Scriveva un soldato che del suo mestiere si intendeva, il prussiano
Helmuth Von Moltke:
"La critica più tagliente riguardo a operazioni belliche
è la semplice, minuziosa ed esatta narrazione di come si
sono svolti i fatti".
E il diario di Giovanni Bussi detto Gasàn ci ha appassionato
fin dall'inizio per questa ragione.
Ci porta al centro di avvenimenti fondamentali per la sua e la nostra
storia con lo stile di un sarto (era il suo mestiere) che con cura
e silenzio ti cuce addosso l'abito, rimodella una tasca, precisa
un orlo, accarezza la stoffa.
Un diario sobrio, asciutto, mai ridondante, che diventa, senza volerlo
(ed è questo a rendercelo ancora più interessante),
una sorta di controstoria di quella ufficiale, patriottarda e retorica.
E' la storia vista dal fante, da uno di quei fanti contadini che
popolavano le trincee e che morivano negli attacchi all'arma bianca
o sotto le bombarde nemiche: vera carne da cannone macinata dai
signori della guerra sabauda.
E' la storia non deformata dalla memorialistica dei generali o da
rievocazioni narcisistiche.
Sì, il senso esatto della guerra, la precisa dimensione umana
e politica del grande carnaio che andò dal Grappa all'Ortigara,
dall'Isonzo al Piave, sta nella memoria del fante, "nelle
sue giberne" (Piero Jahier), nel ricordo strozzato di chi
non aveva né gli strumenti culturali né, soprattutto,
il permesso per esprimerlo e portarlo alla luce.
Gasàn ci ha provato, aggirando la censura, mettendoci il
suo sapere, chiedendo che il suo diario fosse pubblicato.
E il risultato è un "pezzo di Novecento" come dice
Grimaldi che ne ha curato l'uscita.
Noi abbiamo voluto metterci al servizio di quelle parole, di quell'esperienza
umana che esse tratteggiano, anche se non abbiamo conosciuto la
guerra, quella guerra.
Abbiamo pensato che parlare di quella guerra posta all'inizio del
ventesimo secolo (uno dei secoli più crudeli che "l'umanità"
abbia conosciuto) poteva farci e far riflettere su quello che sta
ancora succedendo oggi nel mondo, sull'odio ancora vivo e presente,
sulle assurdità degli attuali massacri.
Parliamo dunque di Gasàn, di questo amico langhetto, ma parliamo
anche di tutti i fanti (palestinesi, israeliani, afgani, americani,
ecc.) che ancora oggi combattono, con armi più o meno
simili, per delle guerre inutili.
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