sabato 10 luglio, apparizioni e moltiplicazioni

Fitto sbattere di tacchi e grande foga.
Protein dance: impiegati e impiegate in nero e grigio. Vanno in balera e si accoppiano indiscriminatamente… ehhh che bello! (lk-g)
Carezze e cartoon
Due ragazze combattono per conquistarsi l'attenzione di un gran pezzo di giovanotto presissimo dalle sue letture.
Una è morbida, timida ingenua e labile. Ricorda Betty Boop. L'altra è dura, secca, una specie di donna manager-Olivia incravattata.
Ma lui niente. Non si smuove. Non distoglie gli occhi dalle pagine. Le due si scavalcano, vanno all'attacco, si ingelosiscono, si incazzano, si addormentano. Assaltano ciascuna a suo modo il giovanotto sul futon. Ma lui niente. Vuole solo leggere, sguscia via dalla morbida, sbatte via la dura. E legge. Alla fine si farà conquistare dalla morbida, è ovvio, non poteva essere il contrario, lei si è veramente impegnata senza stressarlo e ha cercato di entrarci in relazione con calma e giocosità. Comunque è una tragedia perché mentre lei morbida lo possiede nell'anima, la dura si impicca.(lk-g)
Sulla via del tradimento
(...) La via del tradimento porta all'autenticità anche la compagnia parigina Quat'Zarts che affronta il tango come metafora dell'incessante giro della vita , circolare come un "Valzer" secondo il titolo che la coreografa Catherine Barbessou ha dato al coinvolgente lavoro. Nel palcoscenico , coperto di terra, è lo spazio tra le baracche di legno degli immigrati in Argentina, dove la passionale danza è nata più di un secolo fa. Violenza sottomissione ed esposizione del corpo ai danni della donna segnano l'inizio dello spettacolo, interpretato da otto bravissimi danzatori. Da Gadel alla rumoristica industriale, il tappeto sonoro e ambientale concentra i diversi momenti ( e sviluppi) storico culturali del tango. Desiderio seduzione, solitudine, complicità ( compresa quella fra uomini), rapporti di coppia agiti con "voluttà dolce", fino ad un fermo immagine che sembrava chiudere uno spettacolo senza fine e, naturalmente, suggellato da un tango classicamente ballato. (maria manganaro, estratto dal Corriere Adriatico del 10 luglio '99)
L'impressione vera di esserci davvero.
Soppressione e repressione, tutto è assurdo e non vorrei averci nulla a che fare. E' così da molto e non solo da quando lo mostra la televisione. Non solo dove le donne sono abbigliate in questo modo. E' TUTTO VERO. Neve sporca a sangue. Neve vera e filo spinato, le signore si impigliano e si dispiacciono. (lk-g)
Una poetica aristocratica e autoreferenziale
Con quella sua parrucca barocca Francesca Lattuada domina la scena, sola, altera, a tratti geniale. Canta come una donna bulgara e danza poco, quanto basta per cogliere una sua maestria dosata, centellinata. La vedi, è brava ma non la senti la: algida ed apollinea. La scena è preziosa, soluzioni pittoriche e automatismi meccanici che fanno muovere gli oggetti di scena, eppure glaciale, statica, come un quadro appunto. Il fatto che Ghedalia Tazartes abbia fatto le musiche mi entusiasma (una sua performance qui a Inteatro una quindicina d'anni fa fu memorabile) ma c'è qualcosa che non funziona tra il canto e la base sonora, si muovono su piani diversi.
Come lei e me come spettatore. Probabilmente cerco cose diverse, cose che non trovo nella sua dimensione egotista d'artista. E ricordo, citandomi: il teatro non esiste se non è condiviso. Ho l'impressione che lei non contempli questa ricerca di condivisione, forte della sua autoreferenziale e aristocratica poetica. (kain)
Static sound
Sorta di staticità disturbata da accenni sinuosi e dal beat delle basi cardiache e profonde. Un momento di vera intensità: la donna incipriata e un vestito-bambina senza testa-automa, perturbante nei pizzi e merletti bianchi; un legame invisibile tra loro le fa muovere parallele, senza incontrarsi, vicine e lontanissime, si percepiscono ma non si incrociano. Draghi scivolano sulla scena, piante asfittiche crescono magicamente in pochi minuti. " Padrone ti voglio arricchire" questa si che è una grande bugia.(lk-g)
Conversando con Francesca Lattuada
STARTING…
E' notte fonda a Polverigi, gli spettacoli sono terminati e al parco impazza ancora la musica dance e techno della festa della compagnia Victoria, che ha aperto il festival con lo spettacolo Kung Fu. Si rimane a chiacchierare nei pressi del bar, nel fresco della notte estiva all'ombra di Villa Nappi. Chiedo a Francesca Lattuada di scambiare quattro chiacchiere ad un tavolo. La conosco dal '97, quando portò qui a Polverigi lo spettacolo "Zirkus", con la sua compagnia Festina Lente. L'anno scorso era presente la compagnia, ma lei no: era in Giappone. Ma la sua presenza si respirava dallo spettacolo "Le testament d'Ismaïl Zotos".
STATE OF THE ART
Quest'anno Francesca Lattuada si prodiga in un assolo dal titolo "Cazzatielle", dove il canto, una delle sue forme preferite d'espressione, diventa protagonista. Ha concluso da poco anche un laboratorio di ricerca per giovani danzatori: tre settimane intense con una decina di ragazzi, qui a Villa Nappi, sede dell'Associazione Inteatro.
TALKING
Nel nostro colloquio informale parliamo di molte cose, a cominciare dai due spettacoli della serata.
Emergono le problematiche della regia teatrale, e della scrittura coreografica. Emerge la necessità, da parte della Lattuada, di un'esigenza di cambiamento, che deve essere all'origine del fare teatro. Non concepisce uno spettacolo come qualcosa per far passare gradevolmente il tempo ad un pubblico pagante. E' una sorta di missione. E' per lei una totalità espressiva che porta a galla le origini sacre e rituali del teatro.
PURITY
Non ama il cliché dell'artista stravagante e bohémien, stanco ma onnipresente retaggio romantico. Il teatro è un lavoro, e richiede disciplina, rigore, ordine, e anche tanta umiltà. Il suo è un cammino di progressiva riduzione, alla ricerca di un'essenzialità pura e sacra. Abbiamo ricordato la purezza dello spettacolo di Raimund Hoghe, "Chambre separée, presente l'anno scorso al Festival. Una sorta di rituale del thé giapponese, applicato ad una tematica così artisticamente pericolosa come l'autobiografia: tanto merito in più.
GELSTAT E ORIENTE
E' questa l'arte che ama Francesca Lattuada, un'arte in cui si danza, si canta, si recita con tutto il corpo, in una globalità espressiva ricca d'armonia che sa d'oriente, di riunificazione dell'occidentale scissione tra anima e corpo, materia e spirito. Ed effettivamente l'oriente l'ha cercato, la Lattuada, e l'oriente l'ha accolta egregiamente. Mi racconta dei suoi seminari di canto e di teatro in India, in Giappone: si è sentita a casa, ha trovato delle radici profonde. Nei tratti del volto di sua nonna trova curiosamente dei tratti mongoli: certe "coincidenze", certi pensieri, impressionano solamente a pensarli. Ha appreso profondamente la lezione giapponese, popolo che ammira per molte ragioni: tra le prime il loro profondo rispetto per la loro millenaria cultura che si fonde armoniosamente con la modernità più spinta.
Nel cuore dell'occidente pulsa un'anima errante, cosmopolita e tanto vicina all'oriente, di cui però non è vittima, ma abile rielaboratrice.
IL FASCINO DEL RIGORE
Bellissima nella sua semplicità, nel rigore di un abito tibetano per nulla sfoggiato, ma portato naturalmente come se lo indossasse da sempre. Rispecchia il suo aspetto la sua ricerca di ordine, essenzialità, guidata quasi più da uno spirito matematico che dal retorico fuoco sacro dell'arte che brucia tanti artisti esaltati. Ma è un rigore così sentito che scotta, ancor più se pensi che il suo lavoro attinge alle profondità oscure del teatro, che sanno di sacro e di mistero.
IN ATTESA DELLO SPETTACOLO
Ciò spiega anche il suo itinerare per paesi lontani ed esotici, ed il suo comprendere e rielaborare in maniera profonda, senza fronzoli e senza bric à brac da mercatino per turisti. La sua "bulimia" culturale, di forte stampo antropologico potrebbe generare cortocircuiti, schizofrenie, in una come lei, milanese che vive a Parigi.
In "Cazzatielle" metterà in scena una sciamana che si è nutrita di tutto e di tutti, e il cui corpo inizierà a "rigettare" ed a far parlare le mille voci, i mille corpi, le mille cose conosciute.
Sacerdotessa che celebra un rito ogni volta che va in scena, Francesca Lattuada, non semplice danzatrice o cantante o attrice. Tutto questo, ma anche molto di più. (luciano piattella)