Progettazione
e coordinamento del laboratorio teatrale: Beatrice
Chiantera Sceneggiatura: Luigi A. Santoro Riprese: Pierpaolo Quarta Regia: Giuliano Capani Nuvole
immerse in un tramonto che accompagnato dal lento movimento del mare,
si veste quasi di sera, sono lo sfondo iniziale di questo video che
attraverso immagini, suoni, profumi, sapori e racconti di vite vissute
spesso ai margini della società, ci allontana dalla nostra “realtà”,
portandoci in una dimensione nuova che si può conoscere solo
grazie al “non luogo” chiamato teatro. “Siamo solo
tessitori di nuvole”,
questa frase è la parola chiave che apre le porte ad una nuova
esperienza, intrapresa da un gruppo di docenti nella scuola media “A.
Galateo” di Lecce, nell’anno scolastico ‘98 –
’99. Da tempo alcuni docenti, tra cui il prof. Santoro e la prof.ssa
Chiantera (protagonista e voce narrante del video), erano stati nutriti
dalla forte illusione di poter attraversare con la didattica, l’intera
vita dei ragazzi nel tentativo di capire questo mondo così piccolo
e allo stesso tempo così immenso. Ma questo approccio alla vita
dei più deboli risulta inutile, soprattutto se accompagnato da
parole che esibiscono “poteri magici”,
e che spesso servono solo a costruire muraglie, a scavare fossati nella
solitudine e nel disagio di questi ragazzi. “Il Tessitore di Nuvole”,
è una finestra aperta che ci affaccia sul panorama di esistenze
che hanno bisogno di essere guardate da occhi che sanno guardare e ascoltate
da orecchie pronte ad sentire la voce di questi ragazzi “diversi”.
Grazie a questo video che delinea chiaramente il percorso difficile
di questa esperienza, possiamo anche noi vivere con i protagonisti del
filmato ciò che significa coesione, vivendo a pieno la forte
voglia di espressione e di essere rappresentazione di se stessi, che il “non
luogo” del teatro regala
a chi è pronto a vestirsi di altri colori, diversi dai propri
solo nella forma. Una delle prime esperienze che qui si racconta è
quella riguardante il “Laboratorio di Cucina”. Il progetto
per la sua realizzazione era quello di creare uno spazio in cui “mettere
a fuoco e sul fuoco” il passaggio tra bisogno alimentare e bisogno culturale,
tra oggetto e rappresentazione, manipolazione e descrizione, un passaggio
questo, reso importante dal lavoro di insegnanti di sostegno e ragazzi
portatori di handicap. Un’esperienza con ragazzi che non raccontano
ma sono raccontati, che non dicono, ma sono detti e che nella considerazione
degli altri, i “normali”,
sono confinati in quella penombra che fa male al cuore. Col tempo questo
laboratorio in cui si sognava una “scuola saporita”, perde quello che era il suo obiettivo iniziale, diventando
così il “laboratorio degli handicappati”, una sorta
di galleria di ombre che nascondono il forte spessore delle esperienze
passate. È proprio da questa stasi creativa causata dal “non
guardare oltre” della scuola , che nasce l’idea di un laboratorio
teatrale in cui può e deve prendere forma, senza inibizioni,
ciò che ognuno custodisce dentro, nel suo profondo Io. All’inizio
si pensava al laboratorio teatrale come ad uno spazio nella scuola in
cui si produceva teatro e quindi
scene, costumi, maschere, ragazzi che recitavano e genitori che
applaudivano. Il teatro, contrariamente a tutto questo, doveva rappresentare
un’isola felice per quei ragazzi disabili che non hanno la possibilità
di essere capiti. Un mondo al riparo dal mondo esterno, dove tutto è
possibile e dove ci si può ritrovare con la certezza di essere
liberi di essere. Le immagini del video accompagnano metaforicamente
il racconto di queste giornate trascorse ad ascoltare e ad essere parte
della vita degli “altri”. Le foto dei ragazzi, intenti a
rappresentarsi in diverse forme di comunicazione che interessano la
gestualità, la mimica, il movimento e la danza, sono
appese su un terrazzo, al sole, sorrette da insegnanti che cercano di
tessere queste meravigliose nuvole bianche. “Bisognava inventare
un Paese per chi si era spaesato…” Le
immagini di questo documento
scorrono veloci davanti ai miei occhi, accompagnate dal pensiero di
Blanche: “Il mondo in cui viviamo, quale noi lo viviamo è
per fortuna limitato, bastano pochi passi per uscire dalla nostra camera,
pochi anni per uscire dalla nostra vita, ma supponiamo che in questo
spazio angusto, d’un tratto buio, d’un tratto ciechi ci
smarriamo…” La protagonista del video si interroga seduta
tra i rami secchi di un albero spoglio, dove le foglie sono in realtà
dei libri che aspettano di essere letti per dire al mondo la loro verità. Bisogna ,dunque, partire dai propri “spaesamenti” per trovare la strada, essere parte di un percorso all’interno
di un labirinto in cui potersi incontrare per raggiungere insieme il
“non luogo”
del teatro. Non è un’impresa ardua trovare un momento della
nostra vita in cui come accade nella “Metamorfosi” di Kafka,
diventiamo scarafaggi. Ma qual è il
sentiero da percorrere per ritrovare la nostra condizione umana? Il
“Diario”, rappresentava
la “bussola” di questo viaggio nel labirinto delle sensazioni
più nascoste. Tutto trova il proprio significato nel teatro. Ed è per questo che il “non spazio” dell’Aula Magna diventa il “non luogo
rituale” dello “spaesamento
appaesato”. Il diario
rappresenta il filo conduttore di questa importante esperienza formativa.
Le sue pagine vengono scritte e fatte vivere dai pensieri dei ragazzi,
che vedono e sentono il teatro in modo differente l’uno dall’altro.
È un viaggio onirico che allontana per avvicinare in uno spazio
dove tutto è sinonimo di spensieratezza, dove non esistono guerre
e dove il sorriso aiuta a sentirsi meno soli. “La cosa bella che mi è successa
è quella di incontrarmi nel teatro, di guardarmi allo specchio…quando
sto nel teatro mi sento bene”. “Se
uno ha paura di non esserci al teatro può capitare di avere fiducia
e di essere spensierato, a me è capitato” “Il
teatro è una corda musicale, va accordato con le note giuste
ed io lo vorrei suonare. Io sono molto cambiato nel suono, mi sono formato.” “Alla
fine di questo viaggio voglio dire a te che questo teatro è stato
un teatro che ci ha voluto conoscere”. Questa è una delle frasi finali con cui si conclude il messaggio
che il “Tessitore” ha voluto dare, nel corso di questa esperienza,
alle sue piccole “Nuvole”. Questa frase è una delle
tante testimonianze di giornate trascorse nel tentativo di conoscersi
per poter abbattere queste barriere mentali che spesso, senza volerlo,
circondano la nostra esistenza. Questo risultato è stato possibile
grazie al teatro, al suo “non luogo”, alla sua magia e a tutte quelle persone che piacevolmente si sono “perse”
nel suo mondo. “
Tra le azioni che ripetiamo ogni giorno e
le grida che ci giungono dal mondo c’è un abisso…un
buco nella ragnatela del senso Col
viaggio intorno alla pedana rossa abbiamo provato a rimagliare la ragnatela A
ricostruire il senso del nostro mondo piccolo piccolo.” Il Tessitore di Nuvole
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