Dalla
carta alla carne
Il master si apre
con una performance di Giuliano Scabia, una lettura (il suo romanzo "Lorenzo
e Cecilia", Einaudi) che si rivela come un pellegrinaggio evocativo
tra i topoi dei paesaggi naturali dell'arco alpino (e non solo) e gli
archetipi del nostro immaginario.
"Rapportare al corpo ciò che scrivo" dice con letizia e fermezza
quel pioniere che ha saputo attraversare le praterie dell'avanguardia
arrivando ad
una serenità narrativa fuori dal tempo, semplice e seducente. Si
apre, questo master di "educazione al teatro", con qualcosa
che, allimprovviso, salutando Giuliano che scappa alla stazione,
mi scappa di definire "benedizione": quella di un santo-diavolo
capace di portare le parole come "eredità
dei sentimenti" come dice qualcuno degli insegnanti della
"mia" comunità dapprendimento.
Scabia diventa così oggetto delle prime nostre attenzioni, sguardi
tradotti in scritture che rilevano la verità
del fantastico, o addirittura paradossali
atti di non percezione, oppure perplessità sul suo essere
"ondivago", fino ad unaffermazione
che conferma quellarte
dello spettatore
che sta alla base del nostro lavoro in rete: "riconoscere
ciò che fuori mi riguarda".
Trattiamo ed
elaboriamo, tutti insieme, "scrittura
connettiva", quella attraverso cui prende forma questo diario.
(carlo)
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Giuliano Scabia
(foto raccolta in un diario
di bordo on line realizzato con giovani studenti)
altre
info su Scabia
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L'angelo
e il diavolo del Vajont
Lorenzo era l'unico
"buon diavolo" sopravvissuto al disastro del Vajont. La sua terra era
divenuta un inferno, l'acqua e il fango avevano talmente sconvolto i luoghi
in cui da sempre era vissuto. Era difficile ritrovare le tracce di ciò
che era stato.
Il buon dio Apollo, un povero cristiano che dopo essersi tanto disperato
e tanto pianto per la morte dei suoi cari, aveva perso la testa, credendosi
appunto immortale e divino, "guardando" Lorenzo decise di inviargli un
angelo, così per fargli compagnia e magari farlo divertire anche
un pò.
Era un angelo insolito, Giuliano, un bel sorriso stampato sulla faccia
a cui rinunciava difficilmente, disposto ad apparire e sparire e soprattutto
usava una "stra-lingua".
Una strana lingua, fatta di dialetti e di parole italiane, con un'anima
dentro, con toni e suoni estremamente diversificati, musicale, misteriosa.
Giuliano, per stringere amicizia con Lorenzo, lo invitò a bere
una buona coppa di Graal e così, estasiati dagli effluvi, cominciarono
con la stra-lingua ad evocare amici comuni. Quartucci e Paolini, Rigoni
Stern Cezanne, Hugo Jean Valjean, Omero e Vladimiro Dorigo. Erano talmente
tanti che, davvero anche loro, sembravano amici da sempre. Così
decisero di rivedersi il giorno dopo: insieme avrebbero intrapreso una
gita alla ricerca di paesaggi che gli avrebbero accomunati ancora di più.
Fu un viaggio lungo e faticoso, perché si sa la frana aveva cancellato
intere vallate, ma sorretti dalle robuste ali dell'angelo Giuliano riuscirono
a sorvolare l'isola d'Elba e Waterloo, e il Casentino, e Venezia, la Grecia
e il Tibet.
Che brividi di gioia nella carne, rivedendo quei luoghi noti ad entrambi
che li legavano in un gioco di ricordi e memorie comuni.
"Fantastica visione".
Tornati a casa, stanchi ma soddisfatti, decisero di rimboccarsi le maniche
e copri-ali per riportare un po' di ordine in quel caos. Come Ercole avrebbero
sconfitto l'Idra e risanato idraulicamente il Vajont.
Certamente avrebbero rappresentato l'avanguardia della ricostruzione.
P.S. La storia di
Cecilia finisce qui. D'altronde dalla descrizione di Scabia sembra che
essa viva nel ricordo di Lorenzo.
Forse semplicemente, al momento in cui lo scrivente di questa breve memoria
si pose al lavoro, essa era già ascesa al cielo.
(mariagiovanna)
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Trovare
il proprio "la" interiore
Bisogna desublimare
Giuliano Scabia e metabolizzare un problema di collocazione dell'incontro.
Si può rompere un orizzonte e cominciare in medias res,
ma si corre il rischio che il necessario percorso di riorientamento del
pubblico distragga e allontani dalla percezione della qualità dell'evento
proposto. E' come accendere la luce d'improvviso e dire: "Guardate! Guardate
che bello!" Ma gli occhi devono abituarsi, prima! Altrimenti la luce abbaglia
invece di acuire lo sguardo.
L'attore, poi, può indossare la maschera del maestro di francescana
letizia e ispirazione. Cinque giorni a piedi lungo il Casentino fino alla
cima del Monte Verna a fare l'angelo e il diavolo. La naturalezza e gli
uomini-bestie.
E' apparenza dell'essere naturali, esito squisito di dissimulazione dell'arte
(Ma lui ci crede? Mah).
E così le cantilene della vecchia di Mira per trovare il tono giusto;
Rigoni Stern, le corvèes familiari di montagna e il Vajont;
l'Omero dei boschi di Asiago; e la Linda che piange leggendo Lorenzo
e Cecilia, romanzo. Da leggere guidando con la mano come un direttore
d'orchestra.
Si può ripartire ripercorrere più volte il tragitto camminando
con il taccuino, appropriarsi del luogo-evento, come Hugo a Waterloo,
come Cèzanne, come Lorenzo sulla Marmolada alla ricerca di posto
per fare ascoltare ai ghiacci e alle nevi la musica del suo violoncello.
In questo andirivieni lo spettatore ha trovato il proprio "la" interiore.
(amedeo)
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Frammenti
per fissare i riflessi di un'ombra
Sinestesia per restituire
e mettere in circolo la parola di Giuliano Scabia ricevuta da Carlo Infante
e da una brava collega Mia Peluso. Un angelus vagulus che passando di
casa in casa benedice e , benedetto compie il miracolo di recuperare al
positivo il diavolo in letizia.
(filippo)
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La
verità del fantastico
La fantasia non è
mai solo fantasia, è evocazione, ricordo, enfatizzazione della
realtà, o di parti della realtà, che hanno profonde radici
in ognuno di noi, spesso ignote a noi stessi; il fantastico è vero
nella misura in cui dà corpo ad immagini o sogni interiori.
E preoccupante la dichiarazione di disinteresse nei confronti "dellimbecille":
è necessario, invece, un costante controllo del livello della comunicazione,
perché da esso dipende gran parte della comunicazione; se così
non fosse, latto dello scrivere o del parlare diverrebbe fine a
se stesso, e quindi assolutamente inutile.
(giovanna)
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Ondivago
e indefinito
L'incontro di Giuliano
Scabia con lo spettatore ha aperto, in teoria, grandi prospettive, poiché
si è parlato di concetti come LINGUAGGI DEL TEATRO, STRALINGUA
come substrato del paesaggio vissuto, TRACCE DI PAROLE dietro di noi.
Invece non ha suscitato emozioni, non ha indicato un metodo, né
procedure di lavoro. Con il suo parlare "ondivago" è risultato
inconcludente, indefinito, ed ha ottenuto il risultato di estraniare l'ascoltatore.
(iride)
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Riconoscere
ciò che fuori mi riguarda
Andare dentro ciò
che si scrive, altrimenti si è persi. Questo è vero, se
le parole sono "luccichii che lasci alla terra per germinare
" Parole
piene che rimandano paesaggi, volti
Apparire, sparire: il gioco
del teatro è il gioco della vita. Momento di interiorità:
vado via, creo l'attesa
Riappaio diverso: l'uno e il molteplice,
la possibilità di essere tanti sfaccettati colori che nel substrato
si riconoscono
Tanti Io che ci hanno accompagnato o avremmo voluto
essere.
Verità del fantastico: andirivieni di luoghi, persone, suoni, parole
con diversi accenti. Necessità di trovare il mio tono per riconoscere
ciò che fuori mi riguarda. Solo allora posso prendermene cura,
riapparire e dare senso al camminare, se nell'andirivieni di quel qui
e ora con questi uomini e queste cose porto negli occhi scintille di vita.
(maria teresa)
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Il
paradossale atto di non-percezione
Al
termine del colloquio con l'angelo, il protagonista s'accorge che gli
altri "lo avevano non visto": negazione che suggerisce non tanto la mancata
percezione, quanto un paradossale atto di non-percezione. In un romanzo
permeato di misticismo, suona come condanna della cecità spirituale;
in più ampia prospettiva, alla luce del concetto di traccia, che
Scabia contrappone a quello di archetipo, la frase solleva - in me almeno
- interrogativi sulla possibilità della comunicazione.
Se le tracce "di cui consiste l'anima" sono le parole - e sono, per Scabia,
da un lato le parole prime dell'individuo, appartenenti alla sfera del
privato, dall'altro substrato culturale, recuperabile soltanto attraverso
un'operazione intellettuale - qual è il territorio comune su cui
si incontrano l'artista e i suoi destinatari? Forse è in qual "rapportare
la scrittura al corpo", cioè all'esperienza? O nella pluralità
delle prospettive, cui l'autore si costringe? Non mi paiono risposte sufficienti:
addossano troppe responsabilità all'autore. Noi ci interroghiamo
invece sul ruolo, sulla parte del lettore, dello spettatore... del fruitore,
insomma. Penso al Calvino di "Cibernetica e fantasmi", che riserva la
funzione estetica al solo lettore, alle prese con la macchina e gli archetipi.
Per cui: muoia l'autore (?).
(mario)
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Il
suo corpo è parola
Voglio
cancellare la parola parlata, che ha un significato ringabbiato dalla
concatenazione logica, dalle regole grammaticali. Parola e visione: è
troppo. Amo la parola racconto se l'ascolto al buio con lo sguardo negato
e lo sguardo la crea in un'esplosione di fiamma e di gelidi azzurri. Lui
per me è visione. Vittima sacrificale. Si offre allo sguardo del
mondo ed è nudo. Il re è nudo. Ma il re sa di esserlo. Non
cerca vestiti. Si offre, semplicemente. Il suo corpo è parola.
Parla e non lo sento. E' angelo e diavolo, nella discussione dell'incommensurabile,
dell'eterno. Non conosce il tempo. Ripercorre le vie di Hugo e di Omero,
il suo sguardo ricerca le vie della poesia, ci alza alle nevi dell'Olimpo,
supera il vento, ignora la pioggia. Pietre intatte, dall'inizio del mondo
parlato. Sguardo aperto sul dentro e il dentro é fuori, si fa pietra,
uccello, pecora, filo d'erba, suono. Suono come musica dell'infinito.
Monta il camion, smonta il camion: così Quartucci. Come Penelope.
Quello è l'indefinito; il work in progress. Quello di lui è
l'eterno parmenideo, il totum simul. Paralleli, i nostri discorsi, s'incontrano.
(mia)
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Parole-eredità
dei sentimenti
Il "mestiere" di
spettatore inizia con l'attesa (solitudine-interrogazione nello spazio
scenico).
L'uomo seduto ha davanti a sé due rose. Ricordo-riconoscimento
della figura intravista nel viaggio.
Immagine narrata dell'angelo e del diavolo. Errabondi tra paesaggio e
tempo.
Cercatori di verità umane. Il bene come il male. Il male parte
del bene.
Libro aperto-chiuso sul racconto. Movimento di parole nel viaggio fantastico-vero.
Libro sul tavolo. Ma(e)ssaggio intermittente sulla fronte.
Assenza-presenza/dinamica di movimento dell'attore nel teatro reale.
Punto di osservazione e descrizione del paesaggio-natura/Passaggi di distanze
di tempo e di luce dentro la narrazione.
Emozione reiterata. Racconto della ascesa-salita verso il cielo. Parole-eredità
dei sentimenti oltre il tempo, abbandonate nella terra.
Discesa nella valle dei sentimenti. Bisogno di recuperare la semplicità
affettiva della propria identità.
Confronto-provocazione con un Dio (roccia-Olimpo) e gli altri dei (arte
come oltre/trance/trasferimento del Dio).
Risposta della "letizia". Sintesi-quasi-francescana di ricomposizione
del diavolo e dell'angelo (percezone positiva dell'essere).
La solitudine dell'attore inizia con la fine della scena.
(settimio)
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Sulle
tracce del cinghiale
"Come quando
si va nel bosco si trova la traccia del cinghiale
" liter
attraverso il quale si percorre a ritroso il cammino che riconduce alla
non-lingua (in-fanzia), non è la ricerca dellarchetipo,
in quanto esso, durante il cammino, si è modificato, stratificato,
al punto tale che ogni individuo paradossalmente si esprime con un suo
linguaggio, per molti versi pirandellianamente estraneo a quello di chiunque
altro.
Perciò latto teatrale è un evento irripetibile, come
ogni traccia di esperienza; però le "orme" segnate sul
terreno, se riconosciute, con il lento e meticoloso lavoro descritto da
Scabia, possono, con quel processo di "andirivieni", dei suoni,
delle parole, degli odori, dei colori, dei luoghi
, ricostruire una
parte importante del tutto, gli aculei dellesperienza, che continuino
a "pungere", con unopera continua di cesellature.
Sebbene dunque il vocabolo "teatro" significhi "luogo dello
sguardo", la vera dimensione scenica è al di fuori del luogo
deputato alla rappresentazione della scena stessa, bensì risiede
nella ricostruzione dellevento attraverso i segni impressi in ogni
spettatore. E dunque un processo "in fieri", che avviene
però soltanto o viene innescato soltanto se lo straniamento è
potuto accadere, ovvero se la ricostruzione delle tracce è pervenuta
ad una sintesi ed è andata oltre la mera espressione. E appunto
assai raro che accada
(donatella)
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Il
piacere dellascolto. Tracce
Lorenzo orecchio-musica
Cecilia-acqua-paura
camminare-raccontare
il viandante
lattore
lincontro
Il viandante è sempre solitario, ma apre un dialogo con le cose
e il paesaggio. Il paesaggio del chiuso di unaula è solo
un punto
di partenza
Piacere dellascolto.
(marta)
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