Napoli: città della monarchia, mai della repubblica. Che i re di turno si chiamino Borboni o Achille Lauro. Città sventurata e immobile di "lazzaroni", su cui è quasi fisiologico mettere le mani, perché lì le rivoluzioni scoppiano come fiammate, ma solo per spegnersi senza lasciare traccia e coscienza. Come nel "1799", appunto, data simbolica di fallimento popolare e titolo inoltre di un bel testo del 1989 di Manlio Santanelli, che è autore partenopeo tra i più rappresentativi, ancorché meno noti, del dopo Eduardo. In questa lettura amara del destino partenopeo, sotteso alla vernice eroicomica, si sono cimentati i 23 studenti 23 —quasi due squadre di calcio, arbitro incluso- del Liceo Classico Scientifico "V. Imbriani" di Pomigliano D’Arco, a suggello della ricca kermesse del Convegno udinese "Il teatro delle lingue", in una finestra conclusiva aperta all’Auditorium Zanon sul teatro di provenienza scolastica. E infatti, al di là dei gradevoli esiti scenici, garantiti dalla consulenza artistica di Nello Mascia, l’aspetto più pregevole della proposta è consistito nell’adozione del napoletano, lingua quante altre mai sonora e capace di calarsi anche in immediata fisica gestualità. Anche per giovani attori in erba, accattivanti perciò soprattutto nei momenti corali, tutti in scena a ballare, cantare, suonare in concertato con la rotondità della parola dialettale. Da essi, allora, una ventata di energia, che la platea, pur non nutritissima, ha dimostrato di gradire con affettuosi applausi. E un esempio, inoltre, del mondo giovanile di oggi, che spesso ai "piercing" o alle mode varie della attuale globalizzazione sa intrecciare la ricerca non nostalgica della tradizione, in stuzzicante meticciato —tutto dei nostri tempi di transizione- tra modernità e passato. In Friuli come a Napoli, città-laboratorio, dunque, e metafora forte del pensare e del parlare del presente.

E.T.

(Angela Felice)