sabatoquattordiciottobreduemila

Ciao belli fratelli

Tavola rotonda finale: ultimo giro del valzer teorico sul "teatro delle lingue/le lingue del teatro" che dopo le sessioni filologiche centrate sulla "tradizione" di maestri come Fo ed Eduardo arriva ad orientarsi verso la "mutazione" delle lingue.
Di questo scorcio di dibattito sono protagonista, sono al tavolo, non più dentro l’"acquario", dietro il vetro della saletta di regia dove in questi giorni ho operato con il set telematico del diario di bordo on line.
Non posso quindi che lasciare il campo (le pagine del web) alle riflessioni di chi ha seguito "da fuori" l’andamento del discorso che, secondo me, ha portato una linfa vitale all’intero convegno.
Proprio perché la lingua non è solo ciò che è (la tradizione) ma anche ciò che diventa (la mutazione).
Perché la misura armonica della nostra evoluzione culturale è da trovare nell’equilibrio tra il pensiero globale (in cui sta inscritto il futuro digitale) e l’agire locale che contempla lingue particolari e culture materiali.
Perché se riusciremo a dare forma a questa sensibilità "glocal" arriveremo, forse (spero) ad "antropizzare" anche il cyberspazio, proprio come in secoli e millenni di nomadismo la nostra specie ha fatto, dagli altipiani anatolici alle praterie del Far West.
Mi scappa di dire tutto questo, sperando che alcuni altri spunti vengano rilanciati nei contributi al diario dei protagonisti del master. E poi, oltre a Tellia (con la sua lucida analisi sociologica) e Rogoredo (con la sua intensa testimonianza sul teatro del disagio) non posso che ringraziare ancora, per aver colto l’invito a partecipare (fatto proprio dalla straordinaria Angela Felice), Giancarlo "bellofratello" De Cataldo, autore di "Acido Fenico" di Koreja (e tante altre letterature) nonchè magistrato di Corte d’Assise e Pierfrancesco Pacoda, autore del libro sull’hip hop per Einaudi, aprendo un’emblematica finestra sulla mutazione dei linguaggi giovanili, tra violenza coatta, meticciati e globalizzazioni.
Funziona, il discorso contagia: alcuni ragazzi di un liceo trattano di questa ibridazione tra "la langue e la parole" e nelle conclusioni di Giuseppe Petronio, il "senior" della Letteratura Italiana, e di Claudio Meldolesi, il più etico ed ispirato degli storici del teatro, emergono segnali importanti di disponibilità epistemologica, prendendo atto della "molteplicità indomabile" della mutazione in corso, come fa Meldolesi aprendosi con bella disponibilità.
(carlo)

 

 

 

La "langue" e la "parole"

In rappresentanza della classe V^C del Liceo "Leopardi – Majorana" di Pordenone ho partecipato al convegno "il teatro delle lingue le lingue del teatro". L’incontro è stato occasione di riflessione sull’importanza della lingua come mezzo espressivo che trova la sua centralità nel teatro.
I dibattiti, interessanti e numerosi, hanno cercato di mettere in rapporto dialettico globalizzazione e localismo. Penso che il ritorno dell’uso del dialetto potrebbe essere segno negativo di paura di fronte ad una realtà multietnica ma, come lingua, ha senso se, come ha detto il prof. Petronio, diventa "parole".
Il dialetto deve essere voce realmente sentita sia nella vita che nel teatro: se scade nel vernacolo perde valore.
L’abuso di molteplici dialetti annulla le possibilità comunicative, una globalizzazione assoluta toglie radici e tradizioni.
(harpo del Vc Liceo "Leopardi-Majorana" di Pordenone)

 

 

Bello fratello, dolce compagno,

il terrore principale: finire come nel concorso sui giovani narratori. Questi i fatti: si scrive intorno al "sabato sera" dei ragazzi italiani. Trionfa una storia pulpeggiante comme-il-faut: noia, fuga, amorazzi, droga, incidente stradale, "taking risk". Convocato alla premiazione, questo vincitore si presenta in occhialini e abito da borghese. Lo intervistano. E' un topo da biblioteca. Ma come hai fatto a scrivere questa storia così estrema? Che cosa ne sai tu del sabato sera? Un bel niente, risponde, io il sabato sera leggo Musil, ma siccome volevo vincere il concorso mi sono detto "che cosa si aspettano che scriva un giovane? Discoteca, fuga, amori, sesso... e io glielo dò...".

Non abbiamo fatto come quel giovane, destinato a un luminoso avvenire, e abbiamo vuotato il sacco e dato fiato a esperienze che premevano: non accademia, ma incontro e scontro. Bene.

E allora, rapsodicamente, per slogan (ma dopo tutto: non abbiamo appena evocato la forza mitologica dello slogan?):

  • lingua come strumento e non fenomeno;
  • lingua in relazione alla cultura profonda, e dunque politica;
  • persino ideologia;
  • si è sviluppata un'intersezione fruttuosa tra reti di saperi e più ancora pratiche di saperi;
  • ogni atto della nostra vita contiene in sè un'incriminazione o una giustificazione, o entrambe (è Vittorini su Faulkner, ma va benissimo in Friuli);
  • dobbiamo riflettere sul politicamente corretto: la paura della parola, le parole della paura;
  • gli acronimi e l'e-mail impoveriscono il linguaggio o affinano i codici di comunicazione?
  • ho sentito dire ieri che il dialetto può essere la lingua della morte (ma non lo so, quando si muore si stringono le gambe e si invoca la mamma: la mamma come dialetto, o si voleva forse dire che la lingua della morte è la morte della lingua?);
  • in questo contesto faccio fatica a sentirmi estremista. Mi piace il clima di condivisione che i Belli Fratelli sono riusciti a creare;
  • in definitiva: Bello Fratello, dolce compagno. Fratello=brother (è così che si chiamano nelle posse- hey, brother). Hei fratello, dolce fratello: Fra' Dolcino?

(giancarlo)

 

L’euforia della lungimiranza

Sabato mattina all’Università di Udine per il convegno "Il teatro delle lingue, le lingue del teatro", si è assistito a una delle giornate più interessanti più entusiasmanti, durante la quale si sono succeduti gli interventi cinque esperti del "linguaggio" giovanile o, come diceva il titolo giornata: "... dell’immaginario giovanile". Bruno Tellia, Pierfrancesco, Carlo Infante, Giancarlo De Cataldo, e Pino Roveredo, introdotti Angela Felice, in un quarto d’ora a testa, hanno parlato senza soluzione continuità di comunità giovanile, di immaginario, di parole nuove, di musica, di linguaggi che succedono a linguaggi più nuovi, di teatri che cambiano, di altri mondi, in una parola, di generazioni. Centrando con precisione schiacciante l’argomento delle giornate di studio a cui era dedicato il convegno, da cui la forza dei loro interventi, la puntualità con la quale si sono espressi, generando in chi ha assistito sorta di euforia dell’ascolto, come di chi viene investito da un discorso, che si incastra con "lungimiranza" nel contemporaneo, comprendendo, appunto lingue, linguaggi, e desideri della comunità giovanile.
Ma che tipo di euforia può generare la comprensione di quel mondo, che di sguardo è stato il loro da essere così accolto, anche da chi ha dovuto trarre le conclusioni di tutto il convegno nel suo insieme? Forse un’euforia generatasi nella parola lungimiranza, parola nella quale Claudio Meldolesi (uno dei due studiosi che tracciavano le conclusioni, l’altro Giuseppe Petronio), ha riconosciuto parte importante del discorso chiave delle sue conclusioni, forse la capacità di proiettare lo sguardo oltreché nel piccolo e in ciò che ci è più vicino, nel lontano, nel grande, addirittura azzardando un’"antropizzazione" della tecnica delle tecnologie, per ridurre lo spazio che ci separa dai media, da internet, dai salti nel vuoto. È questo in definitiva forse che ha spaventato di quel discorso, il salto nel vuoto di questa generazione, miscuglio filiazione e artificio di quella passata; è la nostra difficoltà a contenere, e a domare un pensiero, per sua natura "multiforme" e "indomabile", che fa vedere il linguaggio in cui si esprime e si articola l’oggi privo di continuità. Forse la chiave sta nelle parole "lungimiranza" e "continuità", forse mettendo realmente insieme questi due concetti ci si potrà non solo rendere disponibili ai vari andamenti del nostro tempo, ma pure dare un orizzonte che contenga quello futuro e passato.
(claudia)

 

Le strade degli altri

Quando due grandi partiti di massa (DC - PCI) si sono messi insieme negando spazi ai giovani del '77, questi hanno venduto i loro simboli linguaggi utopie al mondo dei media facendo la fortuna di un nuovo soggetto politico (Infante)... Chi l' ha detto che i giovani non fanno politica?
La fanno con i loro codici che includono ed escludono , ma gli adulti si ostinano a non capirlo (Tellia)...
Bisogna allora - se si ha il coraggio e l' intelligenza di riconoscersi "spaesati" e la franchezza di "stupirsi"- trovare la chiave di accesso ai mondi altri e a quei linguaggi. Così ha saputo fare Giancarlo De Cataldo, un giovane magistrato che conosce direttamene le persone disagiate e ne ha esplorati i "luoghi" anche in un recente volume edito da Einaudi, "Teneri assassini". Ed egli, De Cataldo, ribadisce con soddisfazione che i detenuti gli vogliono bene (perché ha il potere di tirarli fuori, egli dice; perché ne conosce luoghi e simboli, si capisce).
Le strade degli "altri", del disagio, i loro vicoli oscuri sono stati richiamati da Pino Roveredo che quelle strade ha percors, lasciate alle spalle: vi ha fatto ritorno per tirarne fuori attraverso i linguaggi del teatro i ragazzi che contribuisce ad educare... una testimonianza dignitosa quella di Roveredo: la salvezza passa attraverso strade imprevedibili.
Nella diversità e nell' accoglienza dell' alterità vi é la possibilità di rigenerazione, ribadisce Carlo.
Petronio fa opportune precisazioni sul rapporto tra lingua italiana e dialetti regionali, invitando a non assolutizzare questi ultimi.
(filippo)

 

la lingua corposa

Ottima combinazione di oratori. Ricchezze di spunti e di aperture problematiche. I docenti dovrebbero essere più a stretto contatto con soiologi, psicologi... per capire come cambia il mondo, come cambiano i linguaggi giovanili, per interpretare i messaggi dei giovani al di là delle loro provocazioni, dei loro rifiuti, per leggere i loro silenzi.
Quanto più il mondo si globalizza tanto più si sente la necessità di conoscere le proprie radici, di rafforzare la propria identità, perché non si giunga alla persecuzione del diverso. Riuscire ad armonizzare la propria con l' altrui identità, localismi e globalizzazioni: questo deve essere il nostro obiettivo o uno dei nostri obiettivi educativi.
Rimuovere la didattica per far passare le grandi opere, le idee, la storia del mondo degli studenti, per aiutarli a ricomporre i frammenti e l' appiattimento della TV.
Insistere sui vernacoli, sui dialetti, seppure in teatro, può creare equivoci. La lingua in teatro va resa corposa, originale, incisiva; ma questo si può fare con l' italiano, reinventandolo, con la consapevolezza della differenza tra "termini" e "parole" come dice Leopardi.
(laura c.)