lunedì 5 luglio, apertura della settimana calda

Il Dentro del mal di vivere e il Fuori del glamour
Una volta, mi ricordo, i giovani volevano essere rock-star. I Magazzini, allora ancora Criminali, intessero una loro performance su questo desiderio. Mi ricordo Pierluigi Tazzi, alla consolle, urlare dalla barba rossiccia ai mille microfoni quella comune aspirazione. Oggi l'oggetto di brame è il dee-jay. L'uomo che conduce la dance. Il tribale sciamano tutto decibel di suono e voce. I progettisti dello spettacolo "Kung-fu. Best of" - agli altri miti dell'oggi: top-model, fulgore fisico, sesso facile - hanno voluto dare spazio ad un minimalismo narrativo, decisamente in contrasto con la ritualità mega di rave, sfilate, films giallo-spy. Ne nasce uno spettacolo che, sulle voci dei protagonisti (tutti allo stesso stato di comprimarietà), pone l'accento sul dentro e l'esterno. Ove il Dentro è i piccoli-grandi problemi del crescere, del vivere, che permangono onnivori sullo smart: sul glamour del Fuori. "Best of", nella confezione giocata sugli opposti , ci segnala una nuova "maniera" per una narrativa teatrale. (gsb)
Hey boy hey girl
Qual' è la tua spice girl preferita? E' difficile scegliere, è difficile essere sé stessi. Essere se stessi. Farsi capire. Nascondere i difetti. Piacere. Stare bene. Trovare qualcuno che capisce. Avere un incidente. Vedere qualcuno che muore. Qualcuno che cambia. Le cose cambiano. Siamo tanti e ci diciamo tante cose diverse. Ma sono cose che hanno già pensato tutti, è successo a tutti. Vado ad una festa dove voglio sentirmi innamorata di tutti e sentire un gran caldo. Facciamo come se sfilassero i nostri sentimenti poco originali, ma emozionanti, perché la voce trema un po' anche a raccontare una storiella semplice. E poi è facile cadere da qui , oppure scivolare. Infatti avrei delle cose da dire ma sto scomoda, sono a disagio e in imbarazzo, tranne quando c'è da ballare. Hey boy… hey girl! Alla fine ci trasformiamo in festa. Gli spettacoli così musicali, come Kung fu, fanno venire voglia di restare, che non finisca , che il volume non diminuisca, che il pezzo dopo combaci col sentimento che viene. Fare caso ai vestiti delle ragazze più belle, agli occhi di quelle che dicono la cosa più toccante. Le ragazze sono complicate e mettono in ordine le diverse mille cose che le attraversano. Guardare il taglio dei capelli dei ragazzi, il coraggio che hanno o che non hanno. Notare i tipi che assomigliano a qualcuno che si conosce; aspettarsi qualcosa di intelligente o una risata scontata. Riconoscere gli italiani dai belgi, dal vestito e dalla espressione che hanno. E il gran casino che fanno i dj, fuori dal palcoscenico, ma dentro comunque. Questo è quello che si vede, è semplice: noi vivi sulla scena che camminiamo, gesticoliamo, balliamo. E per sfondo le nostre immagini di noi che camminiamo, gesticoliamo, balliamo, ma in video. Davanti ci siamo noi, e dietro rimangono impresse le nostre facce di ieri, della settimana scorsa, di un minuto prima. Ci siamo noi che giriamo per il paese. Mia madre col gatto e mia sorella. (lk-g)
"C'est ne pas du théatre"
Esce inaspettata questa frase dalle bocche dei giovani creatori di Kung fu. Commento che avrebbe potuto semplicemente appartenere a qualche portavoce del nostro teatro italiano posto di fronte all'esplosione di suoni, luci e immagini che ci immergono in un'atmosfera da happening in cui si incontrano sensazioni ed emozioni contrastanti accavallantisi senza sosta. Forse è proprio questo non essere teatro l'unico modo per esprimere in modo diretto la realtà della nuova generazione di fine millennio, l'abbattere qualsiasi schema o ostacolo per creare un unico magma di realtà, un'unica energia che collega il dentro e il fuori, la musica della performance a quella della festa finale, la vita raccontata sul palco e quella su cui ci interroghiamo quotidianamente. Questo è nuovo teatro, esplosione delle possibilità espressive, di cui sono portavoce importanti figure del panorama belga così ricco e lontano da noi.
L'essere teatrale è in questo " c'est ne pas du teathre", nella concretezza delle fanciulle Lolite che ci sfilano davanti agli occhi apparendo come immagini inquietanti e scomparendo poi nel loro essere infantile, fermato per un attimo in quei primi piani di occhi profondi, bocche, sorrisi; nella vita familiare che si mescola o trasforma in immagine tra il video clip e la pubblicità; nella danza con cui si cerca di trovare una propria identità o qualità, o vissuta come estasi bacchica in cui non scompare mai il richiamo all'appartenenza, all'origine, al paese e alla famiglia.
Magma di corpo, voce e sudore di fine millennio
Inquietudini e manie dei giovani del 2000 così sfacciate e così naturali, proiettate sullo schermo, vissute o richiamate dai ritmi incalzanti del corpo sonoro. Tutto ciò crea un unico linguaggio diretto, che non vuole rimandare a niente aldilà, che è tutto nel presente di questa rappresentazione senza esibizione, ironia o caricatura. Questo è il linguaggio, la comunicazione, questa è la " philosophie du kung fu" che continua anche aldilà del gioco scenico, nel ritmo sfrenato della danza dei giovani coinvolti alla fine dello spettacolo, nel magma di corpo, voce, sudore di fine millennio. (ilaria)
Facce da Benetton
Una quarantina i ragazzi (età 15-20 anni) in scena per "Kung Fu", spettacolo "multimediale" della fiamminga Compagnia Victoria, che nel '97 portò a Polverigi quello che poi diventò il "caso" Bernadetje.
Ancora una volta in scena gli adolescenti, il loro mondo, i loro problemi. Il fascino e la difficoltà di crescere in un'Europa allo stesso tempo diversificata e omologata, soprattutto nei consumi e nelle sue forme.
E sembra, Kung Fu, uno spettacolo più indicato a loro che lo hanno fatto, agli adolescenti. Un pubblico adulto, da questo spettacolo, dei ragazzi impara poco di più che da una serata in discoteca, dallo sfogliare una rivista giovanile, da un paio d'ore di MTV e simili.
Questo è l'aspetto più omologante dello spettacolo, perché poi v'è anche il tentativo di far parlare tante voci, tante facce, tanti corpi tra loro molto diversi, ognuno col suo piccolo brano di vissuto personale. I temi principali? Il sesso, il rapporto col proprio corpo, la vita sentimentale, la differenza tra i sessi, l'alcool e la droga, le esperienze più importanti - belle e brutte - , i propri punti deboli. E poi li mondo della TV, della moda, la pubblicità, la discoteca, la musica, le canzoni…
Un ibridismo di generi e di mezzi tecnici coinvolgente, anche perché scenario di una sensualissima galleria di corpi giovani ed espressivi, vitali, energici, attraenti anche nelle loro contraddizioni, e nei momenti di rabbia o di indolente indifferenza.
Giovani che sfilano in passerella, posano, ballano, si raccontano, guidati dal regista Pol Heyvaert, che ce li mostra in modo un po' voyeuristico, tra il morboso ed il documentaristico, con un inevitabile effetto "United Color of Benetton" e derivati, d'origine toscaniana con annessa fabrika.
Belle facce, molto differenti tra loro, tutte interessanti. E tanta energia in questi giovani protagonisti, evidentemente contenti di stare sul palco.
Ma ciò che va in scena è realtà o rappresentazione? Davvero sono così quei teen-agers, davvero hanno quelle vite, si esprimono in quei modi? Non sono stati oggetto di un'abile manipolazione omologante che li ha resi tutti uguali pur nella loro diversità? Lo abbiamo chiesto ai diretti interessati. Gli undici giovani locali scelti per affiancare il gruppo della compagnia belga.
E' una peculiarità di questo show: arruolare giovani in ogni luogo in cui viene rappresentato e metterli in scena insieme al gruppo originario. I "nostri", di Polverigi e dintorni (fino a Jesi ed Ancona), li abbiamo sentiti direttamente. Ci hanno raccontato che la notizia del provino è avvenuta per trasmissione "orale"; che là il regista, il dj e il tecnico video li hanno fatti camminare, posare, parlare. Ha fatto raccontare loro le proprie esperienze, quelle più importanti, quelle che li hanno messi più in difficoltà. Tutti entusiasti di questa esperienza, per nulla imbarazzati ad andare in scena o essere intervistati. Si sono trovati a proprio agio con la troupe belga, evidentemente abituata a lavorare coi ragazzi. Li stimano: tutti bravi. Non si sono sentiti manipolati. Si sentono invece ben rappresentati da quaesto spettacolo. Non hanno legato moltissimo coi ragazzi fiamminghi, loro coetanei. Neanche un flirt? Chiedo. "E' per questo che dico che non abbiamo legato" - ribatte uno dei ragazzi , moro, capelli lunghi, 18 anni. Si sentono molto diversi dai belgi. Perché, chiedo, visto che avete gli stessi problemi, vi vestite allo stesso modo, ascoltate la stessa musica? Invece loro fanno notare come - oltre alle evidenti differenze somatiche - esiste una diversità culturale che fa sì che noi Italiani abbiamo molta più difficoltà ad affrontare con i teen-agers alcune tematiche come l'alcool, la droga, il sesso - per quello che è, spogliato delle favolette dei giornalini femminili -, il rapporto conflittuale coi genitori (in Italia "la mamma è sacra" - dicono - "non se ne può parlare male"). E' vero, se ti metti nei loro panni le senti di più certe cose. Per questo penso che Kung Fu sia indicato prevalentemente per un pubblico simile ai suoi protagonisti, perché per altri è facile vedere in questo spettacolo solamente un'altra delle tante ripetizioni del protagonismo giovanile del consumo massificato ed omologante.
Tante facce diverse che diventano una sola, o che si annullano tra loro. Facce da benetton.
Ma resta comunque allo spettatore lo scottante ricordo della presenza fisica estremamente energetica di questi giovani. Un'energia che brucia. (luciano piattella)

due belle facce di due ragazzi di Polverigi, tra quelli coinvolti in "Kung fu - Best of"

Agrumi di stagione
Rosso Tiziano è il colore dei capelli di Desdemona , una ragazza bella e bianchissima che recita bene la sua parte.
Il pubblico brinda, con vino rosso a temperatura ambiente, al matrimonio di lei con Otello, ci saranno 40° al buio.
Quando comincia la tragedia rimaniamo in trappola , presi dalle maglie della rete che ci impedisce di fuggire, di vedere nitidamente la gelosia atroce di Otello e tutto il resto;
non c'è più neanche da festeggiare, non c'è più da bere, non più quel cedro grande e bello, le arance rosse.
Perché le panche dove giacevano le vettovaglie sono diventate il letto nuziale dove avviene l'omicidio.
E si può anche provare nessuna emozione, e basta, e il potere dispotico degli uomini sulle femmine non ha più alcun senso in questa parte del mondo. (lk-g)
Il crossover schizoide
L'orecchio non ha palpebra. Selezionare poi l'ascolto che viene sollecitato da diverse fonti sonore simultanee è pressocchè impossibile. Due musiche che s'intersecano creano quindi, inesorabilmente, una confusione che a volte può essere ben orchestrata con un suo preciso valore. C'è un termine per questo: crossover. Incrociare suoni può essere quindi un'arte del missaggio di chi sa far entrare una battuta, un picco-beat, in un'altra battuta oppure una soffusa dissolvenza in una discreta e progressiva assolvenza che avvolge tutto. Alcuni crossover come quelli di Brian Eno tra sonorità elettroniche e musiche etniche hanno spalancato ad esempio le porte della nuova percezione musicale.
Ma nello spettacolo di Alias il gioco è diverso, il crossover qui è schizoide, tende a confondere l'ascolto, esaltando un disagio che i danzatori accentuano come codice interpretativo. E' la loro schizofrenia onirica in danza a fare del mix tra Schubert e James Brown un incidente sensoriale che vale come un dialogo malato tra due personaggi con un sacco di cose da dirsi. (kain)
Le ossessioni domate
Una sirena fuori dall'acqua e un ragazzo; una donna e poi un uomo. I danzatori di Alias.
La donna è proprio una donna-donna e fa cose da donna.
Una ragazza, una signorina che non vuole scomporsi.
L'uomo e il ragazzo si contendono la signorina che non vuole scomporsi.
La donna-donna è forte come un uomo.
La signorina decide di scomporsi per una volta, per un po'.
In scena in due, a volte in quattro ma quando manca qualcuno lo si ricorda perché resta una musica di sottofondo: è la musica dell'assente, quello o quella che sta dietro le quinte mobili, ma anche di quella parte di ognuno che è diversa, contrastante, il contrario, sommersa, l'altra faccia, l'altra qualità.
La donna decide di domare le ossessioni che la rincorrono e la agguantano, e di smaltire la sbornia della festa.
E poi resta sola a guardarsi.
Potrebbe essere incolpata di omicidio volontario.
Ma secondo me si salva. E poi ha fatto bene. (lk-g)
Alias: 3 momenti
La sirena si pavoneggia. Con civetteria da dei colpi di coda per attirare l'attenzione dell'essere umano col quale flirta.
L'uomo è disperato e sta per buttarsi dal palazzo, è in equilibrio instabile e guarda di sotto, ansima, è sudato.
Arriva la donna in rosso. E' evidentemente ubriaca, si muove come un pupazzo del Muppet's Show, sproloquia, sbraita, è esaltata, sta esagerando, è del tutto inopportuna.
Dopo la festa la parete comincia ad avanzare per l'ennesima volta, e c'è un momento di panico puro; tutti rientrano dalla porta in fretta e furia. La ragazza in blu viene buttata fuori, tenta di fare resistenza ma la spingono fuori senza pietà; i rimasti dentro continuano a sbeffeggiarla; lei si trova sul proscenio vicinissima al pubblico, e non sa bene come comportarsi. (lk-g)
Alias senza apnea
Forse perché la temperatura non era proprio da altoforno, forse perché con qualche posizione yoga e tanto training sono riuscita a stare seduta quasi un'ora sul bracciolo della sedia (solo per riuscire a vedere, e non per dimostrare la pratica di discipline orientali), forse perché lo spettacolo del Parco abbisognava di un "momento di distacco" e "di riflessione"...
Ma sono stata catturata dai quattro svizzeri e trascinata sulle note delle loro musiche (tanto accavallate da farti entrare in quella nuova senza una vera coscienza), lungo il breve e lineare percorso di quella parete grigia, capace di evocarti atmosfere diverse in una semplicità disarmante di bleu e rosso guizzante, di immagini di hopperiana memoria e di lucisapienti.
Capaci di stupirti ancora un po' con una donna-sirena di plastica e un uomo-invertebrato senza testa. (ofelia56)