IL PENSIERO PENSATO CON LA SCENA
di Antonio Attisani

Il teatro, si sa, ha valore nelle eccezioni più che nelle regole. In questo senso il Théâtre du Radeau sta ai gruppi della ricerca come Carmelo Bene alla grande tradizione attorica europea. Ossia: hanno qualcosa in comune con altri, una concezione generale dell'arte teatrale che li distingue, e polemicamente, da chi intende il teatro come intrattenimento, mestiere o didattica, ma rappresentano dei casi e dei risultati talmente alti e originali da fare teatro a sé. Eppure il Radeau è nato, negli anni Settanta-Ottanta, nell'ambito di un movimento, quello appunto dei gruppi, dei giovani professionisti che si sottraevano al destino di scritturati per essere autori del proprio teatro e della propria vita.
Radeau significa "zattera", così si chiamava il gruppo ancora prima ancora che arrivasse François Tanguy, ma è con lui che prende inizio l'avventura dei naufraghi della scena, l'umano errare alla ricerca di un teatro che dovrebbe essere incontro tra un pensiero profondo e un pubblico motivato, o comunque vivo, non abitudinario. Con François Tanguy alla guida, e il porto-rifugio stabilito a Le Mans - dunque lontano da quella Parigi onnivora e spietatamente mondana dove da molto tempo il pubblico è soltanto una decorazione del salotto mediatico - la zattera si confronta dapprima con Don Juan di Molière (1982). Sono in pochissimi a vedere Don Giovanni, Sganarello e Donna Elvira in aperta campagna, sommersi dal sole e dal grano maturo. Chi scrive non ne è stato testimone diretto, ma questa opera, che viene poi ripresa con Tanguy nei panni del protagonista, con il suo contrasto tra ambiente naturale e personaggi teatrali, annuncia quella che sarà una costante del gruppo: la tensione tra il teatro e il suo doppio, la vita, tra i materiali "alti" della drammaturgia e della letteratura, da una parte, e dall'altro un riutilizzo poetico di ciò che appartiene al mondo "basso", sia per quanto riguarda i materiali di scena, primo fra tutti il legno (e la mobilia, le tappezzerie, i quadri, le luci domestiche...), sia per il senso dell'ironia, del frammento e del collage che caratterizzano le figure di scena come degli objets trouvés. Per questo la consonanza profonda con Tadeusz Kantor e la sua poetica sarà per la giovane compagnia francese una scoperta e non il risultato di una influenza del maestro polacco. Anche il loro metodo di composizione scenica è analogo all'informale kantoriano. Mentre lo stile che caratterizza il Radeau fino da allora si potrebbe definire una originale variante del grottesco, ovvero un intreccio di elementi bassi e quotidiani con elementi dell'ordine del mostruoso e del singolare. L'idea sembra essere non tanto quella di mettere in scacco il realismo, quanto quella di mettere a fuoco una nozione di realtà che vada oltre il senso comune.
I primi quattro anni di viaggio sulla zattera sono anni di apprendistato artistico, il mare del teatro viene solcato da titoli come L'Eden et les cendres, Le retable de Séraphin e Le songe d'une nuit d'été di Shakespeare (quest'ultimo il meno riuscito a causa di alcune disavventure produttive). L'opera teatrale con cui Radeau si presenta al più ampio pubblico e che, fatalmente da Parigi, si impone all'attenzione internazionale è Mystère bouffe (1986). In un chimerico mistero medievale, con un fittissimo parlato in una lingua inventata (gramelot), il Théâtre du Radeau riesce a sintetizzare sul palcoscenico la propria poetica, caricata anche di effluvi musicali lontani, di gag elementari e di malinconia.
L'anno successivo è la volta del confronto con un altro mito del teatro, Jeu de Faust. Senza temere il confronto con la coeva impresa di Strehler e con il testo goethiano. In proposito gli osservatori di professione notano dei riferimenti a Brueghel il vecchio e la ripresa di suggestioni dei personaggi "erranti" di Beckett.
Il linguaggio teatrale degli zatteranti comincia a formare un proprio pubblico fedele e attento. Il loro teatro intenso e fluido, fatto di innesti di legno, di spaventapasseri, di piccoli sipari, di lingue mescolate e non udibili viene definito "una genesi monumentale che dà come frutto una allegoria permanente del materiale teatrale [...] Questa capacità (rara) di rifare davanti agli spettatori una storia del teatro molto personale è davvero impressionante", scrive "Libération". Con Jeu de Faust prima e poi con Woyzeck - Büchner - Fragments forains (1989) Radeau affronta i pubblici di tutta Europa. Nel caso del Woyzeck, Radeau non lavora sul testo di Büchner (un inedito ricostruito, com'è noto, da altri), ma sui diversi manoscritti dell'autore, usandoli come materiale di scavo. La rappresentazione inizia con l'omicidio di Maria, poi ripetuto diverse volte. Ai nostalgici delle narrazioni avvolgenti si possono ricordare le parole di Tanguy: "Senza falda freatica non ci sarebbe l'acqua corrente. Così, partire da elementi di superficie per tentare di costruire una trama non offre una immagine corretta del mondo. Bisogna partire dal caos".
Chant du bouc (1991), una coproduzione che coinvolge tra gli altri enti il prestigioso Festival d'Automne, riprende temi e figure della tragedia ellenica. Lo spettatore si trova anzitutto di fronte a una Scena, una costruzione che la compagnia predispone durante le prove e che continua a modificare incessantemente. Questo lavoro crea una situazione percettiva di incredibile intensità. Il luogo si trasforma di continuo, ogni minima variazione di luce crea un evento, alludendo alla piazza o alle stanze del potere, ai cortili o alle cucine delle case. Il risultato sarebbe impensabile con una scenografia concepita diversamente e non costruita assieme a tutti gli altri elementi, testo compreso. Lo spettatore abita mentalmente un mondo di legno, luce e stoffe ruvide situato dietro lo specchio della realtà, un mondo di esseri umani ridotti alla loro essenza mortale, un girone infernale abitato da figuri lamentosi e rimuginanti, sofferenti e accidiosi, sempre avvolti in se stessi. Ogni miseria umana diventa così un universo e si assiste, attraverso la evocazione di lacerti da Agamennone, Antigone e altre tragedie, alla rappresentazione della impotenza di una Logica che ormai sembra solo capace di mettere con ottime ragioni tutti contro tutti.
Con il successivo Choral (1994) si concentra l'attenzione su Kafka, dilatando l'inquietudine dello scrittore praghese nel gioco appunto "corale" del teatro, nel meccanismo dove si comunica con una lingua fuori della lingua e senza lingua, ribadendo un codice poetico di straordinaria emozione: "un racconto senza parole in un mondo aereo, crudele e leggero, un mondo di disequilibrio, obliquo, dove uomini in costume nero e donne vestite di bianco inciampano, perdono il piede e acquistano ali d'angelo", scrive Colette Godard su "Le Monde". Choral consacra definitivamente la compagnia come la novità più significativa del teatro francese dai tempi del Théâtre du Soleil di Ariane Mnouchkine, recitano le cronache.
Radeau nel frattempo ha lasciato il garage - dove gli attori, per il freddo, erano costretti a provare con il cappotto - per una fonderia, diventata in poco tempo un luogo di lavoro e di vita per molti naufraghi del teatro di tutta Europa (tra gli italiani: Teatri di Vita e Egum Teatro). Da qui è partito un movimento di sostegno agli artisti bosniaci durante la guerra nella ex Jugoslavia, che nel 1994 è giunto alla creazione di un festival internazionale nella Sarajevo assediata.
Segue Bataille du Tagliamento (1996), opera che prende ispirazione da un frammento dei diari di Kafka: "Sogno della battaglia sul Tagliamento. [...] Come andrà a finire? [...] Certo andiamo male e non si riesce a capire come possa mai andare bene, come essendo soltanto uomini si possano mai sopraffare altri uomini che hanno la volontà di difendersi". L'opera si chiude con una sequenza ispirata all'Antigone tradotta da Hölderlin. L'eroina sofoclea, esprimendosi nel tedesco del poeta, afferma che "la vita è morte, la morte è anche vita", appena prima di suicidarsi. La "battaglia" in realtà si arresta sulla soglia del caos. Ma l'idea che la morte sia anche vita, nel contesto della terza parte di quello spettacolo, si riferisce palesemente alla biunivocità del caos, da una parte situazione angosciante e incontrollabile, nella quale risorgono i peggiori istinti che caratterizzano l'umano in quanto tale, dall'altra potenzialità "freatica", disordine pestifero e dunque punto di riferimento per una nuova ragione.
La produzione proposta a Venezia è un Orphéon (1998), nato nella tenda e non rappresentabile altrove. L'intero spazio è allagato da una surreale luce diffusa, che non appartiene né al teatro né alla realtà né al sogno, ma forse a un ideale di nudità e di verginità. Denudato è infatti lo spettatore di ogni abitudine percettiva e regola teatrale (volumi, spazi, prossemica, niente torna in questo senso) e le figure convocate a recitare schiudono significati nuovi dei rispettivi testi proprio per la verginità estraniata con cui li porgono. Amleto, Macbeth e Ofelia, la Pentesilea kleistiana, la coppia pirandelliana del Conte e Ilse, e tutti gli altri non sono più i personaggi che conosciamo, sono piuttosto delle funzioni (come nelle fiabe, secondo Vladimir Propp) o dei personaggi concettuali (se si utilizza il lessico deleuziano): parlano cioè della verità e della realtà (e del teatro), dimostrando al tempo stesso l'impossibilità di determinarle e il bisogno di farlo; sono insomma strumenti di una quête esistenziale, non solo teatrale. Una distesa di tavoli, di quinte e di spezzati, panorama di oggetti d'uso comune che riconquista una ambigua bellezza, consente di creare una varietà pressoché infinita di piani e inquadrature; lo stesso accade con le luci e le partiture vocali e musicali, esaltando la povertà del teatro - come sentire di un pianoforte che è fatto di legno e ferro - in una vasta gamma di possibilità percettive risvegliate. Allora la nudità dello spettatore si rivela per quello che è, una apertura dei sensi, un canale di comunicazione tra l'interno dell'artista e l'interno di chi ha accettato la convocazione. Tutti facendo parte del medesimo corpo-mente, nostro eppure sconosciuto, territorio da esplorare.
In Orphéon lo spettacolo offerto è quello di una rivoluzione. L'interno mentale nel quale lo spettatore viene calato è anche uno spazio cosmico e gli attori, le quinte che si spostano, i movimenti di luce e le apparizioni di suono, sono come le stelle, i pianeti, le meteore e le multicolori esplosioni gassose a cui si assiste nello spazio siderale. Ogni spettatore comprenderà come la scena creata dal Radeau riesca a moltiplicare e potenziare alcune peculiarità del cinema (la varietà di piani e inquadrature, per esempio): infatti qui un primo piano può essere vicino o lontano, e un totale può svolgersi in primo piano o sul fondo, mentre un volume, musica rumore o voce, può essere sincrono o meno rispetto alla posizione della figura cui si riferisce; e tutto ciò conservando la peculiarità del teatro, consistente nel sottoporre allo spettatore non la sola immagine inquadrata dalla macchina da presa, ma sempre un intero set, da esplorare con lo sguardo e l'udito. Si esplicita così un assunto non secondario del Radeau, la volontà di "mettersi all'ascolto" (M. Foucault sosteneva, alludendo forse senza volerlo alla meditazione, che "la catatonia muove il teatro del pensiero") o di praticare una sorta di "pietà" nei confronti del reale (auspicava G. Deleuze nel medesimo saggio, del 1968).
Sulle tracce di Orfeo il Théâtre du Radeau compone una fiaba nuova, un vero racconto di magia dei nostri tempi, una scena i cui astri mettono in moto i loro corrispondenti neuronici degli spettatori, in un gioco di riverberazioni (riflessi di azioni e parole...) che giova alla salus del teatro e di ognuno. Fa bene perciò Jean-Paul Manganaro a parlare di "materialismi" a proposito del Radeau, e di "gioia", di humour e di festa dell'intelligenza anche a proposito di Orphéon. La liberalità della Zattera è dimostrata anche del suo non prescrivere modelli. E volgere l'attenzione verso Orphéon non significa soltanto riallacciarsi a uno spettacolo o a un gruppo teatrale, ma a un luogo e a un modo di pensare.
Nell'Accampamento si può comprendere appieno quale sia la parentela profonda, la corrispondenza esoterica tra l'opera teatrale del Radeau e la forma di vita foranea, occasionale, intensa e trasgressiva che si svolge in questi territori franchi. Il cuore di canapa (che si trova anche all'interno dei più moderni cavi in acciaio) di ogni singola arte dal vivo diventa qui il filo rosso sangue che unisce linguaggi e comportamenti diversi.
Il Radeau agisce nella Tenda, una grande struttura trasformabile nella quale gli spettacoli possono essere realizzati nelle più diverse dislocazioni (Orphéon si recita in un vasto spazio scenico posto di fronte a una gradinata per duecento spettatori, mentre gran parte della illuminazione proviene da tre lati esterni attraverso pareti semitrasparenti). Nella Tenda vengono frequentemente ospitate altre compagnie affini, come quella di Maguy Marin. Ogni volta che è possibile si allestisce un grande Accampamento (Le Campement) che comprende, oltre alle diverse roulotte e ai veicoli da trasporto, almeno tre altre strutture. La prima è La Botte (Le Tonneau), una tenda rigida con un diametro di circa cinque metri e un'altezza di sette-otto. Qui una trentina di spettatori assistono dall'alto a uno spettacolo che si svolge sul terreno sottostante e anche in verticale. Ne sono autori e protagonisti tre artisti che negli anni scorsi hanno preso parte a spettacoli del Radeau. Si tratta di Branlo, Nigloo e Patrick Condè, i quali attualmente presentano Fianco a fianco. In questa opera cilindrica, una straordinaria inventiva si coniuga con una bravura degli attori che sconfina in un commovente virtuosismo. I tre raccontano una breve storia dal sapore kafkiano, che dapprima evoca gli stilemi passionali del cinema muto e man mano si trasforma nel racconto dello scrittore praghese su Giuseppina la cantante (il suo ultimo testo, inquietante più che mai), per finire con l'acrobatica esibizione di un mostro da fiera.
Si tratta di proposte molto diverse tra loro, accomunate oltre che dalla cornice di alto artigianato di cui s'è detto, dal clima nel quale si ritrovano gli spettatori, un clima festoso e di grande libertà ricettiva, ma nel quale sono proposti segni forti, eventi intrisi di intense emozioni e di pensiero acceso. Nell'Accampamento a cui gli artisti francesi danno vita, c'è anche una Cantina, un luogo nel quale non solo si mangia e si beve bene e a un giusto prezzo, ma si possono ascoltare musicisti di diversa provenienza; e c'è la Baracca (La Baraque) gestita dalla troupe-famiglia della Volière Dromesko. Qui lo spettatore diventa anche commensale e partecipa attivamente a una serata che non è mai uguale a se stessa e che, a parte i "gestori" del locale, vede alternarsi diversi artisti-ospiti. Attualmente la Baracca è animata anche dai Fratelli Forman, straordinaria coppia di burattinai, performer e artisti visivi, figli del noto regista Milos, ma ormai famosi in proprio per i 'miracoli' che riescono a realizzare in ogni campo (i Forman conducono uno straordinario lavoro di sollecitazione artistica dei bambini e li abbiamo visti ottenere dei risultati inimmaginabili anche nella situazione paradossale della Sarajevo assediata).
Descrivere cosa possa essere una serata nell'Accampamento sarebbe illogico, vuoi perché la sorpresa è parte del piacere che se ne ricava, vuoi perché ogni partecipante ne fa una esperienza diversa, vuoi infine perché il programma varia continuamente. L'Accampamento nel suo complesso rappresenta la creazione rigorosa di una situazione che permette realmente l'incontro tra nuove forme della teatralità e un nuovo modo di essere spettatori, laddove la novità non sta in fatti esteriori o anagrafici, ma nella densità culturale di ciò che viene proposto e nella differente disponibilità dei convenuti. Tutto ciò significa, tra l'altro, che gli attuali modi di promuovere il teatro, ben oltre che nelle rispettive debolezze formali, incontrano un limite invalicabile proprio nella incapacità di ripensare radicalmente i modi e i luoghi di incontro con un pubblico composto di singoli spettatori (persone e personalità) e non di lettori-massa. Antonio Attisani