Coiti interrotti

Diventa difficile stendere sulla carta, ora su tastiera, impressioni , percezioni, momenti di confronto o più semplicemente di vitale scambio umano, quando il soggetto è il teatro, un certo tipo di teatro. Nello stesso tempo la scrittura, questo meraviglioso mezzo di comunicazione che spesso mi aiuta a 'pensare' diversamente, fa emergere sempre dell'altro. Se il contesto concilia, mi piace parlare degli spettacoli, o eventi teatrali di cui sono e sento d'essere spettatrice attiva. Non sempre questo succede, si sa.L'occasione alla libreria Patagonia mi ha dato la conferma che ciò è possibile, "L'Isola di Alcina" me ne ha dato la possibilità. La spinta emotiva, quella che parte dall'intimo personale fa uscire parole e considerazioni che in un contesto quasi 'come tra amici' si può esprimere. Questo è successo l'altro giorno, a Venezia. Vivere al Teatro Goldoni l'ultima 'fatica' delle Albe è stato all'inizio destabilizzante. Dopo aver assistito ai 'Polacchi' un impatto simile non me l'aspettavo. Ma sono le cose che mi spiazzano ad incuriosirmi di più. Da qui si aprono viottoli improvvisi che di colpo divengono strade con infinite diramazioni. Domare ed essere domati, voler essere domati , anche queste sono aperture soffiate da questi flashes quasi necessari. Alcina deve parlare continuamente, la sorella parla ormai a suo modo con un mutismo che talvolta 'grida' più di Alcina. Ci sono dei dialoghi tesi tra loro che,a volte, per me risuonano come dei coiti interrotti, un modo di comunicare come bisogno ma insoddisfatto di dirsi ancora qualcosa, quasi due monologhi che tentano d'incrociarsi senza sentirsi, in eterno. Ci sono molte cose 'necessarie' che, dall'inizio rigoroso e spiazzante dello spettacolo, ti portano a coinvolgerti in un enorme coacervo di 'icone', termine giustamente emerso chiacchierando alla Patagonia, che infine diventa armonicamente unica 'icona' poliforme. Bisognerebbe più spesso entrare e vivere spettacoli simili, non solo perchè se ne può realmente parlare per andarne anche al di là, ma ancor di più perchè si smuove e si crea qualcosa dentro e fuori di sé, un qualcosa che dialoga con la 'struttura' percepita, una trama col proprio vissuto. Esci dal teatro e senti che è successo qualcosa in un tempo altro (queste sorelle forse sono sempre esistite?) e l'emozione personale continua... con la voce, le suggestioni sonore, le icone, le luci, i cani: tutto incomincia a ri-dialogare e trasformarsi, ora, anche con se stessi. (sabina)


Leonor Fini, La belle dame sans merci, 1969
(dai materiali di ricerca iconografica per i sottotesti drammaturgici de "L'isola di Alcina)