I nuovi cantastorie elettronici
Fra le tante esperienze
in campo, avanzate e radicali che siano, ne emerge ora (ma ero sulle sue tracce
già da un po) una, semplice, divertente, quasi naif: "Storie Zip"
" del Teatro di Piazza dOccasione (www.tpo.it) e di Giallo Mare Minimal
Teatro che vince il Premio Stregagatto 1999, l'Oscar del Teatro Ragazzi italiano.
Vince perché
ha trovato il grado di fusione tra il freddo dell'elettronica e il caldo della
presenza attoriale, ironica e consapevole.
La multimedialità
interattiva trova in questo spettacolo un'ideale misura di relazione sensibile
con il corpo e con la parola. Libera un'energia ludica che dalla scena invade
la platea in uno scambio di empatia (grazie alle sottili citazioni teatrali
e musicali, dalle performance della Postavanguardia alle Musiche Possibili di
Brian Eno) e, fondamentalmente, di simpatia.
Tra le tante battute
felici dello spettacolo, una si ricorderà nel tempo tra le migliori lanciate
da un palcoscenico:" Se hai, hai. Se non hai, ohihoi", una citazione, pare,
estratta da un'assemblea sindacale toscana degli anni Settanta.E'
di una piéce per attore e mouse che si tratta, infatti.
La scena digitale
arriva in modo assolutamente discreto a contestualizzare l'affabulazione umorale:
la inscrive in una visione ancora più dinamica che si trasforma in sincrono
con l'azione, la segue, la esalta. In una simbiosi che rilancia le due differenti
nature dei linguaggi, quello teatrale e quello multimediale.
Il lupo ha il mal
di pancia? E subito sul performer (sulla tuta bianca dellattore Renzo
Boldrini abbastanza ciccione da fare da schermo) che sta narrando la favola
di Cappuccetto Rosso, parte una spirale che rende evidenti i suoi travagli di
stomaco.
E un piccolo
colpo di teatro da applauso a scena aperta.
Quellimmagine
è proiettata dal computer di Davide Venturini, co-attore che in tempo
reale disegna, con un software grafico, i segni che fanno da scenografia elettronica
per una performance semplice e interattiva. E' il suo mouse ad essere co-protagonista
dello spettacolo, tracciando i segni e gli ambienti con cui interagisce il performer.
Cappuccetto Rosso
entra nel bosco? Ed ecco che la parola "albero" con una cliccata si moltiplica
in una moltitudine di parole albero da far foresta.
Si arriva alle casette
dei Tre Porcellini, compare una grande scritta: www.porcellini.home.
I bambini, e noi con
loro, capiscono al volo e ridono.
Il sensorio si combina
con il cognitivo, in un mix pedagogicamente corretto, nonché divertente
e teatrale.
Tra il corpo e lo
schermo prende così forma un gioco sottile che fa dialogare lazione
dellattore con il mouse agito dal navigatore in una risoluzione talmente
efficace da sottrarsi ad ogni ridondanza di carattere tecnologico.
Luso del computer
collegato al videoproiettore come sorgente di scena immateriale è un
dato consolidato da tempo ma la fortuna di "Storie Zip" risiede nell'armonizzazione
tra narrazione e visione in una fenomenologia che amo definire "digital storytelling",
un termine che arriva, come abbiamo visto, da sollecitazioni diverse (anche
psicoanalitiche, come quelle di provenienza statunitense), sviluppate intorno
alla ricerca necessaria di nuova sensibilità in ambiente elettronico.
Necessaria perché nella dimensione tecnologica percepiamo il rischio
di perdere qualcosa di "umano". Ecco perché forme come il cosiddetto
"digital story telling", nell' affermare un rapporto facile e felice con quella
dimensione tecnologica, possono aprire nuove piste.
E infatti necessario
trovare spazi in cui liberare nuove energie creative per dare forma culturale
e sociale alla comunicazione digitale.
E' opportuno sottrarre
allidea che si ha delle nuove tecnologie quella dimensione meccanicistica
che tende a distanziarla dallesperienza umana.
Marshall McLuhan lanciò
una lucida intuizione: "surriscaldare il medium!". Rendere caldi i
mezzi di comunicazione, usandoli, per non farsi usare come accade con la televisione.
E io rilancio questa intuzione, cercandone lo sviluppo non solo teorico ma operativo
sul campo di una spettacolarità elettronica che dopo anni di sperimentazione
astratta e visionaria (importante proprio per questo) sta ora trovando una via
di narrazione.
Gli ambienti ipermediali
elaborati dal computer offrono straordinarie opportunità per svolgere
una complessità di linguaggio in cui l'aspetto audiovisivo si coniuga
con quello alfabetico ed iconico. Uno sviluppo che tende a ridefinire un rapporto
possibile tra narrazione e visione.
Ma l'aspetto principale
della spettacolarità digitale è nell'interattività, ovvero
sulla liberazione di un potenziale interumano che dà luogo a un ruolo
attivo, creando procedure che investono di fatto il concetto stesso di comunicazione
alla sua radice. Lo rifondano attraverso quello che é il valore basilare
dellinterattività: lo scambio biunivoco di relazioni. E attraverso
questo rapporto che riguarda principalmente il corpo stimolato a "cliccare"
per fare accadere qualcosa, che si sta delineando una ricerca tra teatro (la
prima grande "tecnologia" di comunicazione) e nuovi media.
A tutto ciò sinnesta oggi lemergenza di una domanda forte, fortissima, incalzata da unaccelerazione storica sullonda della quale stanno crescendo le nuove generazioni: è la domanda di un nuovo ambiente educativo in grado dinterpretare la mutazione in atto.
Un ambiente in cui i processi cognitivi possono interagire in modo creativo con soluzioni multimediali che espandono la coscienza percettiva.
In questo senso è opportuno pensare di rilanciare il principio attivo che stava alla base dellanimazione teatrale che negli anni Settanta cercava un rapporto ludico-educativo tra corpo e spazio (dalla scuola alla città) e che oggi potrebbe essere rilanciato in una sperimentazione con i nuovi spazi-tempo dell'universo elettronico.
Le rivelazioni del teleracconto
E' opportuno contestualizzare le diverse esperienze d'interazione tra spettacolo ed elettronica in un quadro che possa dare il senso di quello sviluppo che nell'arco delle sperimentazioni degli ultimi anni ha tracciato un percorso. Si, perché la multimedialità interattiva non é arrivata come una turbolenza atmosferica improvvisa, é stata anticipata dal lavoro creativo di una generazione di artisti di frontiera che, particolarmente in Italia, hanno creato precedenti importanti .
E' qui che troviamo l'esperienza del "teleracconto", da considerare come una delle forme più emblematiche di sinergia tra video e teatro, aprendo la pista a molte altre forme di spettacolarità più avanzata.
Si tratta di esperienze che hanno contribuito a rinnovare una percezione di teatro, alterando felicemente le condizioni di spettacolarità abituali.
I "teleracconti" nascono da un'idea elementare e geniale al contempo,
sono performance sintetiche dove l'affabulazione, il narrare teatrale, si coniuga ad un semplice dispositivo televisivo.
E' nell'alterazione sensibile
tra la scena e il video che si rivela un gioco mobile nel sollecitare lo spettatore.
Da questa ibridazione di linguaggio emerge un sottile teatro di percezione,
inedito proprio perché stabilisce un modo diverso di vedere la scena.
La condizione di percezione teatrale che si crea è simile a quella del
microteatro dove l'uso di oggetti, marionette o burattini, produce simulazioni
di esemplare risoluzione scenica. Una percezione riflessa, indiretta, o meglio
divisa tra l'azione dell'attore e la reazione dei materiali agiti.
L'attore e i suoi simulacri coabitano lo stesso spazio, come nel "bunraku" giapponese,
dove la marionetta viene manovrata a vista. Il fatto è che l'attore dei
teleracconti riesce realmente ad agire su due dimensioni diverse, parallele
e simultanee: quella diretta, teatrale, dell'affabulazione dal tono ammiccante
(è determinante sapere che i "teleracconti" sono predisposti anche, fondamentalmente,
per un pubblico bambino) e quella indiretta, evocativa, dell'immagine degli
oggetti manipolati e trasmessi attraverso una telecamera in un televisore. A
questo punto non possono che saltare tutti i riferimenti al microteatro anche
se ne rimane quell'aura naif che alla fine dei conti esalta proprio lo scarto
di temperatura tra il suo calore teatrale e il freddo della tecnologia video.
Il teleracconto diventa così importante proprio per il passaggio di realtà,
da quella condivisa attraverso il transfert vivo con l'attore a quella immateriale
del monitor televisivo. Un salto di dimensione che produce spiazzamento.
L'idea dei "teleracconti" è nata in Giacomo Verde, un performer vagante tra i mondi del teatro e quelli del video indipendente. La complicità con Vania Pucci del Giallo Mare Minimal Teatro ha creato poi le condizioni favorevoli per far crecere nell'humus ideale (una buona dose di disincanto ludico coniugato alla semplicità microteatrale, superandola) i "teleracconti" come prototipi di nuova spettacolarità.
Le prime due creazioni: "H & G TV" e "Lieto il fine" (la prima ispirata alla favola di "Hansel e Gretel", mentre la seconda narra "La sirenetta" di Andersen), hanno così mirato un target infantile ma hanno centrato l'attenzione critica in festival come quelli di Narni e di Santarcangelo.
Lo stesso discorso vale per "InColore" di Adriana Zamboni e Lucio Diana (sempre con la supervisione di Giacomo Verde), opera che esalta la pratica del racconto iconico in video attraverso gli eccellenti microfondali pittorici sui quali si snoda la narrazione ispirata allee "Cosmicomiche" di Calvino.
Altro protagonista dei teleracconti è Carlo Presotto che, insieme a Paola
Rossi e Giacomo Verde, ha realizzato diverse produzioni con la Piccionaia a Vicenza. Tra queste "Bar Miralago" dove l'attore seduto ad un tavolino da bar racconta leggende metropolitane usando come personaggi tazze, cucchiaini e biscotti; "Cappuccetto Rosso - Barba Blu"; "Fiori rossi sulla pelle (E fu così che la guerra finì)" dove si usa la videoproiezione su schermo di carta da pacchi. In questo teleracconto del 1995 viene proiettato un filmato di repertorio di un telegiornale con immagini della guerra in Bosnia e l'evocazione della biblioteca di Sarajevo bombardata.
Più recente infine
"La storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare" tratto
da Sepulveda, dove gli oggetti-personaggi - interagiscono con gli attori ripresi
in azione da telecamere.
C'è anche un'installazione
che rivela l'ottima capacità di Presotto nel coniugare teatralità,
attenzione pedagogica e utilizzo ludico dei media elettronici. E' "Il pozzo
dei Desideri, definito anche "macchina di relazioni".
E' un progetto realizzato
nell'ambito di una ricerca promossa dall'Osservatorio dell'Immaginario sui desideri
dei bambini.
Presotto lo descrive
così: "uno spettatore alla volta entra nella stanza del pozzo e può
confidargli il suo desiderio più grande. Affacciandosi al bordo del pozzo
vede sul fondo riflessa la propria immagine (non speculare) restituita da uno
schermo orizzontale sotto uno strato d'acqua. I desideri vengono registrati.
L'ingresso al pozzo è gestito ritualmente. I desideri vengono poi letti
sia dal punto di vista verbale che da quello del metalinguaggio."
L'uso della telecamera
è, un pò come in tutti i teleracconti, l'occhio che spiazza, ribalta
cioé le prospettive frontali della visione di un azione scenica, aprendo
la strada al gioco percettivo che rende ludico il ruolo dello spettatore.
Questo uso del video
é stato nei primissimi anni Ottanta il piano di lavoro di alcuni laboratori
attivati già a Parigi al Centre Pompidou dal titolo "video brut", video
rumori che alimentavano un'animazione teatrale tesa a reinventare un rapporto
con il medium televisivo. Quando venni a conoscenza di queste sperimentazioni
(grazie ad Ariel che collaborava al Festival di Narni "Scenari dell'Immateriale"
che curavo negli anni Ottanta) intuii quanto fosse importante rilanciarle all'interno
del sistema del videoteatro, per cercare una più diretta interazione
con la spettacolarità dal vivo. Ed è qui, in questo Festival,
che Giacomo Verde che già cercava una dimensione più calda, barbara,
e coinvolgente per le sue videocreazioni associate a performance, trovò
la via dei teleracconti sui quali stava lavorando in collaborazione con Giallo
Mare Minimal teatro.
Tornando a Presotto
è possibile individuare nel suo lavoro il corretto equilibrio tra ricerca
teatrale e animazione pedagogica con i nuovi media che così rivendica:
"il mio percorso all'interno di un teatro di processo che dedica la sua arte
all'infanzia credo sia la dichiarazione di una poetica delle relazioni fondate
alla ricerca dello sguardo "altro" sulle cose. Quello sguardo "ludico" per cui
nello stesso tempo l'oggetto osservato può essere anche qualcosa di altro,
rimanendo sinceramente se stesso. Da questo sguardo nasce l'esperienza del teleracconto
che ha incrociato il mio lavoro sulle forme della narrazione contemporanea.
Non mi interessa solo lo scarto tra reale e virtuale, conta la distanza tra
sincero ed insincero. L'insincerità sta nell'atteggiamento dell'adulto.
La scelta di rendere trasparente il mezzo tecnologico, di mostrare "come si
fa" mentre lo si fa, se non diventa didatticismo può essere veicolo di
sincerità. Quasi dieci anni di laboratori di teleracconto con ragazzi
ed adulti mi hanno abituato alla loro reazione di quando un oggetto comune,
posto davanti all'obiettivo, "esplode" in un'altra forma, che fino ad un attimo
prima non esiste, e quando viene nominata è lì, sotto gli occhi
di tutti."
Bene. Da qui, dalla
considerazione sulla condizione stessa del rappresentare e di come questa influenza
la nostra percezione, si apre una considerazione che riguarda il rapporto tra
il sistema televisivo e quello educativo.
E' questo il nodo
teorico che così Presotto, di nuovo, affronta: " a scuola la televisione
è tutt'al più un "nuovo linguaggio" (50 anni dopo
). La si
può analizzare, spesso mimare, ma rimane nella gran parte delle situazioni
l'antagonista, l'avversario. L'incomprensione della sua alterità, la
coda di paglia dell'insegnante che sente messo in discussione il suo ruolo di
mediatore della conoscenza, i suoi ritmi in costante accelerazione su cui si
modellano i ritmi di attenzione dei ragazzi
etc. etc. Ma senza il coraggio
di perseguire fino in fondo l'interazione con lo spettatore, il migliore programma
soccombe. Che siano i Simpson, il documentario o Van Damme, siamo sempre lì
a guardare un lampadinone malcresciuto che lampeggia 24 volte al secondo. Che
oltre ad aiutarci a dare la realtà per scontata, ci aiuta a dare per
scontato anche ciò che reale non è. Il video a circuito chiuso,
in cui posso vedere contemporaneamente l'oggetto
ripreso e la sua immagine, non è televisione, anche se non posso trascurare
il fatto che i miei amici-ragazzi lo assimilino ad essa almeno all'inizio.Credo
che sia uno strumento forte per rendere più "vivide" le cose sul palcoscenico."
E' in questa cognizione
del "vivido" che possiamo trovare la chiave per comprendere l'importanza dei
teleracconti, illuminanti, un modo per "bucare il video" dal di fuori.
La fortuna di queste
operazioni è infatti in questa loro ambiguità tra il dentro del
video e il fuori del teatro. E' ancor di più la loro efficacia risiede
nel cocktail di elementarità e complessità in grado di comunicare
sia ad un pubblico bambino che adulto. Riemerge il discorso della facilità-felicità.
E', scusate l'azzardo,
come in un "satori" (lo stato di grazia buddista), un'illuminazione sia teatrale
che mediatica.
Porta cioé
fuori di sè, fuori i contesti referenziali, sia il teatro che il video
( cioé il linguaggio sul quale si articola il "discorso" televisivo).
Il dato che più
stimola a riflettere su questa condizione di sperimentazione comunicazionale
è che la pratica del narrare attraverso l'immagine riflessa in video
esalta i principi analogici. Il racconto procede nel suo flusso di coscienza,
lineare e conseguenziale, mentre il video lancia colpi di visione, per sintesi
assolute, secondo un montaggio sincopato, agile nello sviluppo di una comunicazione
diretta, in grado di superare ogni discrimine sia di età che di lingua.
Il teatro del teleracconto
si espande così al di là degli specifici teatrali, ovvero di quelle
convenzioni stabilite spesso solo per legittimarsi e farsi "riconoscere" secondo
un'adesione abituale alle drammaturgie letterarie, per rivelarsi bensì
come occasione privilegiata di stupore e visionarietà inedita.
Carlo Infante