Madonne laiche e trinceatelematiche

La stagione scorre con un moto alterno, alti, bassi e molti, troppi, medi toni di programmazione teatrale. Per fortuna riappare, dopo il passaggio al Teatro Garybaldi di Settimo, quel piccolo-grande pezzo teatrale di Zibetti, "Me", che si rivela eccellente macchina attoriale. In controaltare, su un registro più che femminile (come definire qualcosa che supera l'idea stessa di sensualità per giungere ad un livello di performance in cui s'evoca una "madonna laica"?) emerge dalla media stagione teatrale una chicca coreografica di Paola Bianchi. Per il resto, grandissimo impegno dei ragazzi che collaborano a Teatron è riversato in BIGTorino, la Biennale dell'arte emergente per cui viene attuata un'entusiasmante "trinceatelematica". Tra gli eventi mimetizzati nella città si evidenzia poi un'atto di teatralità etica ideato da Beppe Rosso, "Deportati", e da altre città arrivano note sugli ultimi lavori di Marcello Sambati e Robert Lepage.

FreaK di Agar, ispirato a Frida Kahlo, la madonna ferita dell'arte rivoluzionaria

L'icona incarnata

Paola (Bianchi) è una delle danzatrici più consapevoli che abbia conosciuto.
Non a caso ama definire il suo lavoro "teatro fisico": nella sua coreografia è infatti inscritta una drammaturgia fondata sulla postura, sulla fissità del movimento, sull'evocazione del corpo che incarna un'icona, quella di Frida Kahlo in questo caso, "FreaK", nuova edizione del precedente "FK".


Frida è l'eroina dell'arte messicana, comunista, rivoluzionaria, amante di Trotzkij, la mente della Rivoluzione d'Ottobre, esiliato e braccato dagli stalinisti. Frida dipinge e sublima in un immaginario erotico il deficit fisico provocato da un gravissimo incidente automobilistico. Il suo corpo ferito diventa così icona, laica e visionaria, in un'alterità immaginaria che la fa apparire come una madonna ferita e rivoluzionaria.

 

Paola Bianchi interpreta questa visionarietà e l'amplifica in un gioco che ne raddoppia l'immagine: quella dell'azione dal vivo e quella di un video che in proiezione, con un sapiente bianconero stilizzato e rallentato, esalta una performance che sollecita una riflessione sulla visione in corpo. (cain)


"Me" di O Zoo No con Roberto Zibetti

Se il romanzo esce dal libro
....continuavo a ripetermi: come ho fatto a stare due ore seduta su una sedia, a sentire un attore che racconta una storia... due ore di monologo continuo, quasi sempre intenso, in alcuni momenti (per
fortuna pochi) dichiaratamente baricchiani.... sue le pause, gli accenti, le espressioni, tanto da aver intuito che qualcosa con Baricco (e la sua scuola, visto che di Holden si tratta) quel ragazzo, di età indefinibile, e dalla fisionomia indefinibile, doveva avere a che fare....
ma nonostante tutto, solo questo piccolo contatto con la realtà, è stato l'unica cosa che mi ha distolto dalla narrazione, e per pochi istanti dalla storia, nella quale sono entrata esattamente come mi capita di fare quando leggo un libro... e preciso, non era qualcuno che mi raccontava la storia di un romanzo, era il romanzo che usciva dal libro, che seguiva tutte le direzioni che può seguire l'immaginazione quando leggi...
ho visto rappresentata la mia immaginazione, e se non proprio la mia, di cui non sono sempre cosciente, ne ha fermato e tracciato alcune linee percorribili.
Il tramite stava oltre che nel testo, soprattutto nel fatto che l'attore non "recitava", non rappresentava qualcosa di diverso da se, ma era.... Me.... (cyberilla)

Deportati in un carro bestiame
Proprio dal Baloon, dove è finita la notte del drago, confluendo nella mattinata del suk torinese, dietro un grande portone,nella dismessa stazione ferroviaria Torino-Ceres, è accaduto un evento importante che purtroppo non è rientrato nel programma di BIG.
C'è troppo in quel programma ma non tutto. E ne parlo perché in fondo penso che BIG in futuro possa più che altro offrire una mappatura delle risorse e delle intelligenze in campo, concentrandosi invece sulle nuove progettualità. Ma questo è un altro discorso (ce da parlarne. Il web è il posto giusto)
Torniamo all'evento che mi ha commosso questa domenica mattina.
Si tratta di una sorta di via crucis laica (termine già utilizzato in occasione del diario di bordo ( della Biennale Teatro di Venezia 1999, per la performance di Del Bono all'Arsenale) attraverso la memoria dei deportati torinesi durante il nazifascismo.
Un "Viaggio nella perdita dei diritti umani" curato dal regista Beppe Rosso che con misura drammaturgia ricompone le testimonianze, inserendo in un percorso teatrale documentario e catartico al contempo.
Un'iniziativa inserita nella Festa della Liberazione promosso da Comune e Provincia di Torino che per tutto il mese di aprile organizza appuntamenti sui temi della Resistenza.
In quella stazione abbandonata, dentro i vagoni, un attore ci guida nell'incubo della Storia del Novecento: l'olocausto e la deportazione. Non solo Ebrei ma antifascisti e anche gente comune rastrellata. In questa domenica mattina chiusi dentro quei vagoni bestiame (gli stessi usati per le deportazioni…) vedo negli occhi degli spettatori la compassione per un dramma che solo qualche decennio fa (sei) ha trovato luogo qui. Qui da noi. Qui, come dimenticare? E non pensate che ci sia retorica emozionale dietro queste mie considerazioni. Sbagliereste. (cain)


A Roma, una regia di Marcello Sambati per le coreografie di Giovanna Summo della compagnia Il Pudore Bene In Vista

Il dolore-piacere che ti fa vivere
Appena ripresami, dopo un periodo di malessere, mi trovo il giorno dopo l'8 marzo a vedere lo spettacolo: "L'opera delle farfalle", rappresentazione interpretata interamente da donne e che esprime il DOLORE delle donne.
Si perché il dolore delle donne è il dolore mensile del mestruo, il dolore-piacere della gravidanza, la fatica-gioia della casa e il dolore pervasivo della difficoltà di avere un rapporto d'amore: l'amore per un uomo, l'amore per la vita.
La sofferenza della donna, infatti è un dolore -piacere, la capacità tutta femminile di grande profondità nel dolore che permette di venire in contatto con le parti più profonde di sé, la consapevolezza di un corpo forte abituato al dolore della vita che non chiede altro di "vivere".
"Non volevo altro che vivere" viene detto ad un certo punto nello spettacolo, una frase che interpreta tutto il desiderio femminile di qualcosa di semplice, che non ci è dato.
Il corpo è un elemento fondamentale in tutto lo spettacolo, donne che rotolano sul pavimento manifestando al tempo stesso dolore e seduzione, donne che ballano muovendo il corpo nel ritmo di rumori domestici, quotidiani, la donna che sa vivere della propria solitudine davanti ad uno specchio, muovendo il corpo sofferente, per la ciclicità del proprio dolore e per la difficoltà di mantenere l'amore che viene dato e doversi quindi appagare del proprio piacere.
Non si percepisce l'unicità dell'opera, ma vi sono molti momenti intensi e significativi. (mariella)

"Polygraphe" di Lepage in tournèe per l'Italia
(eccetto Torino)

I corpi fatti a pezzi nella visione frammentata
Contro un muro tre corpi svolgono un intreccio noir: quella parete si fa scena verticale e gli attori lo esaltano, quel muro si fa protagonista, presente, immobile anche se mutevole tra ambientazioni interne ed esterne. La regia di Lepage, campione di visionarietà, si fa drammaturgia nel gioco di scomposizione delle sequenze secondo la struttura canonica di una sceneggiatura (interno giorno, esterno notte… recitano i cartelli proiettati sul muro).
Determina cioè la scena in una scrittura scenica in cui i corpi degli attori sono scritti, o meglio scrivono con i loro gesti e non solo con le loro parole l'andamento del gioco. I corpi parlano da soli e le inquadrature, concepite da Lepage con una frammentarietà ostinatamente cinematografica (viene detto in scena, "nel cinema i corpi vengono fatti a pezzi..."), concepita cioè come in un set in cui si fanno ripresa diverse per le varie pose, i controcampi, secondo una non-naturalezza che esalta il gioc della finzione. In questo gioco di massacro Stefania Rocca spicca con la sua aria disincantata, algida eppure sensuale, efficace. (carlo)