Ci sono dialetti che sono sempre stati usati in teatro e nella
vita, dialetti ostentati e riconosciuti dalla comunità. E
ci sono dialetti considerati "minori", celati fra
le mura domestiche e la cui pronuncia è vissuta come una
vergogna.
Il calabrese, con la sua forza vitale, la sua ricchezza di termini
e sfumature che riescono a variare nel raggio di luoghi relativamente
vicini, fa parte di queste lingue oscure.
Il personaggio Roccu u stortu si esprime in dialetto calabrese
servendosi dei proverbi, delle filastrocche e delle sue canzoni,
riuscendo a ridare, attraverso questa lingua, suoni e coloriture
che sembrano rigenerarsi in un idioma incredibilmente contemporaneo.
Roccu u stortu è una sorta di monologo interiore,
uno sfogo furente, un viscerale attacco all'ordine militare in guerra,
una denuncia dell'ingiusto, il racconto di uno spirito libero,
anarchico, come spesso in questi ultimi due secoli i calabresi sono
riusciti a essere, nonostante abbiano vissuto in una terra di padroni
e conquiste.
Roccu un fante della brigata Catanzaro, che prima di essere soldato
è uomo di paese della Calabria, una persona che vive raccogliendo
le olive, frutto che in queste terre ha sempre goduto di una sorta
di venerazione e rispetto religioso.
Ma Roccu è anche stortu, ovvero il pazzo di paese,
lo scemo del villaggio, l'uomo che ha subito un "danno"
e a lui non resta che vagare per le strade della Calabria. Roccu
racconta la sua storia della grande guerra, coi suoi "poveri"
mezzi, usando il dialetto calabrese e spesso cambiando ruolo
in un balletto delle parti.
Il raccoglitore di olive parte per la guerra con la vana speranza
di tornare vincitore e proprietario di un pezzo di terra e quindi
di potersi maritare: "Jeu figghiu di 'nu contadinu e di
una raccoglitrice di aliva, (...) avia a fari a guerra".
Ma l' "irrealtà" della guerra gli farà conoscere
un'ingiustizia abnorme, gli farà saggiare l'incubo che ogni
soldato ha vissuto in trincea. Roccu è anche storico, uno
storico che espone in italiano una semplice e terribile cronaca,
della 1° guerra mondiale: l'ammutinamento e la successiva decimazione
della brigata Catanzaro a S. Maria la Longa, un sacrificio che ancora
oggi chiede delle risposte.
"Omaccione calabrese che si avanza tra latrati di cani e urla
di bambini, Roccu u Stortu reincarna l'eterna vicenda dell'uomo
condannato ad un destino militare, come Svejk o il soldato dell'Histoire.
Dopo una premessa da raccoglitore di olive, eccolo imbarcato nella
Brigata Catanzaro col miraggio di conquistarsi nella Grande Guerra
un campo da coltivare e una moglie, mentre gli toccherà l'inferno
della trincea sotto soprusi d'ogni genere prima di finire fucilato
nella decimazione del suo drappello accusato di rivolta e insubordinazione.
Questa infame e ben documentata epopea ce la riversa addosso lui
stesso in un lungo monologo in cui, passando da un italiano burocratico
ad una ricostituzione del suo dialetto vitale, assume volta a volta
le figure dello storico, soldato, ufficiale, senza esimersi dall'intonare
canzoni o filastrocche.
Stortu era stato l'entusiasmo per la fortuna militaresca, ma coinvolgente
e atrocemente efficace ne è il racconto grazie ad una popolare
povertà densa di dettagli quotidiani e di macabra ironia".
(Segnalazione Premio Riccione per il Teatro 1999).
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