Ciao
belli fratelli
Tavola rotonda finale:
ultimo giro del valzer teorico sul "teatro delle lingue/le lingue del
teatro" che dopo le sessioni filologiche centrate sulla "tradizione" di
maestri come Fo ed Eduardo arriva ad orientarsi verso la "mutazione" delle
lingue.
Di questo scorcio di dibattito sono protagonista, sono al tavolo, non
più dentro l"acquario", dietro il vetro della saletta di
regia dove in questi giorni ho operato con il set telematico del diario
di bordo on line.
Non posso quindi che lasciare il campo (le pagine del web) alle riflessioni
di chi ha seguito "da fuori" landamento del discorso che, secondo
me, ha portato una linfa vitale allintero convegno.
Proprio perché la lingua non è solo ciò che è
(la tradizione) ma anche ciò che diventa (la mutazione).
Perché la misura armonica della nostra evoluzione culturale è
da trovare nellequilibrio tra il pensiero globale (in cui sta inscritto
il futuro digitale) e lagire locale che contempla lingue particolari
e culture materiali.
Perché se riusciremo a dare forma a questa sensibilità "glocal"
arriveremo, forse (spero) ad "antropizzare" anche il cyberspazio, proprio
come in secoli e millenni di nomadismo la nostra specie ha fatto, dagli
altipiani anatolici alle praterie del Far West.
Mi scappa di dire tutto questo, sperando che alcuni altri spunti vengano
rilanciati nei contributi al diario dei protagonisti
del master. E poi, oltre a Tellia (con la sua lucida analisi sociologica)
e Rogoredo (con la sua intensa testimonianza sul teatro del disagio) non
posso che ringraziare ancora, per aver colto linvito a partecipare
(fatto proprio dalla straordinaria Angela Felice), Giancarlo "bellofratello"
De Cataldo, autore di "Acido Fenico" di Koreja (e tante altre letterature)
nonchè magistrato di Corte dAssise e Pierfrancesco Pacoda,
autore del libro sullhip
hop per Einaudi, aprendo unemblematica finestra sulla mutazione
dei linguaggi giovanili, tra violenza coatta, meticciati e globalizzazioni.
Funziona, il
discorso contagia: alcuni ragazzi di un liceo trattano di questa ibridazione
tra "la langue e la parole" e nelle conclusioni
di Giuseppe Petronio, il "senior" della Letteratura Italiana, e di Claudio
Meldolesi, il più etico ed ispirato degli storici del teatro, emergono
segnali importanti di disponibilità epistemologica, prendendo atto
della "molteplicità indomabile" della mutazione in corso, come
fa Meldolesi aprendosi con bella disponibilità.
(carlo)
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La
"langue" e la "parole"
In rappresentanza
della classe V^C del Liceo "Leopardi Majorana" di Pordenone ho
partecipato al convegno "il teatro delle lingue le lingue del teatro".
Lincontro è stato occasione di riflessione sullimportanza
della lingua come mezzo espressivo che trova la sua centralità
nel teatro.
I dibattiti,
interessanti e numerosi, hanno cercato di mettere in rapporto dialettico
globalizzazione e localismo. Penso che il ritorno delluso del dialetto
potrebbe essere segno negativo di paura di fronte ad una realtà
multietnica ma, come lingua, ha senso se, come ha detto il prof. Petronio,
diventa "parole".
Il dialetto
deve essere voce realmente sentita sia nella vita che nel teatro: se scade
nel vernacolo perde valore.
Labuso
di molteplici dialetti annulla le possibilità comunicative, una
globalizzazione assoluta toglie radici e tradizioni.
(harpo del Vc
Liceo "Leopardi-Majorana" di Pordenone)
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Bello
fratello, dolce compagno,
il
terrore principale: finire come nel concorso sui giovani narratori. Questi
i fatti: si scrive intorno al "sabato sera" dei ragazzi italiani. Trionfa
una storia pulpeggiante comme-il-faut: noia, fuga, amorazzi, droga, incidente
stradale, "taking risk". Convocato alla premiazione, questo vincitore
si presenta in occhialini e abito da borghese. Lo intervistano. E' un
topo da biblioteca. Ma come hai fatto a scrivere questa storia così
estrema? Che cosa ne sai tu del sabato sera? Un bel niente, risponde,
io il sabato sera leggo Musil, ma siccome volevo vincere il concorso mi
sono detto "che cosa si aspettano che scriva un giovane? Discoteca, fuga,
amori, sesso... e io glielo dò...".
Non
abbiamo fatto come quel giovane, destinato a un luminoso avvenire, e abbiamo
vuotato il sacco e dato fiato a esperienze che premevano: non accademia,
ma incontro e scontro. Bene.
E
allora, rapsodicamente, per slogan (ma dopo tutto: non abbiamo appena
evocato la forza mitologica dello slogan?):
- lingua come strumento
e non fenomeno;
- lingua in relazione
alla cultura profonda, e dunque politica;
- persino ideologia;
- si è sviluppata
un'intersezione fruttuosa tra reti di saperi e più ancora pratiche
di saperi;
- ogni atto della
nostra vita contiene in sè un'incriminazione o una giustificazione,
o entrambe (è Vittorini su Faulkner, ma va benissimo in Friuli);
- dobbiamo riflettere
sul politicamente corretto: la paura della parola, le parole della paura;
- gli acronimi e
l'e-mail impoveriscono il linguaggio o affinano i codici di comunicazione?
- ho sentito dire
ieri che il dialetto può essere la lingua della morte (ma non
lo so, quando si muore si stringono le gambe e si invoca la mamma: la
mamma come dialetto, o si voleva forse dire che la lingua della morte
è la morte della lingua?);
- in questo contesto
faccio fatica a sentirmi estremista. Mi piace il clima di condivisione
che i Belli Fratelli sono riusciti a creare;
- in definitiva:
Bello Fratello, dolce compagno. Fratello=brother (è così
che si chiamano nelle posse- hey, brother). Hei fratello, dolce fratello:
Fra' Dolcino?
(giancarlo)
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Leuforia
della lungimiranza
Sabato mattina allUniversità
di Udine per il convegno "Il teatro delle lingue, le lingue del teatro",
si è assistito a una delle giornate più interessanti più
entusiasmanti, durante la quale si sono succeduti gli interventi cinque
esperti del "linguaggio" giovanile o, come diceva il titolo
giornata: "... dellimmaginario giovanile". Bruno Tellia,
Pierfrancesco, Carlo Infante, Giancarlo De Cataldo, e Pino Roveredo, introdotti
Angela Felice, in un quarto dora a testa, hanno parlato senza soluzione
continuità di comunità giovanile, di immaginario, di parole
nuove, di musica, di linguaggi che succedono a linguaggi più nuovi,
di teatri che cambiano, di altri mondi, in una parola, di generazioni.
Centrando con precisione schiacciante largomento delle giornate
di studio a cui era dedicato il convegno, da cui la forza dei loro interventi,
la puntualità con la quale si sono espressi, generando in chi ha
assistito sorta di euforia dellascolto, come di chi viene investito
da un discorso, che si incastra con "lungimiranza" nel contemporaneo,
comprendendo, appunto lingue, linguaggi, e desideri della comunità
giovanile.
Ma che tipo
di euforia può generare la comprensione di quel mondo, che di sguardo
è stato il loro da essere così accolto, anche da chi ha
dovuto trarre le conclusioni di tutto il convegno nel suo insieme? Forse
uneuforia generatasi nella parola lungimiranza, parola nella quale
Claudio Meldolesi (uno dei due studiosi che tracciavano le conclusioni,
laltro Giuseppe Petronio), ha riconosciuto parte importante del
discorso chiave delle sue conclusioni, forse la capacità di proiettare
lo sguardo oltreché nel piccolo e in ciò che ci è
più vicino, nel lontano, nel grande, addirittura azzardando un"antropizzazione"
della tecnica delle tecnologie, per ridurre lo spazio che ci separa dai
media, da internet, dai salti nel vuoto. È questo in definitiva
forse che ha spaventato di quel discorso, il salto nel vuoto di questa
generazione, miscuglio filiazione e artificio di quella passata; è
la nostra difficoltà a contenere, e a domare un pensiero, per sua
natura "multiforme" e "indomabile", che fa vedere
il linguaggio in cui si esprime e si articola loggi privo di continuità.
Forse la chiave sta nelle parole "lungimiranza" e "continuità",
forse mettendo realmente insieme questi due concetti ci si potrà
non solo rendere disponibili ai vari andamenti del nostro tempo, ma pure
dare un orizzonte che contenga quello futuro e passato.
(claudia)
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Le
strade degli altri
Quando
due grandi partiti di massa (DC - PCI) si sono messi insieme negando spazi
ai giovani del '77, questi hanno venduto i loro simboli linguaggi utopie
al mondo dei media facendo la fortuna di un nuovo soggetto politico (Infante)...
Chi l' ha detto che i giovani non fanno politica?
La fanno con i loro codici che includono ed escludono , ma gli adulti
si ostinano a non capirlo (Tellia)...
Bisogna allora - se si ha il coraggio e l' intelligenza di riconoscersi
"spaesati" e la franchezza di "stupirsi"- trovare la chiave di accesso
ai mondi altri e a quei linguaggi. Così ha saputo fare Giancarlo
De Cataldo, un giovane magistrato che conosce direttamene le persone disagiate
e ne ha esplorati i "luoghi" anche in un recente volume edito da Einaudi,
"Teneri assassini". Ed egli, De Cataldo, ribadisce con soddisfazione che
i detenuti gli vogliono bene (perché ha il potere di tirarli fuori,
egli dice; perché ne conosce luoghi e simboli, si capisce).
Le strade degli "altri", del disagio, i loro vicoli oscuri sono stati
richiamati da Pino Roveredo che quelle strade ha percors, lasciate alle
spalle: vi ha fatto ritorno per tirarne fuori attraverso i linguaggi del
teatro i ragazzi che contribuisce ad educare... una testimonianza dignitosa
quella di Roveredo: la salvezza passa attraverso strade imprevedibili.
Nella diversità e nell' accoglienza dell' alterità vi é
la possibilità di rigenerazione, ribadisce Carlo.
Petronio fa opportune precisazioni sul rapporto tra lingua italiana e
dialetti regionali, invitando a non assolutizzare questi ultimi.
(filippo)
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la
lingua corposa
Ottima
combinazione di oratori. Ricchezze di spunti e di aperture problematiche.
I docenti dovrebbero essere più a stretto contatto con soiologi,
psicologi... per capire come cambia il mondo, come cambiano i linguaggi
giovanili, per interpretare i messaggi dei giovani al di là delle
loro provocazioni, dei loro rifiuti, per leggere i loro silenzi.
Quanto più il mondo si globalizza tanto più si sente la
necessità di conoscere le proprie radici, di rafforzare la propria
identità, perché non si giunga alla persecuzione del diverso.
Riuscire ad armonizzare la propria con l' altrui identità, localismi
e globalizzazioni: questo deve essere il nostro obiettivo o uno dei nostri
obiettivi educativi.
Rimuovere la didattica per far passare le grandi opere, le idee, la storia
del mondo degli studenti, per aiutarli a ricomporre i frammenti e l' appiattimento
della TV.
Insistere sui vernacoli, sui dialetti, seppure in teatro, può creare
equivoci. La lingua in teatro va resa corposa, originale, incisiva; ma
questo si può fare con l' italiano, reinventandolo, con la consapevolezza
della differenza tra "termini" e "parole" come dice Leopardi.
(laura c.)
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