LA FELICITÀ E L’INFELICITÀ DEL DUBBIO

Quello che abbiamo sotto gli occhi è una trasformazione radicale delle esperienze percettive dell’uomo. Ciò che le ricerche scientifiche, ma soprattutto le tecnologie applicate ad esse, ci rivelano, sono da una parte risultati assolutamente inediti, stupefacenti, ed concepibili come reali soltanto nel dominio dell’immaginario fantascientifico o mitologico (fino a poco o molto tempo fa): mutazioni, clonazioni, un generale taglia cuci scomponi e ricomponi, trasferisci, sposta, immetti, togli, metti, aggiungi, sottrai, dividi, scindi, comprimi, filtra, bombarda... - dall’altra un generale e colossale traffico di investimenti, marchi, brevetti, copyrights, royalties, studi legali, supremazie, conquiste, totalizzazioni, piraterie varie, spionaggi, un po’ di cadaveri quà e là, sfruttamenti a tappeto, connessioni, collusioni, lottizzazioni, mazzette, speculazioni, prestanomi, labels, cartelli, lobbies, un panorama da disegno di Grotz, soltanto passato attraverso una raffinata patina di modernità apparentemente un po’ meno volgare ed omicida.

‘OGM - Organismi genericamente modificati’ non ha né capo né coda, non ha infatti un punto di partenza unico, ma parte da stimoli provenienti da un trecentosessanta gradi di percezioni, percezioni in gran parte da molti altri percepite, o almeno avvertite: non ha coda, perché chi può offrire una formula o uno schema di pensiero che risolva tutti i casi di coscienza, i casi logici, i casi legali, i casi sociali che la genetica, la medicina, la galassia comunicativa ci pongono?

‘OGM - Organismi genericamente modificati’ soltanto apre una finestra, scoperchia un lembo di corteccia celebrale, e dà libero corso ad associazioni testuali, visive, sonore che nascono dalla percezione della trasformazione dell’idea di natura, della concezione dell’individualità e della società umana. Da questo scoperchiamento vengono alcuni dialoghi, monologhi, parti del testo scritte da noi insomma, assieme a immagini, disposizioni dello spazio, oggetti che muovono l’azione. Nascono suoni di sottofondo, un brusio tecnologico un po’ fastidioso, un connettersi e sconnettersi, attendere, riprovare, un fruscio costante. Si inseriscono voci che sembrano didascalie stonate.

Navigando tra dubbi, parole, pensieri, perplessi e stupefatti andiamo incontro a un riaffiorare di memorie letterarie, che di colpo si decontestualizzano, non per formare una composizione graziosa e rassicurante, post-moderna, ma per radicalizzare i punti di vista, radicarli anzi, in un sostrato oscuro, in una carne culturale, della quale (consapevolmente o meno non importa) siamo fatti.

Questi Leopardi o pensatori Hindu o nobili rinascimentali ci offrono delle cellule che ricomponiamo in un grande Purusha, il macrantropo indostano; un uomo fragile, per quanto grande, un colosso dai piedi d’argilla, un corpo che mantiene intrinseca la labilità delle sue connessure.

È forse proprio la categoria della fragilità che vogliamo affermare, rivendicare e proteggere con tutta la rabbia, la passione, la capacità che abbiamo. La fragilità del corpo, per quanto potente o prestante, la fragilità della mente, la fragilità della terra, la fragilità delle relazioni tra gli esseri.

Una fragilità che è messa sempre più in discussione, in repressione, in sfruttamento, in condizione di non essere più, fino all’annientamento, da una maglia, da una briglia, da una griglia che è economica e culturale.

Rispetto alle strettoie di un pensiero unico, che si fa globale solo come espansione di dominio e predominio, con ‘OGM - Organismi genericamente modificati’ riaffermiamo la necessità di aprire le sbarre, per tessere reti leggere ma resistenti, intercomunicative, riaffermiamo una volontà di deriva mentale e lo facciamo con le possibilità uniche del teatro.

Un teatro che vuol essere dinamico anche senza una storia o una vera trama, senza veri personaggi, che ha in sé una metafora musicale, alla quale concorre oltre che la musica in senso stretto - e qui soprattutto la ritmica, la percussione - l’insieme del montaggio di tutti i vari elementi.

INCERTE CATEGORIE

LE ACQUE SOTTERRANEE DELLO SPETTACOLO

Lo spettacolo inizia con un gioco: di fronte a delle scritte che scorrono proiettate i due attori danno corso a delle associazioni di parole in libertà: concordano di estromettere per un po’ dal teatro la poesia, quella che si autocompiace di amore-cuore.
Ma Amleto, che è un po’ la guida o il superiore di Buckingham, che è invece l’attendente, l’aiutante, riprende subito la lezione interrotta, affermando che la trasformazione è insita nelle cose, e che la generazione non è un punto di partenza.
Buck risponde con la storia banalissima di una formica e di una scarpa.
Amleto si finge formica, da sotto il piede sigismondeggia amaramente:
Così rattristandosi ritornellano un po’ di danza post mortem, e scompaiono.

Ma eccoli di nuovo al lavoro, è l’ora del libero mercato e delle migliori offerte: è l’ora della pubblicità: la scienza non può certo farne a meno. Entrano le uova, gli oggetti dei loro esperimenti, i contenitori di speranze e inganni.

Le dispongono, tripudiano soddisfatti di fronte alla loro clientela virtuale, in una televendita di felicità e di promesse, nella fiera delle età, nella parata transgenica.
Ma qualcosa non va, qualcosa non torna, non tutto era calcolato. Cade un uovo. Scatta un allarme.

Niente paura c’è sempre un piano predisposto, o un pensiero pre-disposto, un modo per far fronte all’emergenza. Scompaiono.

 
Tornano veloci con un’iniezione di rassigurante cinismo strappato dalle Upanishad, strapazzando una frittata: cos’altro si può fare con un uovo rotto?
Non dura nemmeno questo, dei dubbi si insinuano, la serenità va a farsi un bel viaggio nelle budella di un pezzente,

dunque di nuovo il refrain: vivere velis?

Nonostante i dubbi l’esperimento procede, anche se fa freddo, sempre più freddo. O è un freddo costante? Qui Amleto e Buckingham si confessano apertamente, sembra. Ma chi è la copia, e chi l’originale, uno è figlio dell’altro? Ma di una madre o di un padre?
Le cose sono un bel po’ intricate, o interconnesse come si potrebbe pensare più elegantemente, prendendo le distanze. Di nuovo Amleto, il maestro trasformista, assume l’aspetto chitinoso di una crisalide, tessendo con il filo delle rime e delle assonanze un ragionare antico.
O ancora, prende la posizione classica di una mummia, per beffare il suo assistente.
Buck, che non vede compiersi su di sé i miracoli promessi, ricorda al suo principale che il programma prevede ora un altro incarico per lui, quello di dar voce a un vegetale: è la storia di una pesca qualsiasi.
Ormai capiamo benissimo che questi operai della manipolazione sono in realtà loro stessi frutto di manipolazioni, sono pezzi di pezzi, e che l’interezza, l’unicità, l’individualità sono finzioni. Quanto e quando necessarie?
Quanto il mangiare, quanto il mors tua vita mea? Cose da selvaggi?
Non c’è tempo però nemmeno per le evocazioni, il lavoro chiama, il lavoro va mandato avanti, il lavoro è rischioso. Amleto viene aggredito da un uovo marcio. Capita. In natura senz’altro, ma non troppo spesso. Molto di più tra gli umani. A volte è troppo. L’uovo del serpente. I rapidi slittamenti dal banale al male, dall’in pace con se stessi alla guerra agli altri, all’altro. Un Eichmann, forse? Buckingham con tutta la sua energia soccorre Amleto, che lo ringrazia per aver neutralizzato il pericolo.

La giornata si è conclusa, gli esperimenti andranno avanti, ma il loro compito per la giornata è terminato. I due uomini si rilassano, sempre per poco, però, che già i loro corpi rivanno in pezzi, sono proprio uomini finiti... così che niente sembra più tenere, tantomeno la più italiana delle rime: amore:cuore.

 

UNO SPAZIO MENTALE, METAFORICO, SLITTANTE.

Va da sé che lo spettacolo per suo argomento e stile possa muoversi in ambienti diversi. Infatti oltre al primo allestimento al Teatro Sala Uno di Roma, abbiamo visto che il lavoro può muoversi bene, e forse con ancora maggiore efficacia, in spazi non convenzionali. Così è stato al Centro Sociale Forte Prenestino e in una autocarrozzeria.