Un modo di dire che può far venire in mente a qualcuno
quei comportamenti vagamente mafiosi che provengono da arcaiche
forme di cortesia barocca se non esplicitamenhte gerarchica. Il
“massimo rispetto” hip-hop si sgancia da quell’origine, si inscrive
in un linguaggio-comportamento che negli ultimi vent’anni ha segnato
le nuove generazioni che esprimono antagonismi senza più ideologismi.
Si ammanta di una sorta di “etica guerriera” che di fatto sdrammatizza
l’aggressività, come sostiene Eibensfeldt all’interno della mia
ricognizione teorica su
“la lingua della violenza”. Tutto questo trova uno sviluppo
ancora più interessante quando si da’ maggior (miglior) forma all’informale
energia ribelle che le nuove generazioni si portano dentro. Questa
miglior forma è generalmente la musica ma in questo caso riguarda
il teatro. Quel massimo rispetto è quindi per Koreja che ha trovato
il modo di coinvolgere il Sud Sound System in un vero e proprio
ruolo teatrale e uno scrittore autorevole, nonchè magistrato simpatico,
Giancarlo De Cataldo, per uno spettacolo capace di far pensare.
Non a caso a partire da questo spettacolo si svolgerà anche una
tavola
rotonda all’Università di Torino che sta raccogliendo anche
buone
attenzioni. Finalmente si entra nel vivo di quella complessità
culturale che sta alla base di questo progetto, si sviscera l’idea
stessa di “teatro e impegno civile”, partendo da “Acido Fenico”
per arrivare a parlare di ciò che Motor definisce il “gangsta
style”, di ciò che riguarda l’informazione biochimica del nostro
essere spettatori in tensione, ovvero l’adrenalina,
come ci fa notare Pat, o di quel “recinto di indifferenza”
che di fatto genera la violenza come ha colto Alessandra. (Carlo)
Edutainment e hip hop
Una delle buone cose che accadono quando si ragiona
con gli altri, quando ci si scambia un pò di quell’energia bella,
mentale e amicale, è che puoi trovare le conferme di idee che ti
ronzano da tempo per la testa. E’ successo all’incontro su la
lingua della violenza che abbiamo fatto all’Università di Torino,
in un’aula magna di Lettere affollata (più di trecento ragazzi!).
E’ successo che Pierfrancesco Pacoda vi ha rilanciato quel concetto
di “edutainment” (di cui parla anche nel suo “Hip Hop italiano”
uscito per Einaudi) sul quale ruolo da tempo (cristo! ci ho fatto
anche un libro...
). E’ una parola strana, nuova, per cui s’intende che dietro l’esperienza
ludica e creativa si rivela una tensione educativa che può formare:
dare forma a ciò che informale e involuto. L’hip hop è infatti quel
codice, quella forma, quel comportamento, quella lingua che riesce
ad emancipare una condizione giovanile che usa la violenza per comunicare
con il mondo. Sparare parole come proiettili: colpendo i bersagli
giusti. Il senso comune. Nello spettacolo “Acido Fenico”, l’hip
hop-ragamuffin del Sud Sound System si colloca alla perfezione nella
storia che ha scritto Giancarlo de Cataldo, altro straordinario
esempio di come un atto creativo, drammaturgico, possa far pensare,
riflettere, educare giocando, partecipando al teatro. Un grande
evento, importante. Lo avevo capito subito quando lo vidi questa
estate a Polverigi.
E pensai a quanto, uno spettacolo come questo, possa combinare di
buono se fosse visto dai ragazzi delle scuole, in particolare quelli
che non pensano minimamente al teatro. Oggi ho saputo che “Acido
fenico” è tra le nomination per il Premio Stregagatto, l’oscar del
teatro per ragazzi in Italia. Wow. Un altro nodo arriva al pettine.
(carlo)
Una voce calda tra voci calde
Sono andata a vedere Acido Fenico. Distratta.
Lo spettatore conserva il diritto di essere distratto, no?
Allora descriverò quello che uno spettatore distratto seduto lontano
dal palco ha visto e sentito.
Visto poco.
Sentito qc di più.
Ho sentito la voce del protagonista, la voce di un uomo caldo che
ha parlato di sé.
Quello che mi è piaciuto di più è stato il racconto dei “troioni
impellicciati”, le dame di carità che isteriche cercano un bambino
povero nella classe a tutti i costi e lo trovano nel bimbo “fuori
dla gruppo” che puzza di acido fenico.
“Mi creda .. io ALLORA sono diventato camorrista” dice il protagonista,
ormai nella versione del pentito, ai giudici.
Dice anche ai giudici “mi faccia raccontare (sott. di me) … poi
le faccio i nomi”: Non è solo una soluzione scenica, ma è il bisogno
dell’uomo di parlare prima di tutto di sé. Dei nomi, del processo,
di quel che ha fatto non gli importa nulla.
Una voce calda in mezzo a voci calde (il coro/l’ambiente). (Daniela)
E' l'ignoranza che crea la violenza
Sangue rosso su lapidi bianche. Una poltrona. Un
uomo zoppica, si muovo nasconde il volto in grossi occhiali scuri,
poggiati su un grosso naso. E' lui, il nemico pubblico numero uno,
è Mimmo Carunchio, l'ultimo dei riconoscibili. Guardatelo bene,
perchè dopo di lui non riconoscerete più nessuno. L'ignoranza produce
violenza, ma mimmo studia. Va sempre di più somigliandoci, non puzza
più di Acido Fenico o per lo meno nessuno si permette più di dirglielo.
Ippolito dopo lo spettacolo mi ha chiesto: secondo te come finisce
Mimmo? Chiuso non ci sta gli ho risposto. Alla fine lui è sempre
un uomo libero. (Cirano)
Quando i
santi cammineranno sulla terra
Ho visto la performance e mi sono divertito. Non
è vero.
Il linguaggio
Forse è solo il suono della lingua. Forse l'averla sentita nello
zio di Brooklin o di Tano da morire. E' una lingua che suona bene,
un ritmo.Fino a dimenticarsi forse che è una lingua. I motti di
spirito non erano battute, erano lingua. Non c'è molto da ridere
in verità. Per noi bianchi però suonavano molto divertenti.
La musica e l'equivoco
C'è da sempre un equivoco sull'hip hop in Italia. Sembra che l'hip
hop sia la musica dei poveri, degli sfruttati, degli altri. Sembra
che i poveri neri nei ghetti attendano il giorno in cui l'agnello
dormirà con il leone. Non è così. Il Gangsta style non predica
certo la pace sociale. Chiede soldi. Chiede potere. Chiede vendetta.
I poliziotti che pestavano Rodney King probabilmente amano le regine
del country, ma l'anonimo camionista americano è stato linciato
al suono del rap. Che poi siano i giovani bianchi a comprare i cd
e a guardare MTV non è strano. Gli stessi vanno a guardare Acido
Fenico. Avrei voluto che fossero cantate le ragioni di Mimmo Carunchio,
non altro. Forse toccava a Nino D'Angelo questa parte.
La distanza
Non conosco gli scopi della compagnia. Forse volevano porre una
distanza tra noi e loro. Tra me e loro. Forse la distanza è fisica
in questo caso. Forse è temporale. Il ponte, curiosamente, sembrava
essere la musica stessa, che appunto è musica nata altrove ed emigrata.
L'assenza
Sembra sempre che conti di più chi non c'è. Mimmo parla di chi non
c'è, non c'è stato o non ci sarà mai
La sconfitta
Mimmo Carunchio perde perchè sbaglia obiettivo, vorrebbe diventare
un uomo comune, ma esagera e diventa a suo modo un superuomo. La
sua sconfitta nasce dalla sua non mediocrità. Mi ricorda qualcosa.
Fortuna che per il pubblico c'erano i cori a dare una via d'uscita.
Quando i Santi cammineranno sulla terra.
Ho visto, mi è piaciuto molto, ma non mi sono divertito. (Motor)
A sud delle regole
Carunchio Mimmo è piantato su una poltrona e su un
soliloquio - meglio: “dentro” la sua biografia narrata come un film
- che evoca l’intenso interrogatorio con un magistrato a cui porta
rispetto , m’immagino Giancarlo De Cataldo, lo scrittore del testo,
nonchè magistrato, uno di quelli, rari, che per simpatia e autorevolezza
(non solo autorità) si sa conquistare il rispetto anche da un malavitoso.
Ed è con Carunchio, grazie a lui (all’eccellente misura interpretativa
di Ippolito Chiarello) che come spettatore entro nel mondo balordo
di un giovane camorrista e della sua “resistibile” ascesa, come
quella di un antieroe brechtiano. Semplice, netto, un monologo dopotutto,
farcito però dalla presenza del Sud Sound System che svolge la funzione
del coro a tutti gli effetti come nella tragedia greca, lo sguardo
collettivo che va oltre la vicenda per consegnarla all’epica. E’
così, proprio così, anche se in fondo loro sono, fanno, quello che
sono: una delle posse più amate dell’hip hop italiano. Non hanno
bisogno d’interpretare nulla, cantano sulle basi dub quelle loro
“ballate salentine” che sono da sempre inscritte nell’immaginario
di un meridione a sud delle regole e, in alcuni casi, anche della
legalità. ( Carlo)
Dai banchi di scuola ai vicoli insanguinati
Cinque tavolinetti illuminati da una bianca luce
fluorescente ed un po' di vernice rossa ,abilmente rigirati, sono
banchi di scuola e vicoli insanguinati: scenario della crescita
di un'ambizione che sfocia nel sedersi su di un'alta poltrona in
broccato rosso, la poltrona del potere, sulla quale non si arriva
nemmeno a toccare con i piedi perterra, dalla quale il protagonista
urla il suo orgoglio, la soddisfazione dei traguardi raggiunti,
anche a gioco svelato. Abile e vivace comunicativa di un mondo che
ci appartiene ma non vogliamo vedere.Figlio di tutti noi....SIAMO
CATTIVI!!!! (Zelda)
Dipende dalla adrenalina
Può succedere che vai a vedere uno spettacolo di
teatro sulla violenza e ti rilassi. Dipende da quanta adrenalina
hai prodotto nelle ore precedenti per reggere in prima persona
la violenza di qualcuno che si rivolge a te con fare educato ma
ti dice cose terribili. E mentre lo ascolti devi respirare a lungo
e sbuffare per dare di nuovo un ritmo regolare al flusso di pensieri
e a quello che vuoi dire. Poi tocca a te parlare e dici cose forti,
dure, all’attacco perché non vuoi soccombere e sai che hai una tua
ragione da far sentire. E la dici senza misurare i toni ma senza
alzare il tono della voce. E’ già un urlo quello che stai dicendo
e finisci lasciando tutti senza parole per controbattere. Poi vai
ad ascoltare chi doveva star zitto perché puzzava di acido fenico,
il colpevole di turno che poi ha trovato la sua ragion d’essere.
Ti ci identifichi. Non ti senti sola di fronte a chi cerca di metterti
la museruola e farti star zitta. (Pat)
Il branco dentro il recinto culturale
“Ero cattivo”. “Non esistono bambini cattivi”. “Eravamo
tanti, tutti avevano paura di noi. Eravamo cattivi”. Un ragazzino
con un coltello in mano che ti chiede il portafoglio. Un bambino
strafatto di colla con una pistola che vuole i tuoi soldi. Scene
di violenza quotidiana si susseguono da Palermo a San Paolo. Noi
non le vediamo, restano miraggi lontani, restano immagini mediate
dal tubo catodico. Forme vuote, spogliate dalla loro storia. Non
fa più impressione a nessuno, un bambino muore di fame in Africa,
un adolescente assoldato dalla mafia spara a Palermo. Un susseguirsi
di fotogrammi in uno dei tanti Tg. La nostra è una società basata
sull’oblio, saturi d’immagini ripetute, annoiati fino allo spasimo,
bombardati, inesorabilmente anestetizzati. Storie sul video che
non hanno storia. Vedere su un palco una vita che prende forma “Sono
Mimmo è ho una storia da raccontarvi”. Vedere, sul palco, violenza
e prevaricazione prendere forma. Sul palcoscenico c’è una poltrona,
il riflettore illumina un uomo, l’entità è fatta di carne e ossa:
una persona. Materialità. Sul palco c’è una persona che racconta
una storia. Un copione teatrale, lui parla e narra. Magicamente
il bambino che soffre lo vedi come vedi il suo recinto. Incredibilmente
non ti sembra tutto lontano. Tu spettatore sei all’interno del recinto.
E quando ridi, del bambino diventato uomo violento, lo fai con un
sottofondo di imbarazzo. In fondo, spettatore lo sai, hai contribuito
a creare quel recinto di indifferenza e violenza. “Non esistono
bambini cattivi” “Mi creda io ero cattivo”. (Alessandra ©)
Sentirsi vivo
Mimmo Carunchio un uomo che esprime il bisogno di
"appartenere" ad un "tutto" buono o cattivo che sia; la necessità
soprattutto di non rinnegare questa appartenenza per sentirsi vivo.
La voglia esasperata di chiamare "le cose" con il proprio nome...
"io sono cattivo!!" (Maraché)
|