notazioni su "Il tessitore di nuvole",

relazione di Francesca Cesari dell'Università di Lecce

 

Progettazione e coordinamento del laboratorio teatrale: Beatrice Chiantera

Sceneggiatura: Luigi A. Santoro

Riprese: Pierpaolo Quarta

Regia: Giuliano Capani

 

 

Nuvole immerse in un tramonto che accompagnato dal lento movimento del mare, si veste quasi di sera, sono lo sfondo iniziale di questo video che attraverso immagini, suoni, profumi, sapori e racconti di vite vissute spesso ai margini della società, ci allontana dalla nostra “realtà”, portandoci in una dimensione nuova che si può conoscere solo grazie al “non luogo” chiamato teatro. “Siamo solo tessitori di nuvole”, questa frase è la parola chiave che apre le porte ad una nuova esperienza, intrapresa da un gruppo di docenti nella scuola media “A. Galateo” di Lecce, nell’anno scolastico ‘98 – ’99. Da tempo alcuni docenti, tra cui il prof. Santoro e la prof.ssa Chiantera (protagonista e voce narrante del video), erano stati nutriti dalla forte illusione di poter attraversare con la didattica, l’intera vita dei ragazzi nel tentativo di capire questo mondo così piccolo e allo stesso tempo così immenso. Ma questo approccio alla vita dei più deboli risulta inutile, soprattutto se accompagnato da parole che esibiscono “poteri magici”, e che spesso servono solo a costruire muraglie, a scavare fossati nella solitudine e nel disagio di questi ragazzi. “Il Tessitore di Nuvole”, è una finestra aperta che ci affaccia sul panorama di esistenze che hanno bisogno di essere guardate da occhi che sanno guardare e ascoltate da orecchie pronte ad sentire la voce di questi ragazzi “diversi”. Grazie a questo video che delinea chiaramente il percorso difficile di questa esperienza, possiamo anche noi vivere con i protagonisti del filmato ciò che significa coesione, vivendo a pieno la forte voglia di espressione  e di essere rappresentazione di se stessi, che il “non luogo” del teatro regala a chi è pronto a vestirsi di altri colori, diversi dai propri solo nella forma. Una delle prime esperienze che qui si racconta è quella riguardante il “Laboratorio di Cucina”. Il progetto per la sua realizzazione era quello di creare uno spazio in cui “mettere a fuoco e sul fuoco” il passaggio tra bisogno alimentare e bisogno culturale, tra oggetto e rappresentazione, manipolazione e descrizione, un passaggio questo, reso importante dal lavoro di insegnanti di sostegno e ragazzi portatori di handicap. Un’esperienza con ragazzi che non raccontano ma sono raccontati, che non dicono, ma sono detti e che nella considerazione degli altri, i  “normali”, sono confinati in quella penombra che fa male al cuore. Col tempo questo laboratorio in cui si sognava una “scuola saporita”, perde quello che era il suo obiettivo iniziale, diventando così il “laboratorio degli handicappati”, una sorta di galleria di ombre che nascondono il forte spessore delle esperienze passate. È proprio da questa stasi creativa causata dal “non guardare oltre” della scuola , che nasce l’idea di un laboratorio teatrale in cui può e deve prendere forma, senza inibizioni, ciò che ognuno custodisce dentro, nel suo profondo Io. All’inizio si pensava al laboratorio teatrale come ad uno spazio nella scuola in cui si produceva teatro e quindi  scene, costumi, maschere, ragazzi che recitavano e genitori che applaudivano. Il teatro, contrariamente a tutto questo, doveva rappresentare un’isola felice per quei ragazzi disabili che non hanno la possibilità di essere capiti. Un mondo al riparo dal mondo esterno, dove tutto è possibile e dove ci si può ritrovare con la certezza di essere liberi di essere. Le immagini del video accompagnano metaforicamente il racconto di queste giornate trascorse ad ascoltare e ad essere parte della vita degli “altri”. Le foto dei ragazzi, intenti a rappresentarsi in diverse forme di comunicazione che interessano la gestualità,  la mimica, il movimento e la danza, sono appese su un terrazzo, al sole, sorrette da insegnanti che cercano di tessere queste meravigliose nuvole bianche. “Bisognava inventare un Paese per chi si era spaesato…” Le immagini di questo

 

documento scorrono veloci davanti ai miei occhi, accompagnate dal pensiero di Blanche: “Il mondo in cui viviamo, quale noi lo viviamo è per fortuna limitato, bastano pochi passi per uscire dalla nostra camera, pochi anni per uscire dalla nostra vita, ma supponiamo che in questo spazio angusto, d’un tratto buio, d’un tratto ciechi ci smarriamo…” La protagonista del video si interroga seduta tra i rami secchi di un albero spoglio, dove le foglie sono in realtà dei libri che aspettano di essere letti per dire al mondo la loro verità.

 

 Bisogna ,dunque, partire dai propri “spaesamenti” per trovare la strada, essere parte di un percorso all’interno di un labirinto in cui potersi incontrare per raggiungere insieme il “non luogo” del teatro. Non è un’impresa ardua trovare un momento della nostra vita in cui come accade nella “Metamorfosi” di Kafka, diventiamo scarafaggi. Ma qual è  il sentiero da percorrere per ritrovare la nostra condizione umana? Il “Diario”, rappresentava la “bussola” di questo viaggio nel labirinto delle sensazioni più nascoste. Tutto trova il proprio significato nel  teatro. Ed è per questo che il “non spazio” dell’Aula Magna diventa il “non luogo rituale” dello “spaesamento appaesato”. Il diario rappresenta il filo conduttore di questa importante esperienza formativa. Le sue pagine vengono scritte e fatte vivere dai pensieri dei ragazzi, che vedono e sentono il teatro in modo differente l’uno dall’altro. È un viaggio onirico che allontana per avvicinare in uno spazio dove tutto è sinonimo di spensieratezza, dove non esistono guerre e dove il sorriso aiuta a sentirsi meno soli.

 “La cosa bella che mi è successa è quella di incontrarmi nel teatro, di guardarmi allo specchio…quando sto nel teatro mi sento bene”.

 

“Se uno ha paura di non esserci al teatro può capitare di avere fiducia e di essere spensierato, a me è capitato”

 

“Il teatro è una corda musicale, va accordato con le note giuste ed io lo vorrei suonare. Io sono molto cambiato nel suono, mi sono formato.”

 

“Alla fine di questo viaggio voglio dire a te che questo teatro è stato un teatro che ci ha voluto conoscere”. Questa  è una delle frasi finali con cui si conclude il messaggio che il “Tessitore” ha voluto dare, nel corso di questa esperienza, alle sue piccole “Nuvole”. Questa frase è una delle tante testimonianze di giornate trascorse nel tentativo di conoscersi per poter abbattere queste barriere mentali che spesso, senza volerlo, circondano la nostra esistenza. Questo risultato è stato possibile grazie al teatro, al suo “non luogo”, alla sua magia e a tutte quelle persone che piacevolmente si sono “perse” nel suo mondo.

 

“ Tra le azioni che ripetiamo ogni giorno

e le grida che ci giungono dal mondo c’è un abisso…un buco nella ragnatela del senso

Col viaggio intorno alla pedana rossa abbiamo provato a rimagliare la ragnatela

A ricostruire il senso del nostro mondo piccolo piccolo.”

 

Il Tessitore di Nuvole