Punti di vita
Ciò che l'uso della rete telematica può rendere possibile è creare ambienti di reale comunicazione interattiva, spazi in cui la parola scritta (nonchè immagini e altre forme di comunicazione audiovisiva) traduce il pensiero in azione. Si tratta di un principio paragonabile (paradossalmente) a quello dell'oralità, dove la parola parlata passa da un corpo ai corpi degli ascoltatori in un unico spazio-tempo vissuto. In Internet si frequenta un altro spazio-tempo, artificiale, ma "vivibile", condivisibile con altri. Non è più il "comunicare a" proprio del massmedia televisivo ma il "comunicare con", elemento che sta alla base della comunicazione interpersonale. E' da questo dato che è possibile iniziare a concepire l'uso delle reti telematiche come ambienti in cui attuare nuovi modi di cooperazione culturale ed educativa. L'idea di realizzare nel web delle esperienze in cui dare luogo allo sviluppo teorico e creativo dello sguardo teatrale è da inscrivere in questa nuova orizzontalità del comunicare. E' qui che "il punto di vista" può arrivare a tradursi in "punto di vita": affermazione di una consapevolezza vitale, dinamica che traduce un'esperienza di percezione in atto di comunicazione. Già nello sguardo teatrale lo spettatore agisce, mette in gioco sé stesso, esprime quindi un punto di vita scegliendo i piani-sequenza del movimento scenico. Nel "theatron" telematico, espandendo ancora di più lo sguardo, oltre la propria coscienza, entrando cioè in quella "connettiva" di Internet, si può fare di tutto questo un "prodotto" culturale inedito: un'opera che coniuga il lavoro percettivo del proprio sguardo in azione con quello cognitivo in forma ipertestuale. Ci si apre insomma ad uno sviluppo potenziale di riflessione che al contempo si fa comunicazione, atto di nuova condivisione. Una percezione che si traduce in un'evidenza. Si compie un atto che amplifica il feedback, la risposta sensibile dello spettatore che fa del suo sguardo qualcosa che contribuisce a far accadere teatro. Perché, non dimentichiamolo, il teatro non esiste se non è condiviso. Carlo Infante
Oltre
la contraddizione: punti critici e punti di vista
Non escludo che ci sia una contraddizione tra punto di vita e punto di vista,
o ancora meglio "punti critici" come si definisce questo canale del
web de La Scatola Nera. E' una sottile differenza che non crea discriminanti
rispetto agli stili di scrittura ma che intende contribuire ad aprire una finestra
su una nuova coscienza dello spettatore attivo e riproduttiore di visione teatrale.
In questa zona trovano spazio alcuni interventi più approfonditi, alcuni
pubblicati addirittura su testate giornalistiche da spettatori professionisti
(quelli che hanno fatto del proprio "punto di vista" uno strumento
del mestiere). Contributi importanti alla memoria di bordo del festival Inteatro
che però nella struttura del Diario di Bordo avrebbero creato troppo
addensamento e , perché no, troppo spessore intellettuale. Carlo
Infante
Cronaca
della Prima Giornata di Inteatro '99
Sabato scorso si è aperta la ventiduesima edizione di Inteatro, con tanto
pubblico. Numerosi i giovani e tanti gli habitué del festival internazionale
che, si sa, riserva molte sorprese. L'attesa di quest'anno si concentrava sui
giovani belgi di quella casa di produzione Victoria che un paio di estati fa
presentava per la prima volta in Italia, proprio a Villa Nappi, lo spettacolo
evento "Bernadejte" di Alain Platel. "Kung fu - Best Of",
realizzato a sei mani da Pol Heyvaert, Felix van Groeningen e Jonas Boel, è
un defilé di quaranta adolescenti, dai quattordici ai vent'anni, che
non si defilano. Raccontano se stessi in una manciata di secondi. Pene d'amore,
disagi, senso di disadattamento, crisi, manie, voglie e gusti detti con un'autoironia
che non manca di divertire né di disorientare quando la violenza e il
dolore arrivano come segni fatali. La struttura è quella della passerella
di moda, anche l'incedere in successione degli interpreti e le pose non fanno
che sottolineare la scelta stilistica, a ritmo techno e volume assordante. Tiene
legato il tutto l'incessante proiezione di video, molte delle quali a circuito
chiuso rinviano istantanee di volti dei ragazzi in primo piano. L'immagine di
apertura è, naturalmente, quella di Bruce Lee mentre, in un filmato d'epoca,
descrive l'essenza dell'arte marziale che dà il titolo allo spettacolo.
A differenza dei colpi devastanti del karate, il kung fu è fluido e inafferrabile
quanto un bicchiere d'acqua. I giovani belgi traducono quella fluidità
in fine polverizzazione acustica e visiva di immagini, suono e parola, per un
lavoro che conta molto sul coinvolgimento emotivo o ritmico della platea. Non
sono pochi i ragazzi che si impongono all'attenzione per presenza, sfrontatezza
o concentrazione. Bellissimi visi acqua e sapone, sguardi intensi e languidi.
Davvero abile il cinese mimetizzato fra il pubblico che racconta la triste storia
dell'amico diciannovenne paralizzato a causa di un tuffo sbagliato in mare ed
è assai brava la ragazza che canta Witney Huston deridendo il film della
cantante nera con Kevin Kostner. C'è poi la rappresentante del passaverdure,
la teen ager che si innamora di tutti. Non è teatro comunemente inteso
questo "Kung fu" e, d'altro canto, la vita non è un palcoscenico
su cui può calare il sipario come avrebbe voluto far credere il mitico
Elvis con una frase "completamente stupida". C'è autenticità
e finzione in uguali proporzioni (la siringa dell'eroinomane è palesemente
finta) in uno spettacolo che non sappiamo quanto sia stato sbilanciato dalla
presenza dei dieci giovani marchigiani reclutati nei giorni scorsi nelle discoteche
della zona. Non sono risolti i tempi del finale che agonizza quanto quello dei
telefilm statunitensi. Sarebbe stato più efficace chiudere con l'immagine
della nonna in poltrona sul grande schermo che dal fondo della scena risponde
agli sguardi di sfida di tutti i ragazzi al pubblico dicendo "Non pensiate
che sia io a sentirmi a disagio" e ride sardonica, lei che ha fottuto la
morte. Certo, come alcuni degli habitué più "anziani"
sottolineavano alla fine dello spettacolo, ci si aspettava di più da
questo lavoro presentato come evento del festival ma di sicuro "Kung fu"
ha una carica di freschezza e di energia che manca alla danza elvetico-brasialiana
degli Alias. Al teatro della Luna, "On ne peut pas etre toujours en apnée"
del coreografo Guilhermo Botelho realizza un bizzarro connubio geografico-culturale
che associa la maniacalità svizzera della perfezione alla coscienza del
corpo tutta brasiliana. Lo spettacolo è interpretato da quattro danzatori
di esperienza e preparazione tecnica indubbie (Caroline de Cornièere,
Joseph trefeli, Kylie Walters, Mike Winter) ma più che affondare nella
comicità delle diverse situazioni proposte, l'allestimento molto curato
si attarda su spunti già sviluppati da Fred Astaire. L'ironia dell'incantevole
sirena ironica, perfettamente a suo agio nei movimenti della lunga coda di plastica
trasparente, perde originalità con lo svolgimento del lavoro giocato
davanti, dietro e sopra una parete scorrevole dal fondo al proscenio. A conclusione
della prima giornata tutti sul palcoscenico trasformato in una vera pista di
discoteca con luci stroboscopiche e dj, fino a tarda notte. Maria
Manganaro da il Corriere Adriatico
kung
fluid
Dal grande schermo digitale Bruce Lee spiega il primo requisito per l'efficacia
della pratica del kung fu: conoscere e immergersi nella fuidità dell'acqua
- per difendersi e aggredire nel momento giusto. Corpo ed emozioni d'acqua dei
giovani e delle giovani protagoniste incominciano a scorrere sulla passerella
Il gruppo italofimmingo ci introduce infatti in un ambiente virtuale, a metà
strada fra un defilé e un set da T.V. verità- esplorando le proprie
passioni attraverso un fluido sonoro potente e ben microfonato. Il tutto genera
un effetto "simil-liquid" , dove lacrimine, perline di sudore e altro
, sanno impregnare di sé tracce di scrittura apparentemente statiche-
confermandone la misura poetico-ironica. Il loro segno risulta particolarmente
riuscito quando non si inaridisce negli stereotipi già conosciuti sull'adolescenza-
ma quando entra nella freschezza obliqua di certi loro sguardi "in progress"-
come quello della ragazzina italiana che con poche frasi spiega il proprio cambiare
costituzione di fronte a interlocutori diversi- se stessa o il preside per esempio.
Il ritmo del video sullo schermo in questo caso conferma la trasformazione con
le proprie belle elaborazioni dal vivo e, più in generale, interagisce
con i corpi umidi e le parole acerbe , creando una efficace punteggiatura. L'entusiasmo
dei tecnici audio che da sotto la passerella seguono il costruirsi della musica
come Dj dilaga oltre i confini assegnati. L'ultima immagine video, di una nonna
che chiarisce di non essere stata assolutamente a disagio, che anzi ride di
gusto (il video ne moltiplica i puntini di sospensione) conferma che essere
liquidi, nuotare dentro pozze di identità anche se si tratta di droghe
o altro, per poi procedere oltre, non crea ghetti, ma arricchisce crescita e
comunicazione. complimenti quindi, ma anche un encomio per le ragazze rotondette,
di cui una dalla voce intonata, sono loro la rivincita del teatro sull'imperialismo
del corpo sottile. Stefania Zampiga e Davide Venturini
Kung fluid (english version)
From the digital backcloth Bruce Lee explains the first feature of an effective
practice of Kung Fu: getting to know and dipping into the fluidity of water-
to defend oneself and to attack at the right time. The watery body and emotions
of the young female and male protagonists start flowing onstage. The Flemish-
Italian group leads us to a virtual zone, midway between a fashion parade and
a set of "truth"TV- exploring its own passions through a powerful
acoustic fluid, well provided with microphones. The whole work generates a "simil-liquid"
effect, where little tear-, sweat- et al.- drops merge and smear traces of apparently
static forms of writing- confirming their poetic-ironic mark. Their most successful
feature is when it doesn't dry up in already known stereotypes about adolescence
but when it enters in the slant freshness of their looks "in progress":
like when an Italian girl admits that her demenour alters with different interlocutors,
herself or the headmaster, for example. In this case the rhythm of the video
in the background confirms the transformation with its beautiful live elaboration
and, more generally, intereacts with the humid bodies and "un"ripe
words and creates an effective punctuation. The enthusiasm of the audio technicians
below the stage following the building up of music like d.j.s floods past assigned
borders. One of the last video images, of the traditional grandmother who admits
she didn't feel uneasy during the "show" but, on the contrary, keeps
heartedly laughing (also with the ironic repetition of the video effect), confirms
that being liquid, swimming inside pools of identity-even if dealing with drugs
or others- in order to go on, doesn't create ghettos, but enriches growing and
communication. Congratulations, then, to everybody; special congratulations
to the plump girls, one of which with an outstanding voice; it is them who especially
embody the overtaking of the theatre over the imperialism of thin bodies. Stefania
Zampiga Davide Venturini s.zampiga@comune.prato.it
Giovani
ritratti in video
Al di fuori dell'asfittico mondo del teatro e dell'arte italiana è evidente
che in paesi più culturalmente aggiornati del nostro si stia sviluppando
una riflessione più profonda sul linguaggio visivo sulle formalità
espressive, soprattutto superando le differenze fra i generi della creatività
e le forme più attuali della comunicazione. Uno dei pochi luoghi in Italia
dov'è possibile incontrare i segni più nuovi di questa riflessione
internazionale è il festival in teatro di Polverigi, e non va dimenticato
che negli anni passati qui si sono visti per la prima volta personaggi come
Ian Fabre, il sudafricano William Kentridge (ora alla Biennale di Venezia con
un videocartone animato) o Alain Platel. Proprio dallo stesso ambito creativo
di Platel esce quel terzetto di giovanissimi che ha aperto ieri sera l'ultima
edizione della rassegna nel paesino anconetano. Il regista Pol Heyvaert a poco
più di trent'anni, mentre l'elaboratore dei suoni Jonas Boel e il videomaker
Felix van Groeningen sono under 25. Arrivano dalla città fiamminga di
Gent, con l'etichetta "Victoria", il centro di produzione che ha dato
vita a diversi fenomeni nuovi dello spettacolo e dell'arte, puntando sempre
sui nomi sconosciuti, se si pensa appunto che lo stesso Platel aveva creato
in questa struttura il suo Bernadetije con dei ragazzi del luogo, poi portato
appunto qui a Polvergi e in altre piazze italiane. Il terzetto di giovani belgi
lavora con quaranta adolescenti costruendo un happening intitolato "Best
of " Kung Fu. Ma qui si è chiesto loro di lavorare con una parte
del gruppo originario e una parte di giovani del luogo, tutti senza alcuna esperienza
né velleità teatrale. In scena sono loro, semplicemente, a rappresentare,
o meglio a esporre se stessi, lasciando a noi il compito di cogliere, se vogliamo,
i segni comuni che possono fare da indicatori di una generazione. Ma il vero
gioco è un altro: inserire a pieno questi ragazzi in quell'universo di
cui sono quotidianamente partecipi, calarli completamente nella complessità
dei linguaggi che proprio di quella generazione sono tipici. Luci da discoteca,
passerelle da sfilata da moda, un grande schermo che fa da sfondo sul quale
passano le immagini più varie, dal kistch televisivo a facce e luoghi
della vita di quei giovani, spesso con gusto grafico da pubblicità per
teen-ager, e ancor più spesso rimandano le stesse azioni che accadono
in palcoscenico riprese nel dettaglio di un primo piano. Cantano canzoni di
Eros Ramazzotti o ballano su un brano di George Michael. Ma tutto questo miscuglio
di comportamenti, di atteggiamenti, di frammenti visivi e sonori, viene riproposto
senza esibizione, senza caricatura, senza neppure ironia. E' un vero e proprio
sistema di comunicazione e di senso, è il linguaggio di questi giovani,
qui presentato così, in maniera acritica, senza sovrapporvi un giudizio
di alcun tipo, né chiedendone uno a noi. Lo spettacolo scorre piacevolmente
in questo modo, con i giovani che che si fanno inglobare da suoni , luci e visioni.
A tutto questo aggiungono loro brevi riflessioni, racconti, aneddoti, pensieri,
anche qui senza la preoccupazione di dover dire qualcosa di importante, ma riportando
soprattutto quello che sembra essere il problema di fondo di tutti loro: il
rapporto con la propria identità, la difficoltà nell'osservare
gli aspetti contraddittori della propria interiorità, riflettendo così
in maniera ancor più efficace la complessità del mondo che gira
loro intorno e che non da risposte ma soltanto segni confusi. Riportiamo frammenti
di sentimento, parlando di amore, di morte, di sesso, di violenza. Un solo esempio:
una ragazza esegue una canzone di Amy Stewart con grande impegno, e poi si ferma
per dirci che è una canzone stupida tratta da un film ancor più
banale, ma che lei la canta perché tutti le dicono che lo fa molto bene.
E, in fondo, per capire il rapporto di questi ragazzi con la stessa rappresentazione
del loro universo e la loro capacità di viver riproducendulo, con semplicità,
basta vederli dopo lo spettacolo, continuare a ballare e a giocare a ritmo di
dance fino a notte alta. Antonio Audino da "Il
sole 24 ORE" del 4 Luglio '99
A
colpi di "Kung Fu" - I segreti di una generazione
Dopo ventidue anni il festival di Polverigi, Inteatro, conserva un inconsueta
freschezza, a differenza di altre manifestazioni, anche di origine più
recente. Sul colle retrostante il promontorio del Conero, il festival è
negli anni cresciuto e consolidato, da una parte tenendo stetti i sui vincoli
con le istituzioni straniere (che significa consigli e indicazioni preziose,
con la sicurezza che ogni anno a Polverigi ci sia "almeno" una cosa
imperdibile) sia trovando un proprio status privilegiato nella promozione della
danza, così come è sancito ora anche dai contributi ministeriali.
Velia Papa indomita direttrice di inteatro, ha puntato così su una vetrina
eterogenea, dove non mancano gli spettacoli propriamente teatrali (dalla Tempesta
napoletana di iodice ai polacchi ubueschi di Martinelli), ma in cui la danza
propriamente detta si mescola a quelle forme contaminate che sembrano oggi esprimere
la più avanzata spettacolarità europea. C'è quindi Adriana
Borriello, che mentre prepara con Polverigi una produzione per ottobre a Jesi,
mostra la Tammorra costruita sugli scavi e le reinvenzioni etnomusicologiche
di Francesco De Melis; ma Antonella Bertoni e Michele Abbondanza mescolano il
proprio lavoro coreografico e quello drammaturgico di Bruno Stori e Letizia
Quinta Valla. E Francesca Lattuada, dal suo "esilio" parigino, torna
per "danzare", immobile per quarantacinque minuti, al suono del proprio
canto in cerca delle proprie radici. Di quanto i diversi linguaggi possano risultare
intrecciati, testimoniano i due spettacoli che nello scorso week end hanno aperto
la manifestazione. La compagnia svizzera Alias, che ha come mente il brasiliano
Guilherme Botelho, fedele al proprio nome conduce un singolare percorso sull'identità
dell'io, i suoi stati le sue illusioni, ottiche e di giudizio. A partire da
una bellissima sirena dalla trasparente e plastica coda d'ordinanza, i quattro
danzatori si passano gli interrogativi e i pezzi di virtuosismo come in un girotondo
schnitzleriano. Qualche rischio di ripetitività a spirale, ma una coreografia
di tutto rispetto.
Di ben altro impatto Kung Fu. Best of che per la compagnia fiamminga belga Victoria
(la stessa di cui abbiamo visto meraviglie realizzate da Alain Platel) ha messo
in scena Pol Heyvaert. Quaranta ragazze e ragazzi scatenati ci srolotano davanti
un defilè tanto formale quanto aggressivo con la benedizione iniziale
di Bruce Lee, questo Kung Fu e un cazzotto che sa anche di moda, di fotografia,
di danza sulle punte e di videoclip visto che le immagini riprese dalle tre
telecamere vengono a loro modo restituite dal fondale, dove pure appaiono altre
icone pop e scritte tanto eloquenti quanto spezzate e apodittiche.
"Le ragazze sono complicate" recita una, e una fanciullona paciosa
spiega come lei preferisca succhiarne due per volta. Non tutti sono così
sfacciati, perché l'altra che canta il tema potente di Whitney Houston
da Body guard, quando si interrompe confessa quasi piangendo di odiare in realtà
quel film, che chissà a quale fraintendimento traditore la riporta.
A tempo di defilè insomma si susseguono confessioni incoscienti e autocoscienze
plurilingui. Il sound è nel corpo quello stesso che porta il segno della
periferia e della commistione. E' una radiografia generazionale, irresistibile
e sincera, quella ci sfila davanti, e le sue verità, sgradevoli o originali,
sa davvero mollarle con l'agilità e la precisione del Kung Fu più
intimo. Gianfranco Capitta da Il Manifesto del 7 luglio
99
Il
Dentro del mal di vivere eil Fuori del glamour
Una volta, mi ricordo, i giovani volevano essere rock-star. I Magazzini, allora
ancora Criminali, intessero una loro performance su questo desiderio. Mi ricordo
Pierluigi Tazzi, alla consolle, urlare dalla barba rossiccia ai mille microfoni
quella comune aspirazione. Oggi l'oggetto di brame è il dee-jay. L'uomo
che conduce la dance. Il tribale sciamano tutto decibel di suono e voce. I progettisti
dello spettacolo "Kung-fu. Best off" - agli altri miti dell'oggi:
top-model, fulgore fisico, sesso facile - hanno voluto dare spazio ad un minimalismo
narrativo, decisamente in contrasto con la ritualità mega di rave, sfilate,
films giallo-spy. Ne nasce uno spettacolo che, sulle voci dei protagonisti (tutti
allo stesso stato di comprimarietà), pone l'accento sul dentro e l'esterno.
Ove il Dentro è i piccoli-grandi problemi del crescere, del vivere, che
permangono onnivori sullo smart: sul glamour del Fuori. "Best of",
nella confezione giocata sugli opposti , ci segnala una nuova "maniera"
per una narrativa teatrale. GSB
Aspettando
le sorprese
Inteatro terza giornata proponeva, lunedì scorso, due gruppi, uno di
danza e l'altro di teatro, segnalati entrambi nel programma per una carriera
punteggiata di premi e riconoscimenti: gli Arbalete di Genova e i Rosso Tiziano
di Napoli. I primi, al Parco, presentano in prima assoluta un lavoro scenografico
, "L'aperto", che ha per tema lo spazio interiore e l'ignoto, sviluppato
per spunti disparati che portano il segno della guerra, della morte, dell'amore.
La resa scenica dei diversi movimenti è frammentaria e irrisolta in ogni
sua parte (anche quando l'ispirazione è data dai versi di scuola siciliana
sulla battaglia tra cristiani e saraceni) a cominciare dall'uso povero dell'apparato
tecnico (e dire che hanno vinto il premio Giovani Autori al concorso di video
danza Stabat). Un'illuminazione dispersa, un ridotto fondale celeste, un'acustica
insufficiente. Costumi, maschere e oggetti di scena poco significativi se non
addirittura riduttivi quando sul mitico brano di Domenico Modugno "U piscispada"
la fiocina e il pesce simbolicamente rappresentati non rendono alcuna giustizia
drammatica della struggente vicenda di amore e morte. Coreograficamente, infine,
non c'è affondo né grottesco, né fantastico, né
passiononale.
Dai liguri ai partenopei di Rosso Tiziano non si registrano salti di qualità.
Se al Parco una piacevole brezza compensava l'andamento dello spettacolo, al
chiuso del cinema Italia la prova si faceva davvero dura. L'aria all'interno
era completamente consumata, il senso di soffocamento minava la concentrazione
dei trenta spettatori ammessi alla festa di matrimonio di Otello. Tarallucci,
agrumi e vino per il pubblico davanti ai cui occhi calava materialmente la rete
delle pericolose allusioni creata da Jago per suscitare la cieca gelosia del
generale Otello. La tragedia scespiriana, scelta dalla giovane compagnia campana
come primo testo classico di teatro, non trova altra necessità di essere
rappresentata se non la buona interpretazione di Jago e lo lo sguardo limpido
e innocente della rossa Desdemona. Un burattino ( o guattarella), il pubblico
limitato, gli oggetti di scena (un tavolo, delle panche, le reti calate dall'alto
e una finestra con ingiustificate ombre cinesi), la musica dal vivo, la diversità
di un Otello dal viso vistosamente colorato di scuro sono elementi che la regia
collettiva dello spettacolo (Fabio Cocifoglia, Alessia Innocenti, Antonio Marfella,
Alfonso Postiglione) non riveste di senso aggiuntivo a una lettura centrata
sulla figura di Jago. Forse a questo storico festival internazionale cominciano
a mancare le basi su cui continuare a lavorare. Forse gli appelli di Velia Papa
per la salvaguardia di un patrimonio sovraregionale che rischia l'estinzione
andrebbero ascoltati o almeno valutati seriamente, adesso. Con questo non si
vuol certo dire che l'attuale edizione non ha motivo di esistere. Inteatro per
sua natura riserva sempre inaspettate sorprese e ci sono ancora cinque giorni
perché accada anche quest'anno.
Stasera, "I polacchi" di Marco Martinelli alle 20,30, "Valzer"
dei parigini Quat'Zarts alle 22,00 e "The gas heart" del newyorkese
Big Dance Theater alle 23,00. Maria Manganaro da il
Corriere Adriatico del
7 luglio 99
Tornano
le gradite sorprese
I conti tornano a Polverigi con la buona danza di Francesco Scavetta e il curioso
omaggio al dadaismo del Big Dance Theatre di New York.
Arioso, elegante e complesso, lo studio per "A Tiny grin - Progetto per
una grande serra", del coreografo italiano che da qualche anno ha fondato
a Oslo una nuova compagnia con danzatori norvegesi, è la visione fantastica
di un giardino inteso come labirinto. Senza alcuna ovvietà e con apparente
semplicità, la scena rivestita di moquette verde comprende due alte siepi
sul fondo, un colorato fiore elettrico sotto vetro e una bizzarra figura umana
con tuta di plastica e bicchiere in proscenio. Una giovane donna con abito a
fiori entra passando tra le siepi, ha negli occhi e nei gesti la meraviglia
di Alice e l'allusione al personaggio di Lewis Carroll prosegue con un divertente
gioco sugli oggetti del cricket. Finalmente non c'è filo narrativo nello
spettacolo, né pantomimiche azioni ma immagini belle, del tutto funzionali
alla danza dei sei bravi danzatori (Heine Avdal, Mette Edvarsen, Gry kippenberg,
Francesco Scavetta, Yukiko Shinozaki, Kristina Oren). Spiritoso in molti momenti
(dei quali mi piace ricordare il giochetto delle mani e dei numeri della danzatrice
giapponese che saluta con un doveroso e comico saionara) questo studio (magari
tutti i lavori finiti raggiungessero la sua stessa qualità) si basa sulle
ottime musiche originali di Nils PetterMolvaer. Lo spazio è disegnato
da un'illuminazione che efficacemente sottolinea il gioco tra il naturale e
l'artificio Un piacere per l'occhio e per l'orecchio, insomma. Aderenza coerente
al tema anche nei complicati cambi scenografici resi essenziali sia alla danza
che all'immagine di un giardino delle meraviglie dove tutto si trasforma creando
inusuali prospettive. Vivo e inanimato si confondono nel gioco di illusionismo
che, oltre ai danzatori, comprende un fantoccio a cui è dedicata la canzone
finale dal vivo. Uno lavoro raffinato che ricorda Carolyne Carlson ma ha una
sua propria originale tenuta.
Dal Parco al Teatro della Luna senza rimpianti per assistere a "The gas
Heart", tratto dalla commedia surrealista di Tristan Tzara e messo in scena
da Paul Lazar e Annie-b Parson per il Big Dance Theatre. Lo spazio scenico è
delimitato da un quadrangolo regolare evidenziato da segni bianchi sul pavimento.
Per isotropia, la forma della scena si estende alla platea creando un corpo
unico all'azione teatrale. Un tavolo rotondo e sedie con rotelle stile anni
Venti per i sei attori-danzatori che, con la millimetrica precisione tipicamente
statunitense, orientano persino lo sguardo. Dal testo di uno dei padri del movimento
dada scaturiscono le relazioni fantastiche tra i personaggi che programmaticamente
perdono la loro stessa definizione di occhio, bocca, parola o sopracciglio.
Ruoli sregolati, privi di fissità, secondo i canoni del dadaismo in dialettica
opposizione al rigore formale di uno spettacolo confezionato ad arte. Di aristocratica
eleganza, in bianco e nero, donne puledro o megafono e autori alle macchine
da scrivere producono poltiglia di senso con humour e disinvoltura di passi
(talvolta molto complicati) su dialoghi improbabili e incomprensibili detti
tra l'inglese e il francese. In programma di sala consiglia di affidarsi al
ritmo senza sforzarsi di comprendere le parole. Il risultato è notevole
ma soffriamo un po' l'incapacità di ascoltare il non sense di una commedia
che si apre con "Clitennestra moglie di un ministro, guardava alla finestra"
per chiudersi con l'invito al pubblico di andare a dormire.
Stasera, alle 21,30 Libera mente da Napoli in "La tempesta - Dormiti gallina
dormiti"; alle 21,30 con replica alle 22,30 Beat 72 da Roma in "Il
linguaggio della montagna" con Rocco Papaleo e Antonio Catania; alle 23,00
El Knap di Ljubljana in "Gina and Miovanni" (Per informazioni e prenotazioni
, tel. 071.909.00.07) Maria
Manganaro da il Corriere Adriatico del
8 luglio 99
Un
coinvolgente Valzer
A Polverigi, per il terzo anno consecutivo, una scatola nera telematica registra
pulsazioni e aritmie del Festival .Tutti gli spettatori entrando nel sito www.teatron.org
( oppure www.fastnet.it/associazioni/inteatro)
possono tradurre l'esercizio dello sguardo in notazioni emotive o critiche,
contribuendo a creare una memoria che va al di là dell'informazione giornalistica.
Ogni anno di più, l'esperienza va delineandosi come diario rivelatore
dell'andamento della manifestazione , utile agli organizzatori ma dotato anche
di valore autonomo.
Oltre che il ricordo di coloro che vi hanno fisicamente preso parte, l'eroica
esperienza degli spettatori del soffocante cinema Italia, per esempio produrrà
ulteriori sensazioni agli occasionali visitatori del sito a carattere permanente.
Mercoledì scorso, nella sala del cinema che , secondo le promesse del
sindaco balducci, diverrà preso un accogliente spazio teatrale, le Albe
afro-romagnole di Ravenna inscenavano " I polacchi". Lo spettacolo
che da qualche anno gira con grande successo in Italia, è tratto da l'Ubu
Roy di Alfred Jarry, riprendendo il primo titolo del capolavoro concepito ed
elaborato un secolo fa sui banchi del liceo. La scenografia delle Albe si sviluppa
come un lungo tridente ligneo, le cui punte affondano lungo tutta la platea,
fra gli spettatori assimilati a turisti giapponesi cui è consentito di
fotografare senza compromettersi. Naturalmente non è così facile
uscire indenni dai corto circuiti innescati dal regista- drammaturgo Marco Martinelli
che contamina i classici con la mostruosità del quotidiano. Medar e Pedar
Ubu sono interpretati dalla straordinaria ermanna Montanari e dall'attore senegalese
Mand Jay. I dodici palotini sono ragazzi-personaggio allevati nella non scuola,
dove Marco Martinelli insegna non tecniche teatrali. Prodotti dall'energia debordante
dei palotini, i due avventizi tiranni sono due marionette di insaziabile ferocia.
Lei bianchissima dai capelli al viso, alla tunica, si muove a scatti e parla
un rigido dialetto romagnolo. Lui col ventre pieno , è l' arroganza della
stupidità fatta potere. L'atmosfera è plumbea e nebbiosa, è
quella del Museo Ubuniversale da cui emergono molti dei nostri molti dei nostri
inguaribili mostri. La via del tradimento porta all'autenticità anche
la compagnia parigina Quat'Zarts che affronta il tango come metafora dell'incessante
giro della vita , circolare come un "Valzer" secondo il titolo che
che la coreografa Catherine Barbessou ha dato al coinvolgente lavoro. Nel palcoscenico
, coperto di terra, è lo spazio tra le baracche di legno degli immigrati
in Argentina, dove la passionale danza è nata più di un secolo
fa. Violenza sottomissione ed esposizione del corpo ai danni della donna segnano
l'inizio dello spettacolo, interpretato da otto bravissimi danzatori. Da Gadel
alla rumoristica industriale, il tappeto sonoro e ambientale concentra i diversi
momenti ( e sviluppi) storico culturali del tango. Desiderio seduzione, solitudine,
complicità ( compresa quella fra uomini), rapporti di coppia agiti con
" voluttà dolce", fino ad un fermo immagine che sembrava chiudere
uno spettacolo senza fine e, naturalmente, suggellato da un tango classicamente
ballato. Oggi nella Villa Nappi si svolgerà il terzo incontro internazionale
intitolato " Il Mediterraneo dei teatri". Maria
Manganaro da il Corriere Adriatico del
10 luglio 99