Sette pensieri per il Cantiere Orlando
1. Persi. Disorientati. In fuga o all'inseguimento, precipitati in una carta geografica senza centro, dove Africa e Oriente sono immensi e senza fondo. Guerrieri innamorati e furiosi, vergini che scappano per non essere stuprate, incantatrici, amazzoni, re rimbambiti, cannibali, sciamani, mostri. La porta dell'imprevedibile e del meraviglioso che si spalanca per incanto, per caso, sotto i piedi, e inghiotte.
2. I poemi non sono "romanzi di formazione", bensì labirinti di deformazione. Tutto si allarga o si restringe, tutto è fuor di misura. I burattini giganteschi del Pulci, i "gesti smisurati" dell'Orlando innamorato, "l'immenso libro" del Folengo, la follia del paladino in Ariosto. Non c'è psicologia, solo maschere: per questo ci attraggono, per questo ci ritraggono. Fantasmi: la prima parola del primo verso dei dodicimila che compongono il Baldus è "phantasia". In un itinerario che da Folengo passa per Rabelais e arriva a Jarry.
3. Ma non è l'italiano cristallino del monumento ariostesco, sono le tante lingue sporche del Folengo e del Boiardo quelle che ci hanno tentato. Sono i margini del barbarico, sono i geniali fuori regola, i dimenticati.
4. Lo spazio, a teatro, è l'arca, il segno che contiene tutti gli altri. Il Cantiere Orlando utilizzerà spazi differenti per le sue tre opere: il teatro all'italiana come luogo onirico dell'Alcina, dove la pittura e le luci al bengala di Dosso Dossi imitano i poteri dell'incantatrice, facendo apparire e scomparire le figure, trasformando i cavalieri in cani, anticipando l'ironia dei surrealisti; il "covo dei briganti" per il Baldus, un antro limitato di pareti scrostate per pochi spettatori, vittime e ostaggi dei malandrini padani; infine un grande spazio ad arabesco per gli insani percorsi dei paladini dell'Innamorato.
5. Per che cosa impazzire? Per che cosa ammalarsi? Il dio dello spreco scombina i piani di tutti, e non fa dormire.
6. I poemi cavallereschi sono il nostro Shakespeare, il nostro gran teatro rinascimentale, selve lussureggianti di farsa e tragedia, meraviglie dell'amore e dell'odio. I poemi attraversati e saccheggiati, un soffio di tempesta, un continuare a dipingere farfalle e fantasmi in questa miserella civiltà del bilancino, polis planetaria strozzata dalla ragione ragioniera.
7. Dietro di noi, dietro la pagina dei poemi, si snoda la catena dei "senza nome", istrioni e canterini cui i grandi scrittori debbono tutto, gli spettri di chi per secoli ha narrato in ottave questi arazzi, tessitori di parole e canto.
Marco Martinelli
Ermanna Montanari