La strage di Portella della Ginestra ha sempre suscitato,
nell'opinione pubblica, un interesse notevole. Si trattò,
infatti, di una vicenda che lasciò sgomenti e perplessi.
Essa ebbe un'eccezionale risonanza sulla stampa nazionale ed internazionale,
animò i dibattiti parlamentari in seno all'Assemblea Costituente.
Questa, nella seduta del 2 maggio 1947, discusse diverse interrogazioni
e votò un ordine del giorno col quale si chiedeva alle autorità
e al civismo dei cittadini una energica azione per individuare
i mandanti.
Ma tutto congiurò contro l'auspicio dei padri fondatori della
Repubblica.
E Giuliano Vassalli, allora ordinario di diritto penale all'Università
di Genova, scrisse:
"Ciò che indigna in questo affare è che lo
Stato italiano stesso, nel suo potere esecutivo, nei suoi organi
di polizia, talora sinanco in altri organi ancor più responsabili
della tutela della giustizia e della legge, sia sceso a patti e
a sistemi tali da far sì che tutti gli italiani ne debbano
portare avvilimento e rossore".
La nostra iniziativa teatrale ha un'ambizione, semplice
nella sua ispirazione di fondo: quella di parlare oggi di un avvenimento
siciliano e nazionale di ieri, con tutte le sue componenti culturali
e antropologiche, che ci fa ripensare sull'oggi. Anche per cercare,
senza presunzione, di fare memoria scegliendo un punto di vista,
quello più vicino ai famigliari delle vittime e alle popolazioni
locali.
"Il contrario della verità non è l'errore
diceva Flaiano- ma un'altra verità".
E' quest'altra verità, quella diversa dai risultati dei processi
di Viterbo e di Roma, che stiamo ancora cercando, che stiamo indagando
anche con questo lavoro.
Quello che ci salta subito agli occhi, anche seguendo le ricerche
di vari storici (tra tutte quella recente di Giuseppe Casarrubea,
patrocinata dal Comune di San Giuseppe Jato e di altri Comuni della
zona), è che la strage di Portella della Ginestra è
stata opera non tanto, e non solo, di un gruppo di pastori analfabeti
(versione ufficiale, ancora alla data odierna) quanto della mafia
territorialmente competente, di gruppi politici ben precisi e di
apparati istituzionali deviati.
Portella diventa così da "fatto locale circoscritto"
(come ebbe a dire Scelba all'indomani dei fatti) uno dei più
gravi atti di terrorismo politico nella storia della nostra Repubblica,
certamente il primo, tragicamente significativo, col quale lo Stato,
nato dalla Resistenza e dalle ceneri del fascismo, ebbe a che fare.
E quella fu la prima occasione in cui diversi "pezzi"
consistenti dello Stato (che si stava formando in quei giorni) lottarono
contro quello che essi ritenevano un nuovo "pericolo"
per la rinata società: il comunismo e le forze politiche
ad esso referenti, nonostante queste fossero state tra le protagoniste
dell'opposizione al fascismo e dell'unità nazionale e,
per questo, presenti al Governo centrale costituente.
A questo "nuovo pericolo" occorreva far fronte per vie
eccezionali, quelle appunto che l'età dello scelbismo seppe
mettere in opera.
Portella ne segnò l'avvio, fu il segnale della provocazione.
Non è un caso che dieci giorni dopo Portella l'on. De Gasperi
avrebbe rotto l'accordo con i comunisti per formare, di lì
a poco, un nuovo Governo che li escludeva dando il via alla campagna
elettorale politica che si sarebbe conclusa il 18 aprile del 1948
con la vittoria netta della DC e dei suoi alleati. Non è
un caso che, alcuni mesi dopo Portella, nascesse, dalla scissione
dei socialisti operata a Palazzo Barberini, il Partito Socialdemocratico
e dopo ancora qualche mese, rompendo l'unitarietà del sindacato
di allora, nascesse la CISL.
Portella è altresì l'atto di nascita della mafia
nella nuova Repubblica, capace di fare da collante tra gli interessi
di alcuni ceti privilegiati, settori del mondo istituzionale, politica
regionale e nazionale, collante che era iniziato a formarsi fin
dall'occupazione americana dell'isola nel 1943.
Attraverso un gioco di complicità senza precedenti si consentì,
non solo che un crimine tanto efferato come quello di Portella potesse
realizzarsi, ma anche che esso potesse essere, nel tempo, protetto
ai più vari livelli: da quello governativo a quello dei
vari palazzi di giustizia, dalle forze dell'ordine ai servizi deviati,
dai testimoni che sapevano e che hanno preferito tacere alle morti
nascoste di alcuni di loro.
E, a distanza di oltre cinquant'anni, la ricerca di "altra
verità" da quelle ufficiale è ostacolata
proprio dalla mole di confusione e di intrecci generati dalle inchieste
e dai processi.
Questi ultimi, appesantiti da lungaggini e digressioni investigative,
si sono fermati all'identificazione (forse neanche completa o esatta)
degli esecutori, molti dei quali, nel frattempo, fuggiti all'estero
o morti come lo stesso Giuliano, capobanda.
Stupisce che, pur in presenza di insistenti prove che denunciavano
politici e mafiosi, quali corresponsabili di quel fatto, nessun
tribunale abbia mai considerato l'opportunità di avviare
un processo sui mandanti.
Portella è perciò anche la storia di un processo
che non si è mai fatto. E ciò anche se l'esistenza
di mandanti fosse stata decisamente sostenuta dalle stesse forze
dell'ordine fin dall'avvio delle prime indagini, bloccate però
presto per ragioni di competenza. Alla prima pista seguì
subito, nel volgere di qualche mese, adeguandosi all'impostazione
data da Scelba, quella definitiva: si scaricò il peso penale
e morale di quella vicenda (e di quelle annesse: le sparatorie con
uccisioni alle sedi del Partito Comunista e della Federterra) su
un gruppo di persone che non avevano, per condizione di classe e
formazione culturale, alcun interesse contrario a quello dei lavoratori
e delle loro organizzazioni politiche e sindacali. E dei mandanti
non c'è traccia nei dispositivi processuali.
Eppure su Portella si poteva registrare il primo grande atto
collettivo di rottura della tradizionale omertà, con
decine di testimoni che si presentavano per deporre davanti all'ufficio
istruzione di Palermo.
Ma su questo terreno i giudici negarono l'evidenza dei fatti e si
trincerarono dietro il paravento di un'omertà storica e diffusa,
prerogativa esclusiva di qualche mafioso e dei suoi accoliti.
Le stesse indagini, nella fase istruttoria del processo, si orientarono
nella direzione di colpire gli esecutori della strage ed escludere
eventuali mandanti.
Analogamente tutto l'iter processuale negò il carattere
politico della strage e le sintonie tra politici e criminali.
Non a caso tutto il processo fu svolto e terminato in piena "guerra
fredda", un periodo nel quale gli interessi di classe della
borghesia italiano furono ben tutelati da partiti fortemente insediati
al governo nazionale e regionale.
Portella è dunque tutto quanto sopra detto ma anche un
luogo-simbolo della volontà di riscatto del mondo contadino,
un momento fondamentale, pur se tragico, della sua consapevolezza.
A distanza di tempo essa continua ad interessarci per il suo essere
snodo di tensioni e di passioni, incrocio di interessi sociali,
paradigma di come una cinica ragion di Stato si fa spesso sorreggere
da volontà criminali.
Negli anni successivi Portella sarà "replicata",
con varianti e modifiche, ma sempre con una lucida invariante drammaturgia.
Alle vittime di Portella e a quelle delle successive stragi è
dedicato il nostro lavoro.
Casa degli Alfieri
Viartisti Teatro
Associazione A.GI.TE.
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