FIABE E COMIZI D'AMORE

Siamo nel nuovo millennio, bene, andiamo a teatro.
Appena tornati dalle vacanze ci si vede a Settimo, al Teatro Garybaldi, senza neanche, scaricare i bagagli. C'è "Storie Zip" del TPO e Giallo Mare Minimal Teatro un capolavoro di buon senso teatrale, intelligente e divertente. Da non perdere. E ha il label del Premio Stregagatto, l'oscar italiano del teatro per ragazzi. E' una fiaba, anzi un campionario di fiabe , in una rivisitazione che va da Cappuccetto Rosso ai Tre Porcellini. C'è una novità importante poi. Il computer è protagonista.
Se ne parla qui sotto, come anche di un altro spettacolo allestito da Walter Malosti, su tutt'altro registro, "Death and Dancing", drammaturgia d'impatto, intensa in un particolare "comizio d'amore".
Finalmente arriva poi il Beckett in salsa calabrese di Krypton al teatro Juvarra e le avanzate, tecnologicamente e poeticamente, "Storie mandaliche" al Piccolo Regio.
La ripresa di "Insetti" del teatro Settimo al Garybaldi permette di fare un salto di qualità nel laboratorio sull'arte dello spettatore con le ragazze della scuola civica Monti e dare un tocco di ludico pathos appare allo Juvarra "Petito" Santagata Strenge.
Tra i tanti spettacoli visti ovunque si rileva infine il tandem Joyce-Beckett interpretati, rispettivamente, da Iaia Forte (Molly Bloom) e Carlo Cecchi (Krapp).
Qualcuno ci mande delle e-mail generiche, le pubblichiamo come "message in the bottle".

L'acido "Death and Dancing" di Malosti

L'eco del teatro da camera hard
E' casuale che in questo nostro laboratorio sull'arte dello spettatore si siano combinati, uno dopo l'altro, due spettacoli radicali, dai toni estremi ed inquietanti. Quello di Marcido Marcidoris a dicembre e questo del Teatro di Dioniso, "Death and Dancing" al Teatro Juvarra, a gennaio.
Nonostante quello che qualcuno possa pensare, conoscendo il mio radicalismo teatrale, è avvenuto per caso, per opportunità di cartellone. Ma in questa casualità c'è da trarre una lezione:
il teatro rispecchia la complessità del mondo, tutto il suo bene e tutto il suo male.
Il male dell'anima, quello dei caratteri estremi del vivere da cui nascono i paradossi, i punti critici della commedia umana. E' così da sempre, da quando Sofocle con il suo "edipo" toccò uno dei tasti più imbarazzanti dei rapporti inter-familiari, quello del rapporto incestuoso tra figlio e madre.
Più estremo di così! Eppure la tragedia greca è dentro tutti i libri di scuola.
Perché mai, quindi, qualcuno dovrebbe scandalizzarsi se le ragazze diciassettenni della Scuola Civica Monti vanno a vedere uno spettacolo che tratta di omosessuali londinesi in un ambiente da "Trainspotting"?
Valter Malosti ha dimostrato, ancora una volta, di possedere la misura registica per allestire testi dai toni forti, border-line.
La drammaturgia di Claire Bowie viene risolta in un teatro da camera post-strindberghiano, su un registro hard, non solo per le parole nude e crude (genitali, direi) ma anche per i suoni, montati in una "colonna" che spazia da Prodigy a La Pina.
Un set techno per una commedia hip-hop, leggera e graffiante in cui Michela Cescon (conturbante la sua energia nel "comizio d'amore") e Vito di Bella, giocano con straordinaria disinvoltura.
                                                                                  (Carlo)

Un problema di tutti i giorni ma mai affrontato
E' strano, ma fra tutti gli spettacoli visti, questo è l'unico che non mi ha trasmesso né paura né allegria, ma un particolare senso di vita. Ciò che è emerso è stupore; in quanto vi era una chiara rappresentazione della realtà e tutto era accentuato dall'uso di un linguaggio e di gesti molto forti e specifici. Nonostante ciò mi sono divertita, proprio perché l'argomento trattato è un problema di tutti i giorni, che poche volte viene affrontato. (Nicoletta)
Coinvolta perché sconvolta
Quando pensavo di dover andare a vedere una rappresentazione teatrale immaginavo qualcosa di noioso. Adesso non è più così dopo aver visto questo "Death and Dancing".
Beh, diciamolo, sono un po' "sconvolta". Lo spettacolo è coinvolgente, perché è molto forte ed esplicito. Forse troppo.
La bravura dei due attori è stata fondamentale, per la capacità di poter riempire il palcoscenico (senza scenografia) con la sola voce. Mi ha coinvolto parecchio anche se l'ho trovato un po' volgare per il linguaggio usato. Mi ha fatto anche ridere ma soprattutto riflettere su un problema attuale e sulla confusione che un omosessuale può avere dentro di sé. (Manuela).

Travolta dalla valanga
Stavo lì, seduta su quella poltrona e ascoltavo in silenzio le parole degli attori: sembrava una valanga di suoni che attimo dopo attimo mi stava travolgendo. Avrei voluto alzarmi e fuggire per non dover ascoltare tutta quella volgarità così lontana dal "mio" mondo, eppure così vicina.
Però rimasi.
In due secondi decisi che dovevo stare lì e affrontare l'ostacolo.
D'altronde erano solo parole che apparentemente non avevano nessun significato ma che marciavano a tempo di musica sul sentiero delle mie emozioni. Sono contenta di essere rimasta perché ora so qualcosa di più di questo nostro, strano, pazzo mondo. (Sara)

Il felice "Storie Zip"

Piéce per attore e mouse
Tra le tante battute felici di "Storie Zip", una si ricorderà nel tempo tra le migliori lanciate da un palcoscenico:" Se hai, hai. Se non hai, ohihoi", una citazione, pare, estratta da un'assemblea sindacale toscana degli anni settanta.
E' di una piéce per attore e mouse che si tratta.La scena digitale arriva in modo assolutamente discreto a contestualizzare l'affabulazione umorale: la inscrive in una visione ancora più dinamica che si trasforma in sincrono con l'azione, la segue, la esalta. In una simbiosi che rilancia le due differenti nature dei linguaggi, quello teatrale e quello multimediale.
Il lupo ha il mal di pancia? E subito sul performer (sulla tuta bianca dell'attore Renzo Boldrini abbastanza ciccione da fare da schermo) che sta narrando la favola di Cappuccetto Rosso, parte una spirale che rende evidenti i suoi travagli di stomaco.
E' un piccolo colpo di teatro da applauso a scena aperta.
Quell'immagine è proiettata dal computer di Davide Venturini, co-attore che in tempo reale disegna, con un software grafico, i segni che fanno da scenografia elettronica per una performance semplice e interattiva. E' il suo mouse ad essere co-protagonista dello spettacolo, tracciando i segni e gli ambienti con cui interagisce il performer.
Cappuccetto Rosso entra nel bosco? Ed ecco che la parola "albero" con una cliccata si moltiplica in una moltitudine di parole albero da far foresta.
Si arriva alle casette dei Tre Porcellini, compare una grande scritta:


I bambini, e noi con loro, capiscono al volo e ridono.
Il sensorio si combina con il cognitivo, in un mix pedagogicamente corretto, nonché divertente e teatrale.
Tra il corpo e lo schermo prende così forma un gioco sottile che fa dialogare l'azione dell'attore con il mouse agito dal navigatore in una risoluzione talmente efficace da sottrarsi ad ogni ridondanza di carattere tecnologico per dare luogo ad un chiaro e limpido teatro interattivo (Carlo)

L'astrazione del segno e la concretezza del gesto
Ho visto un lupo.
Ma non UN lupo, TRE lupi, anzi, forse ho visto IL lupo.
Quel lupo che fa paura ai bambini ma che poi arriva qualcuno e gli squarcia
la pancia, quel lupo che insegna a non aprire la porta altrimenti ti mangiano, che le cose, anzi, le case devono essere fatte di mattoni e poggiare su fondamenta solide se no cadono con le prime intemperie.
Questo era il lupo che mi aspettavo di vedere, quello delle favole di quando ero bambina io. Un lupo che a me ormai non dice nulla ma che ai bambini in sala avrebbe sicuramente insegnato qualche cosa. Cosa? Perché insegnare a loro se non insegna più niente a me? Come si è sempre distratti.
Questo è un lupo del duemila. Questo lupo scappa per amore e si fa fregare dal porcellino godereccio che lo invita a mangiare fino a quando non gli scoppia la pancia. Questo è un lupo di cui aver paura ma attenti anche al porco o alla capretta nera.
Divertente. Ancor più divertente e però il gioco per cui il racconto, così anticamente legato alla storia dell'uomo si anima e dialoga in tempo reale, agendo con una scenografia in movimento, mutevole, costituita dal video di un computer, l'artificiale per eccellenza. Basta un programma di grafica, uno dei più diffusi e un altro attore-narratore-scenografo-pittore racconta la storia.
E così sullo sfondo e sull'attore in scena appaiono le lettere del racconto e si animano, si trasformano diventando il groviglio di un bosco o le case dei tre porcellini o si deformano per diventare una pistola. L'immagine è talvolta puro tratto e i colori forti e vivaci.
L'astrazione del segno e la concretezza del gesto, mai dissimulato, portano lo spettatore in quel mondo "altro" che dovrebbe essere il teatro, lontano dal nostro ma ci stupiamo di come poco ci siamo allontanati da casa.
Forse il lupo non era il lupo ma quello schermo fatto di finestre che si aprono e si chiudono sotto i nostri occhi e ci fanno ricordare che siamo già nel duemila da molto tempo, nostro malgrado e che tutto sommato non si sta così male.
Divertente.
Qualcuno già lo sapeva? Certo, i bambini. (Silvia )



KRYPTON CON UN BECKETT IN SALSA CALABRESE

L'ipervisione della scena desolata
Arriva, finalmente, uno dei migliori spettacoli in circolazione, "U juocu stà finisciennu" di Krypton, un Beckett in salsa calabrese.
Giancarlo Cauteruccio regista degli elementi techno-edonisti trova qui la misura teatrale più insidiosa, rovistando dentro di sé, tirando fuori la sua calabresità, una verità organica che attraverso il dialetto fa deflagrare la scrittura beckettiana, in un cortocircuito tra caldo e freddo.
Tra il caldo della lingua vitale degli idioletti quotidiani e il freddo di un linguaggio drammaturgico concettuale, come quello beckettiano, talmente intelligente da destrutturare le letterature.
Il gioco funziona: quel "Finale di partita" si fa ancora più catastrofico, la deriva esistenziale dei personaggi è palpabile e la cecità di Hamm, il personaggio cardine (Giancarlo, mentre l'altro Cauteruccio, Fulvio, il fratello, dà corpo ginnico e coatto a Clov) si rivela come un'ipervisione attraverso una telecamera indossata come una protesi che amplifica la visione dell'intera scena desolata. (carlo)

Il potere del Motore Immobile
Un "Finale di partita" o meglio, una fine delle trasmissioni, quello proposto dalla Compagnia Kripton con "U juocu stà finisciennu", che enfatizza la stasi e l'atmosfera claustrofobica di un'ambientazione alla "Day after".
Le finestre, unico punto di contatto su un esterno/estraneo, sono monitor privi di immagine e lo spazio abitato si trasforma in galera, spazio che protegge, ma anche che rinchiude, che condiziona ed in cui solo Clov può agire, ma anche il suo agire non è che la naturale re-azione agli ordini di Hamm, motore immobile e cieco, ma sola presenza dotata di potere decisionale. E sono di questo cieco master di un micro gioco che si sta svolgendo nelle 4 pareti della cella le visioni che si proiettano sul muro del rifugio, visioni come spettri di una realtà che sta, come il macro gioco (la vita) finendo, spettri come negativi di una foto che Hamm vede con un terzo occhio tecnologico, una micro camera fissata su guanto.
Unico personaggio che può esistere al di fuori della cella, e che sarà il solo a sopravvivere all'ambiguo ed inquietante master è Clov, suo "braccio". Ma anche per lui varcare la soglia della cella è problematico, in questo spazio i suoi movimenti si fanno rapidi, secchi, nervosi, la sua gestualità si carica di tic. In questo spazio altro/alieno/alienante Clov stesso diviene altro da se. Per lui la fine di questo gioco coincide con l'inizio di un altro: nuovo, sconosciuto, forse ancora più solitario forse giocato con un master più grande, questa volta non non-vedente, ma che non si può vedere. (barbara)

Beckett Dentro
Se intorno al teatro di Beckett ci si interroga sul senso del "vuoto" un contadino calabrese non potrebbe che rilanciare la domanda in questo modo: "ma chidd'è ssu cazzu 'i vacante?".
E' su questo azzeramento dello stesso "grado zero" della drammaturgia beckettiana che Cauteruccio opera drasticamente.
Non si misura con Beckett se lo porta dentro (come rivendica lui stesso), lo ingoia nel suo dialetto originario. Un corpo a corpo. (carlo)

L'autentica nudità
Lo spettacolo riesce a rappresentare la "dipendenza dei rapporti" tra fratelli maggiori e minori, padroni e servitù.
La messa in scena definisce questi legami, che per quanto ci sforziamo di comprenderli per liberarcene, od almeno nel tentativo di renderli meno oppressivi, ci ingabbiano e noi stessi siamo i custodi.
Ciò che allarga fino all'esasperazione, e' il geniale dilatamento scenico: il fondo teatrale come il proscenio, ed entrambi riportano al centro l'attenzione del pubblico, supportando lo spettatore nel caso in cui il linguaggio adottato risulti in molti passi incomprensibile per la scelta dialettale calabrese.
La pausa di chiarimento e lo stimolo al pubblico arrivano in un momento inaspettato e della corretta durata: essenziale per condurre la "fine della partita" al suo giusto punteggio di parità senza dover ricorrere a contropiedi inseguendo una vittoria irraggiungibile.
In ultimo, ma non di secondo piano la perfetta gestione tecnologica, qui si indissolubilmente legata, ad una interpretazione corporea che non ha bisogno di nient'altro che della sua autentica nudità. (enrico)

Il senso di vuoto
Perfetta è la messa in scena, la pesantezza dei corpi, ormai sfatti, vaganti in uno spazio precluso, meccanico, beckettiano ma anche kafkiano, dove si percepisce la distruzione, l'angoscia di un tempo che si conosce a memoria, e non si riesce a dimenticare, destrutturare. Imminente è la solitudine, la separazione, la morte. La consapevolezza che niente puo' cambiare. La mancanza d'azione rende lo spettatore anch'esso inerme, snervato, la riduzione del linguaggio beckettiano è esaltato dalla scelta di un dialetto difficile da capire, il calabrese, che trasforma tutto il teatro in un unico spazio a cui piano piano si toglie ossigeno, e non si vede l'ora che la messa in scena abbia fine.
Rimane cosi' un senso di vuoto. Interessante è l'intermezzo, dove attori e spettatori si confrontano, dove la tensione beckettiana si spezza per pochi secondi per poi ricadere subito dopo inesorabile verso la fine. (Elisabetta)


LE STORIE MANDALICHE DI ZONE GEMMA
"di nulla sia detto è naturale, di tutto si dica può cambiare" (Bertolt Brecht )

In mezzo alla stagione teatrale del Piccolo Regio ecco una chicca, anzi una gemma. E' una performance di cui avevo già visto un primo studio all'interno del Festival Contemporanea 99, uno sviluppo della ricerca teatrale per me più importante: quella che sonda l'interazione tra corpo e ambiente digitale. E' "Storie mandaliche" di Zone Gemma, un'operazione che sigla un passo in avanti verso l'affermazione del medium digitale come "messaggio",e in particolare usando il sistema virtuale Mandala System come nuovo valore della performatività, come analizzo nell'ampio approfondimento a cui vi manda il link.
Giacomo Verde, il cyber.contastorie, è certamente l'interprete più consapevole di un dispositivo drammaturgico freddo, meccanico, ma in fondo reso ludico e fluido dalla sua duttilità. Muove le mani, ciccando, sulle icone vandaliche per aprire finestre di narrazione semplice ed evocativa. Porta lontano anche se l'azione è zero e l'affabulazione non pervasiva. Lo spettatore ascolta e vede ed è sollecitato ad agire con la mente di fronte ad una visionarietà che dalla fiaba passa al mito tantrico con una leggerezza esemplare.
Ecco una risposta importante all'alterigia dell'high tech per dare luogo alla poetica dell'"high touch" (carlo)

L'aedo tecnologico
L'aedo si fa tecnologico. Il nonno che ci raccontava le fiabe diventa multimediale.
Curioso vedere come un tipo di teatro che si crede, generalmente, fondato sulla sola presenza umana: narratore-spettatore, si arricchisce di un terzo protagonista: il computer, che sembra scaturire da una loro artificiale sintesi.
E così pubblico e narratore-attore si incontrano in uno spazio nuovo, una dimensione sempre esistita nel teatro di narrazione, ma che diviene improvvisamente più visibile, più concreta e condivisibile. Questo spazio, creato dall'intelligenza artificiale del PC è tutt'altro che artificiale, è uno spazio dove si può credere anche alle storie più incredibili e dove tali storie prendono forma e colore; uno spazio dove immaginazione e nuove tecnologie si incontrano per produrre una nuova e coinvolgente forma di teatro. (Barbara)


I MERAVIGLIOSI "INSETTI" DI TEATRO SETTIMO

Il bricolage combinatorio
C'è un detto cinese che recita più o meno così: ho sognato d'essere una farfalla che sognava d'esser un uomo.
Per un attimo, anche se solo per un attimo, ho pensato questo vedendo quei due splendidi attori, Andrea Violato (talmente agile nella sua autoironia da rasentare l'umorismo sublime) e Roberta Biagiarelli (leggera e attenta come poche), alle prese con le metamorfosi degli "Insetti" (titolo dello spettacolo al Teatro Garybaldi di Settimo).
C'è da dire che l'impianto teatrale concepito da Lucio Diana e Adriana Zamboni rappresenta un vero campo di gioco: luogo di bricolage ad altissima creatività, dove per automatismo combinatorio tra uno scolapasta e un imbuto può prendere forma un mostruoso coleottero.
Un teatro che rispetto all'altra componente del Teatro Settimo, centrata sul registro narrativo e drammaturgico, sembra assolvere una funzione come quella dell'emisfero destro del cervello: il gioco libero del sensorio in alternanza a quello codificato e ricostruttivo dell'emisfero sinistro. Uno gioca con le immagini e l'altro racconta. Diversi e complementari. Coniugati tra loro come in uno spettacolo passato alla storia come "Affinità Elettive" dove la regia componeva narrazione e visione. Raggiungendo felici e funzionali armonizzazioni. Proprio come nella mente "bicamerale" delle sensibilità sollecitate. (carlo)

L'allegria nello sguardo
Lo spettacolo a cui ho assistito, dal titolo "Insetti", ha suscitato in me una sensazione di magia.
Per prima cosa mi ha affascinato il modo in cui due soli attori con l'aiuto di vari oggetti siano riusciti ad interpretare più personaggi, poi sono stata affascinata dallo sguardo degli attori, che riuscivano a trasmettere allegria ed attirare l'attenzione del pubblico. Infine sono rimasta affascinata dal gioco scenico delle luci, che davano quel tocco di magia di cui ho parlato prima.
Potrei definire, quindi, con poche parole, lo spettacolo a cui ho assistito come una rappresentazione magica e divertente. (Elisa)


ALFONSO SANTAGATA CON LA SCENEGGIATA IPERBOLICA "PETITO STRENGE"

Il gioco delle parti
Divertente e malinconico "Petito Strenge", riesce con semplicita' a donare allo spettatore una realtà attuale.
Conviventi, sfruttatore e sfruttato, sul palcoscenico come nella realta' gli attori vivono il gioco delle parti, di tutti i giorni, di ieri di oggi di domani.
Dopo aver assistito a questo spettacolo non mi rimane che consigliare la lettura di un piccolo libricino: E.de La Boétie-Jonathan Swift:"Il servilismo", prefazione di Saverio Vertone, edizioni OLIVARES. (Elisabetta)
La sincera umanità
I colori partenopei utilizzati sono di una tonalita' insolita, per questo dolci e stimolanti fino alla conclusione dello spettacolo, molto vivace. L'interpretazione non richiama in nessun passo al melodramma, ne rimane lontano, pur essendo disincantata e malinconica. Tutto si muove con i tempi talvolta scanditi dalla commedia dell'arte, ma cio' che arriva e' di una sincera umanità. L'allestimento scenico e' essenziale.
La presenza del frigorifero incatenato richiama continuamente l'attenzione, unica presenza inanimata, ma efficacissimo simbolo.
Continuamente attenti alla scena, talvolvolta si e' sorpresi da "presenze fuori scena" che come correnti d'aria portano frescezza in tutto il palcoscenico. (enrico)

RIFLESSI TEATRALI DA ROMA: LA "MOLLY" DI IAIA E UN BECKETT ALLA CECCHI

Succede, com'è già successo e come auspico succeda sempre di più, che a Teatron arrivino riflessi teatrali di tante altre scene sparse per l'Italia.
Come questi da Roma, dove il teatro stabile diretto da Mario Martone sta dando segnali di grande capacità di coinvolgimento di una nuova generazione di spettatori.
Qui s'interviene su due spettacoli combinati in un'unica serata alla Sala Uno, spazio programmato dal Teatro di Roma: " I pensieri di Marianna fiore" di Ruggero Guarini (da James Joyce) con Iaia Forte e "L'ultimo nastro di Krapp" di Samuel Beckett con Carlo Cecchi.

IL GUSTO DEL DOLORE
Mio rimane una visione: un uomo che si trucca dall'inizio alla fine della breve, ma intensa rappresentazione sulle inquietudini del signor Krapp.
I componenti sono un tavolo, un registratore di altri tempi , con nastri magnetici a bobina e quell'uomo tormentato che vuole riappropriarsi del passato attraverso l'ascolto di quei vecchi nastri, dove vengono riascoltati appunti di vita. La scelta dell'audio, per riassaporare umori, situazioni, atmosfere altrimenti persi è bella. E lui si trucca , infaticabile e io non capisco perché.
Un uomo che si trucca, che vuole nascondere il tormento del suo volto, un tormento cercato.
Il nastro evoca momenti di intensa solitudine, nel riascoltarli, non si capisce se ci sia la consolazione del già vissuto o il gusto del dolore superato e la volontà di appropriarsene: di cosa? Del dolore. (mariella)

DUE FACCE DUE MEDAGLIE
L'operazione alla Sala Uno apre con il pezzo teatrale sensuale di una Molly sfacciata e partenopea, per chiudere con l'ombra penitenziale di un esercizio di stile beckettiano.
Iaia Forte sul letto, insonne, ripercorre l'hard-core (oh! core) quotidiano in una napolitudine con la qualità drammaturgica di una rilettura della Molly Bloom di Joyce.
Iaia gioca a vendicare l'Anna Magnani della "Voce Umana" che subiva la seduzione maschile. Se la gioca e bene, serena e luminosa. Oscuro, nell'ombra nella sua cameretta di audiomaker della memoria, si autoespone come un monumento Carlo Cecchi, bravo troppo bravo a tal punto d'essersi perso per strada quella scoria d'umano che lo ha reso grande. Grande come attore che doppia la vita superando il teatro. (orso88)


Message in the bottle
Oltre agli interventi sugli spettacoli visti a teatro e rilanciati nel web come sguardo tradotto in scrittura ecco alcune schegge di e-mail che ci sono giunte.
Oltre a rispondergli direttamente, s'intende comporre in questa pagina alcuni di questi interventi perchè probabilmente qualcuno potrebbe essere interessato, anche solo per dare un'informazione.
Fate riferimento a questa e-mail: carlo@teatron.org

Auto-munito cerca scuola di teatro nel Veneto
Salve, mi chiamo Francesco e vivo a Mogliano Veneto, una piccola citta' vicina a Mestre. Sono studente di Scienze della Comunicazione all' universita' di Padova. Gradirei molto se, per cortesia, potesse indicarmi qualche valida scuola di recitazione nella mia zona tenendo conto che sono auto-munito e che ho gia'una qualche esperienza teatrale (ho seguito e in quache modo curato per tre anni il laboratorio teatrale del Liceo Scientifico di Mogliano Veneto) In attesa di risposta La ringrazio per la cortese attenzione.
Francesco.

La passione doppia: teatro e web
Buongiorno.
Sono uno studente al terzo anno di Scienze della Comunicazione presso l'università di Torino, e ho letto con interesse della vostra iniziativa Teatron su un opuscolo di informazione teatrale in distribuzione all'Informagiovani. Trovo la vostra iniziativa molto interessante e stimolante dal punto di vista culturale, e vi invio questa mail con l'intento di avere maggiori informazioni su Teatron - se possibile - e anche per aderirvi, offrendovi le mie competenze nel campo della
comunicazione in generale (è ciò che studio quotidianamente) e in particolar modo nel campo della comunicazione via Internet - ho infatti intrapreso l'indirizzo di studio in Comunicazione multimediale. Spero di avere presto vostre notizie e di poter mettere a frutto per un
progetto stimolante come Teatron la mia passione per il teatro e per il web.
Cordiali saluti.
Mirko

Docente, referente e teatrante
Ho letto il vostro sito e credo di aver capito che il vostro discorso su teatro, reti, formazione sia chiuso entro una esperienza regionale. Se così non fosse, se voi foste interessati a costruire una rete di esperienze che vogliano confrontarsi, scrivetemi. Sono docente referente di un laboratorio teatrale di Istituto appena nato e, tuttavia, già premiato ad Umbriateatro ed a Cesena. Abbiamo messo in scena la vicenda di una giovane donna che, nel 600, sullo sfondo della guerra dei Trenta anni, lascia la nostra città, oscura e provinciale già allora, per seguire una scelta di povertà totale che la porterà a scegliere la clausura e fondare i Carmeli di Vienna, Graz, Praga.
Rossella, Istituto Magistrale 'F.Angeloni' Terni