Il
tessitore di nuvole. Altri
percorsi per il teatro. Soggetto
e sceneggiatura: G. Santoro Coordinamento
e realizzazione dell’esperienza teatrale: B. Chiantera Regia:
G. Capani Est. alba luce livida. Le onde si susseguono su di una spiaggia
[molta eco] C'è
un tempo per nascere e
un tempo per morire Un
tempo per costruire e un tempo per demolire Un
tempo per piangere e un tempo per ridere Un
tempo per gemere e un tempo per ballare Un
tempo per uccidere e un tempo per curare [meno eco] E
c'è anche un tempo in cui un po' si è vivi e un po' si
è morti E
i gemiti solleticano i piedi E
le lacrime annaffiano un sorriso E
i coltelli guariscono le piaghe E'
il tempo in cui distogliamo lo sguardo Dalle
pozzanghere del nostro cuore E
col sogno di prosciugarle ci
affacciamo sugli abissi degli altri. Titoli
[coro di bambini] Din
don campanon Quattro
vecchie sul balcon Una
che fila Una
che taglia Una
che cuce cappelli di paglia Una
che affila coltelli d'argento Per
tagliare la testa al vento. Scena 1 est giorno Beatrice esce da casa e sale in macchina. Fa manovra ed esce dal viale. [La seguiamo in macchina, vari passaggi] - La scuola non mi piace perché invece di mettere insieme adulti e ragazzi, li mette di fronte, li arma - aule, cattedre, banchi, registri, libri, quaderni, orari, griglie, programmi - e gli dice: combattete! Alla fine non ci sono vincitori e vinti: perdono tutti. Forse ci illudiamo, con la didattica, di attraversare l’intera vita dei ragazzi… e invece siamo solo tessitori di nuvole. Voce da cassetta che viene inserita nel mangianastri voce
da cassetta: -
Ma si può stare nella scuola uno accanto all'altro? B.:
Sono anni che provo e riprovo. Ma comincio ad avvertire segni di stanchezza.
I ragazzi sono lì, davanti a te, ma è come se fossero
in un altro mondo. Fra te e loro cumuli di parole: teorie, leggi, decreti,
circolari… Parole che esibiscono poteri magici, ma spesso servono
solo a costruire muraglie o a scavare fossati… [Con molta eco e ripetuto tre volte] Siamo
solo tessitori di nuvole… PROLOGO
IN CUCINA Scena 2 Est giorno Nel campo [Mentre raccoglie frutti e odori nel campo e li mette nel paniere] Due
anni fa avevamo inventato il Laboratorio di cucina. Ero stanca della scuola senza sapori e senza odori.
Sognavo una scuola saporita. [Da sotto una pianta di melanzane tira fuori un volumetto] Il
progetto, come è scritto qui, era quello di creare nella mia
scuola [Legge da "Saperi
e sapori".] "uno spazio in cui mettere a fuoco (o sul fuoco)
il passaggio tra il bisogno elementare e il bisogno culturale, tra l'oggetto
e la rappresentazione, la manipolazione e la descrizione… Scena 3 Interno giorno in cucina [mentre taglia e mette nella pentola melanzane, pomodori, peperoni…] Un
passaggio, questo, reso ancora più necessario, se non indispensabile,
dal fatto di lavorare, come insegnante di sostegno, con alunni portatori
di handicap. [carrellata fino ad incontrare un piccolo televisore sul quale scorrono le immagini del Laboratorio cucina], -
Ragazzi per i quali ogni percorso di conoscenza è caratterizzato
da mani che ti toccano, sguardi assenti o attoniti, occhi che attraversano
gli oggetti senza vederli, bocche spalancate dalle quali non esce alcun
suono…[mentre lava i piatti] Insomma,
ragazzi che non raccontano, ma sono raccontati, che non dicono, ma sono
detti, che non valutano, ma che nella valutazione degli altri - i normali
- sono confinati agli ultimi gradini della scala. [Mentre
continua la cucina. La macchina tra le pentole e ritorna sul televisore.
Ancora immagini dal Lab. cucina. La
macchina ritorna su B che sta cucinando] Per
un anno è andata bene…abbiamo cucinato i nostri pensieri
e quelli del mondo…niente merendine e panini piuma… poi
il Laboratorio di cucina è diventato il laboratorio degli handicappati.
[Beatrice legge dal libro che vediamo in PPP]: Questo
volumetto contiene "testi da assaporare e pietanze da leggere".
"Le
esperienze che si sono verificate nel Laboratorio di cucina non ci sono
più. Il fare pensando o il pensare facendo è diventato
grumi di memoria in chi ha vissuto quelle esperienze. Oppure si è
trasformato in oggetti disegni, scrittura…Appena una galleria
di ombre rispetto allo spessore contraddittorio delle esperienze…"
Il
LABORATORIO TEATRALE PRIMO
MOVIMENTO Disorientarsi Scena 4. B. Alla pila, lava i panni. Butta l’acqua e poi con le robe bagnate passa davanti alla telecamera che la segue: -
No, l'idea di realizzare un Laboratorio teatrale nel pomeriggio non
è nata solamente dalle difficoltà di utilizzare il Laboratorio
cucina tanto dai normali che dai disabili: è nata anche dalla
insoddisfazione per una organizzazione didattica piena di percorsi obbligati
che poteva forse avere un senso per noi insegnanti, ma per molti ragazzi
era un vuoto senza senso. [Comincia a stendere le robe. La telecamera esplora il paesaggio.] - All'inizio anch'io, assediata dall'ovvio delle risposte
pre-confezionate che allaga la scuola, pensavo che il Laboratorio teatrale
doveva essere un luogo della scuola dove si produceva teatro: scene,
costumi, trucchi, ragazzi che recitano e, alla fine, genitori che applaudono.
Ma sono un'insegnante di sostegno e nel Laboratorio teatrale dovevano
trovare posto prima di tutti i ragazzi disabili. Non rischiavo di fare
la corte dei miracoli? Se nel corso delle 'normali' attività
didattiche i ragazzi in difficoltà erano emarginati che cosa
sarebbe accaduto sulla scena? Non potevo e non dovevo assumere il ruolo
della regista. Avrei rischiato di fare la fine dell'apprendista stregone. [La telecamera gioca con i panni stesi, per poi sbucare verso il mare. Incontra, ma non si sofferma, su di un televisore acceso. Non si vedono immagini] [eco. Sui panni stesi alcune foto dei ragazzi] -
No, non sapevo come organizzare un Laboratorio teatrale, ma sapevo che
cosa non dovevo fare. Non dovevo né fare teatro, né fare
scuola. Volevo trovare un luogo, o un non luogo, dove riportare tutto
al grado zero: ruoli, tempi, spazi, parole, movimenti; un non luogo
dove poter reinventare un mondo. Magari piccolo, piccolo, ma fatto con
i sogni, le paure, le gioie, la stanchezza, le domande mie e dei ragazzi.
Un mondo dove potevano stare a loro agio i ragazzi che stavano fuori
dal Mondo. Fuori dalla famiglia, dalla società, dalla scuola,
dalla salute, dalla normalità. O ai margini. [B. Si appoggia al parapetto e guarda il sole che sta tramontando. La telecamera si perde nel sole e poi ritorna sul parapetto dove il televisore trasmette immagini dell'Aula Magna] - Non è stato un percorso facile, ma ho avuto una
guida eccezionale e come bussola alcuni libri. La guida era un ragazzo
del gruppo che ogni mercoledì s'incontrava nel non luogo "Aula
Magna" dalle 15 alle 17. Nel gruppo c'era anche un'altra insegnante
di sostegno, Francesca Pantaleo, le assistenti, c’era anche Titti
con la macchina fotografica, Pierpaolo con la telecamera e una diecina
di studentesse della Facoltà di Scienza della Formazione. Interviste alle studentesse alternate ad immagini dell’Aula Magna in bianco e nero [le immagini dell’Aula Magna ritornano a colori. Scheda] -
Nel periodo di frequenza della scuola elementare la diagnosi di Giovanni
era di "autismo atipico". Quando
è arrivato nella nostra scuola la diagnosi parlava di: "Deficit
cognitivo lieve - medio con disarmonie relazionali a versante psicotico.
Scarsa integrazione dell'Io, condotte autoemarginanti o invasive degli
spazi altrui. Iperattività. Uso stereotipato del linguaggio.
Produzione verbale molto spesso coprolalica. Disorientamento spazio
- temporale marcato. Questa
è una pagina scritta dal ragazzo all'inizio dell'anno scolastico. Est.pomeriggio[B. scrive degli appunti guarda le foto dei ragazzi. Compaiono
alcuni libri appesi ad un albero] Ma
non era l'unico ad avere problemi. Oltre ad altri tre, ufficialmente
etichettati come handicappati, tra i 'normali' alcuni erano immersi
in storie e situazioni particolarmente drammatiche. Che cosa poteva
dare la scuola a questi ragazzi? Che cosa ero IO disposta
a fare per loro? La scuola li intratteneva e, quando davano fastidio,
li metteva alla porta. Se ne occupavano le assistenti. Perché
io dovevo fare per loro qualcosa di diverso? Potevo inventarmi qualcosa
partendo dalle diagnosi mediche? Non avrei finito per cercare conferme
a quelle etichette prodotte da un discorso gonfio di potere che descrive
la malattia, ma non spiega le ragioni della sofferenza? [eco] Ma
come e dove inventare un paese per chi si era spaesato? Scena 5. L'albero della cultura [ B. lascia il quaderno.Perdiamo B. nei controluce rossastri del tramonto. La telecamera la cerca. B. su di un grande albero. Fra i rami. In una ragnatela di libri. (De Martino, Laing, Van Gogh, Kafka, Sartre, Joice…)] Mi
ritorna alla mente un brano di Blanchot: -
Il mondo in cui viviamo, quale noi lo viviamo, è per fortuna
limitato. Bastano pochi passi per uscire dalla nostra camera, pochi
anni per uscire dalla nostra vita. Ma supponiamo che in questo spazio
angusto, d'un tratto buio, d'un tratto ciechi ci smarriamo… -
Dovevo partire da me, dalle mie domande, dai miei spaesamenti, dalle
mie insoddisfazioni, dai miei vuoti, dalla nausea per i piccoli compromessi
quotidiani. Partire
dai propri spaesamenti… era questa la strada. Meglio: l'inizio
di un percorso all'interno di un labirinto. In qualche parte di questo
labirinto ci saremmo potuti incontrare. Scena 6. Notte [L'albero si scurisce e annega nel buio della notte. Frinire di grilli] [Telecamera in mezzo alla campagna. La luce della veranda è un vago chiarore nella notte. Francesca,seduta sui gradini, legge. Sandro suona il tamburello. La telecamera si avvicina. Spia da dietro i vetri. Frinire di grilli. B. sta scrivendo ] [ La telecamera entra nella stanza. Il frinire dei grilli diventa fortissimo e al posto di Francesca e di Sandro una Francesca e un Sandro bambino. Scompaiono i grilli] Smarrirsi
nello spazio familiare, nel tempo quotidiano… - I ragazzi che frequentavano il Laboratorio teatrale,
chi più chi meno, si erano già smarriti nello spazio e
nel tempo quotidiani e io mi dovevo smarrire come loro se volevo sperare
d'incontrarli nel non luogo del teatro. Ma non mi stavo già smarrendo?
Non è difficile trovare un momento della nostra vita in cui,
come Gregor Samsa della Metamorfosi di Kafka, diventiamo scarafaggi.
Ma quale sentiero dobbiamo percorrere per ritrovare la nostra condizione
umana? - Non soltanto gli oggetti cambiavano di segno e di senso,
ma anche le persone conosciute cominciavano ad apparirmi estranee: I
miei figli non era più quelli di dieci anni fa. Qualcosa del
genere doveva essere accaduto anche ai ragazzi che s'incontravano nel
Laboratorio teatrale. [scene intorno alla pedana] - - B. Ogni mercoledì pomeriggio ci mettevamo intorno
alla pedana nell'Aula Magna per scrivere una pagina del nostro diario.
Era la bussola del nostro viaggio nel labirinto. Un seme di appaesamento
nella foresta dello spaesamento. - Quando era
arrivato nella nostra scuola, Giovanni si tirava giù i pantaloni,
metteva le mani addosso alle ragazze o svaniva per ore nel suo mondo.
[B. comincia a cucinare. Mentre cala la pasta le si appannano gli occhiali. Se li toglie per pulirli] - Aveva terrore del grande specchio che occupava una intera
parete dell'Aula Magna e odiava i miei occhiali. Il 5 dicembre ne spiega
la ragione: Gli occhi miei sono scuri, rotondi, non ho bisogno degli
occhiali perché vedo bene. Invece conosco la professoressa Chiantera
che ha gli occhiali rotondi, dorati e vede troppo. Io glieli devo rompere.
E' meglio se se li toglie. [Arriva una macchina. Fari] [Ritornano le immagini dell’Aula Magna] - B: Il non spazio dell'Aula Magna diventa il non luogo
rituale dello spaesamento appaesato. Ci perdiamo nel mondo, negli oggetti,
nelle nostre paure. [Improvvisazioni sulle paure] - B: Abbiamo fatto di nuovo le paure. Valeria s'impressiona
del buio. Fabrizio ha paura di cadere a terra. Giorgia fa finta di essere
sola. Simone sogna di fare uno spettacolo. Nicola ha fatto una favola
triste. Mariluna ha impressione del mostro. IO ho fatto una paura bianca.
Con i miei amici. Quello che ho fatto io era un teatro inventato. Io
ho paura di essere morto. La cosa bella che mi è successa è
quella d'incontrarmi al teatro e di guardarmi allo specchio. Quando
sto nel teatro mi sento sicuro. [Si vedono i fari di un'altra macchina.] Scena 7 Banchetto e mix [B. mentre scola la pasta. Intorno alla tavola apparecchiata compaiono dei cartelloni. PP. delle foto dei cartelloni. PP. dei commensali intorno alla tavola] L'Aula
Magna è un luogo molto pubblico per me e mi piace, perché
è un posto molto sopra e c'è il pianoforte e lo specchio
ed io sto tanto bene quando vedo lo specchio e provo tanta fiducia e
mi accontento. [Immagini dell’Aula Magna alternate a immagini attorno
alla tavola] Io
mi sento molto sicuro quando sto nell'Aula Magna, è un luogo
dove posso stare ed io so che con lo specchio posso vedere molto meglio.
E' un luogo dove io potrò stare anche
con me ed io sono tranquillo perché sto sempre qui. IO sono molto
felice di venire nell'Aula Magna che mi piace tanto. Il
teatro è per me una cosa straordinaria, che mi affascina. - B.: Nel teatro dell'Aula Magna abbiamo viaggiato per
finta col treno, con la nave, con l'aereo. Poi abbiamo viaggiato nella
favola del Mago di Oz, nelle nostre paure. Infine abbiamo viaggiato
anche nel presente che poi era la guerra del Kossovo. La
guerra minacciosa che si sta combattendo al teatro è geniale,
perché certe volte quando uno fa teatro parla delle paure. Per
esempio se uno ha paura
di non esserci, al teatro può capitare di avere fiducia e di
essere spensierato. A me è capitato. [Riprese prove dello spettacolo nell’Aula Magna] Il teatro
è una corda musicale. Va accordato con le note giuste, ed io
lo vorrei suonare. Io
s sono molto
cambiato nel suono, mi sono formato. Lo spettacolo
che stiamo facendo parla di un personaggio: io. Quando
faccio le corse, gli aerei, la musica, le poesie, il teatro mi appassiona.
Mi sembra di affacciarmi da una finestra, tutto è cambiato, tutto
è gentile, tutto è sicuro. Perché
uno vuole andarci spesso? Perché la voglia di andare a teatro
è rassicurante, perché noi siamo rassicurati, ma poi è
la cosa che a me piace, uno si sente 'amaggiato'. Per me il teatro è
importante. Io sono cambiato col teatro, quando faccio il teatro mi
sento libero, provo delle emozioni tante volte. Ieri
siamo arrivati alla fine del nostro viaggio. Nell'aula Magna c'erano
tante persone, c'era anche Gino, con la barba, con la maglietta rosa,
uno che ascolta e che vede. C'era la mamma mia che guardava, la mamma
di Damiano, c'era Giuliano che schiacciava la telecamera quando io parlavo
col microfono. Gli
spettatori battevano le mani perché avevano visto un teatro bello. Io ho fatto il cerchio con i miei compagni, correvamo. Quando Simone ha detto: "Bastaaaa!", Alessandra ha detto: "Questa è la guerra, una atroce realtà!". [Ritornano le immagini dei commensali intorno alla tavola e poi
le immagini dello spettacolo] Spesso
capita che uno racconta favole al teatro e a me le favole servono a
raccontare una storia di guerra silenziosa, di guerra di persone che
non hanno pietà. Poi alla fine questa guerra finisce, non si
può più combattere, allora tutte le persone continuano
a vivere rifiutando la guerra. Quindi se le persone continuano a vivere,
vivono di fedeltà, di cose serie, di realtà, si riconoscono;
si sentono sicure che hanno distrutto la guerra. Ieri,
sul palcoscenico, c'erano le luci accese e io giravo e pensavo a un
sogno. Era un sogno che volevo fare: stendermi a terra, alzarmi, correre,
girare, ballare, cantare, tenere il microfono, parlare e dire che il
teatro dell'Aula Magna, dei genitori è stato un teatro organizzato,
un teatro dove si mangiava alla fine una torta con la panna. [Ritornano le immagini di B. che guarda le foto, dei panni stesi,
delle improvvisazioni dei ragazzi nell’Aula Magna] Il
momento più importante per me ieri è stato quello di salire
sulle scale e gridare: "Paura… paura… paura…". Il
momento più difficile è stato quello di togliermi le scarpe. Il
momento più facile… non c'è stato un momento facile,
c'è stato un momento di gioia quando recitavamo, un momento di
affanno quando leggevo alla fine dello spettacolo. Ci sono stati dei
momenti allegri quando parlavo col microfono. Insomma alla fine di questo viaggio voglio dire a te che questo teatro è stato un teatro che ci ha voluto conoscere. [Ritorna
l’immagine dell’albero con la ragnatela di libri] Tramonto
con le nuvole. Compare
in sovrimpressione la scritta: Tra
le azioni che ripetiamo ogni giorno e le grida che ci giungono dal mondo
c’è un abisso. Un buco nella ragnatela
del senso.Col viaggio intorno alla pedana rossa abbiamo provato a rimagliare
la ragnatela, a ricostruire il senso del nostro mondo piccolo piccolo. Il tessitore di nuvole Titoli
di coda
|
||