritorno.

 

SCENA 31: PRINCIPESSA

[si gira verso il pubblico

i ragazzi, seduti, battono il tempo con le mani e con la testa]

 

Ritorno

con la mia principessa.

Nella valigia

una sveglia

per suonare il tempo.

Sulla strada del ritorno…del ritorno il desiderio di portare un amico.

Penso ad Ulisse. Lui, forte, coraggioso, saggio, furbo mi aiuterebbe nei pericoli e nei momenti difficili. Con lui mi sentirei sicuro.

 

SCENA 32: LA VALIGIA

 [La ragazza prende la valigia e si avvia verso la bottega della Nuova Colonia dove, nel frattempo sono state sistemate delle sedie con dei posti vuoti. La ragazza tenta di sedersi, ma viene respinta. Dopo vari tentativi, trova posto sotto le sedie, sistema la valigia e si accuccia come un cane. Qualcuno gli butta un pezzetto di pane]

 

SCENA 30: I PROCI

[i ragazzi si dispongono come una freccia

di fronte, dalla zattera, scende Ulisse

tutti imbracciano un arco immaginario

           

         Greus d’eis iuperò anebèseto carcalòosa…

         La vecchia salì al piano alto, gridando di gioia,

         per dire a Penelope che il suo sposo era in casa;

         e le ginocchia eran salde, i piedi correvano rapidi.

         Le stette sopra la testa e le diceva parola:

         “Sveglia, Penelope, creatura cara, vieni a vedere

         con gli occhi tuoi quello che invochi ogni giorno.

         E’ venuto Odisseo, è in palazzo, finalmente tornato.

         E i pretendenti alteri ha ucciso, che la sua casa

         affliggevano e i beni mangiavano e opprimevano il figlio.

 

SCENA 34: SVEGLIA!

[Damiano prende il suo Game Boy e lo mette in un sacchetto di spazzatura. Va a svegliare il ragazzo che dorme con la testa sulla valigia, se lo carica a cavalluccio e lo porta vicino al tavolo di sua madre. Gli offre la sedia]

 

Voce di ragazzo:

Porto con me

Enea.

Ha perduto

suo padre.

Ha perduto

la sua casa.

La sua città

tutta bruciata.

Lo porto a casa mia.

… un altro figlio per mia madre

 

SCENA 35: IL CERCHIO SI CHIUDE

[Tutti si dispongono in cerchio. Tengono in mano un nodo]

 

Beatrice al leggìo:

Siamo alla conclusione. Dobbiamo ora distillare almeno un senso del nostro viaggio. Ogni svolta, ogni tappa abbiamo segnato con un nodo. Ripiegati gli striscioni di tutte le botteghe, ci rimane solo quello della Nuova Colonia. Ora stiamo imparando di nuovo dai bambini la meravigliosa arte del viaggio, dell’avventura, dell’errare, dell’errore che ci aiuta a dare senso alla vita.

 

SCENA 36: LA NUOVA COLONIA

[La mamma di Damiano passa con un cesto di biscotti]

 

Gli adulti (a turno):

-       Ma noi non siamo bambini!

-       Se siamo stati una volta, bambini possiamo esserlo sempre!

-       E’ un’impresa che richiede santi protettori

-       I santi, ricordatevi, si fanno di legno cattivo.

      - Non si nasce cattivi!

        E’ che uno non trova – si sforza e non trova più il modo d’esser buono con nessuno! E nessuno             l’aiuta a farglielo trovare!

     - Eh, se fosse vero che, venendo qua e cambiando vita, dovevamo diventare altri da quello che eravamo…?

     - Nessuno di noi può esser tutto, se poi ci sono gli altri.

     - Io ho capito questo…

che c’è un modo, sì, d’esser tutto per tutti; e sai qual è? Quello di non esser niente per noi.

     - Stringi le mani per prendere, prendi poco, sempre; se le apri per dare e accogli tutti in te, prendi tutto, e la vita di tutti diventa la tua.

 

SCENA 37: BOLERO

[Comincia il Bolero. Mosè e la Nuova Colonia si fondono.  A turno ognuno scioglie il suo nodo e si allontana in mezzo al pubblico. Sulla scena rimane solo una madre in braccio al suo ragazzo/a. Un’altra madre va al leggio]

 

Voce di una madre

A me basta per consolarmi di tutto, guardare gli occhi del mio bambino, quando li apre per guardare e non sanno nulla! Li guardo, e in questa loro innocenza mi scordo di tutto. E tutto quello che so io della vita mi pare allora lontano lontano, un sogno cattivo che la luce di questi occhi fa subito sparire.

[Mentre sale la musica del Bolero, proiezione delle diapositive. Applausi]