[ torna indietro ]

MARTEDì 1

I sedimenti della memoria

Entriamo nel merito del lavoro del gruppo del diario di bordo che inizia a confrontarsi su ciò che ha visto e sentito. Si concorda tutti su un'evidenza: Arcastella è un'arca di memoria ed i protagonisti (e la maggioranza degli spettatori) ne hanno tanta e ricca, grazie ai sedimenti della loro età. E' la memoria la cifra dell'identità ebraica e questa rassegna ne rivela le diverse sfumature, dalle passeggiate letterarie nei luoghi della città dov'erano i ghetti agli incontri autobiografici con i grandi vecchi e agli spettacoli che rievocano l'assedio del ghetto di Varsavia.

05:56 PM
l'utopia di un vecchio giovane
seconda giornata l'incontro con israel debenedetti l'utopia di un vecchio giovane, un sogno grande bello che tutti abbiamo per vie diverse condiviso e che oggi sembra esaurito... e, di nuovo, i giovani? non vogliono o non possono sognare... in israele, in italia, nel mondo? (walt)

06:15 PM
una vacanza fritta
l'incontro si conclude con un'ultima battuta che lascia scivolare li', con amicizia ed ironia, un signore anziano che sembra conoscere bene corrado israel de benedetti. "Ci vorresti tu al posto di Sharon". Si, la storia sarebbe un'altra. Abbiamo ascoltato un altro grande vecchio, uno di quegli uomini che nel dopoguerra non ha solo contribuito alla nascita dello stato d'Israele ma ha sperimentato, con l'esperienza dei kibbuz, alcune delle forme più avanzate di società comunitaria. E penso a come allora, gli anni settanta, con il mio amico massimo (terracini) si pensava di andare a passare una vacanza di lavoro e di studio (politico), una vacanza fritta direbbe debenedetti, in un kibbuz. quelle comunità erano un modello di riferimento anche per noi, giovani rivoluzionari metropolitani. andavano oltre il contesto ebraico e israeliano, erano e sono (anche se è stato detto che hanno gli anni contati...) uno degli esempi più belli di condivisione sociale organizzata. Anche se non sono stati sufficenti per fare un popolo... come lo stesso debenedetti ha dichiarato con amarezza.(carlo)

06:57 PM
il testimone della memoria
capita.
capita di passeggiare per l'ottocentesca san salvario e vedere un crocicchio di persone sotto i lampioni davanti alla sinagoga
(a proposito: la forma di questi lampioni dev'essere voluta, sono incredibilmente simili ai candelieri rituali ebraici)
attendere qualcuno.

quel qualcuno sono giovanni tesio e alberto cavaglion che accompagnano tutti in una passeggiata fra il vecchio ghetto (san salvario, appunto) e il nuovo ghetto (pza carlina e dintorni), al suono di alcune pagine, non le piu' note, di cultura e letteratura ebraica.

passeggiata letteraria, simboli ebraici: un candelabro
(foto mirko/teatron)

colpisce subito la compostezza di queste persone. ognuna nel proprio look "esatto": le donne orecchini di perla semplici come ornamenti, insieme a camei e foulard dalle tonalita' tenui attorno al collo, gli uomini con il nodo della cravatta perfettamente equilibrato, stretto al punto giusto, bilanciato.

forse, mi dico, tanta esattezza ed equilibrio viene da questa loro straordinaria capacita' di memoria: sanno tutto, ogni nome citato da primo levi, dai diari di emaunele artom, ogni negozio, gastronomia, merceria tenuta anticamente da un commerciante ebraico, loro la conoscono, e la ricordano.
per non farla dimenticare, mi dico.
per mantenere viva questa rete di ricordi e persone che li ha condotti oggi qui, nel silenzio del pomeriggio davanti alla sinagoga, interrotto da una scolaresca che passa all'improvviso.
quasi che il testimone della memoria debba passare per osmosi da loro, a noi. (mirko)
cortocircuiti nel ghetto: una scolaresca chiassosa irrompe nella passeggiata letteraria
(foto mirko/teatron)

09:35 PM
i giardini d'infanzia
Quelli che seguono sono frammenti ricavati dagli interventi degli autori a cui sono contrapposti gli echi che hanno prodotto al mio interno

LUZZATI - 30/09/02
Il reale non bisogna trasformarlo ma trasognarlo ... rabbino ... idolatria... Altro...fede...arte ...figurine dell'Agada'...un pittore
ARTE = RELIGIONE = SOGNO?
DI BENEDETTI - 1/10/02
Giardino d'infanzia ... Casa dei bambini ...
In principio c'erano soltanto le guardie di notte...
Hanno spento la luce nelle case dei bambini...
INFANZIA - FAMIGLIA - SCUOLA - LAVORO ( IERI= CALORE DI UN' INFANZIA PROTETTA- OGGI= LAVORO GRAVOSO)
Arcobaleno orientale... Haifa, Gerusalemme, Tel Aviv ... Vacanza afflitta
ESOTISMO - VIAGGI - CIELI DORATI
Da tutti secondo le loro possibilita', a tutti secondo i loro bisogni ...
In Italia ci sono molti ragazzi che non sanno il nome dei loro nonni...
A creare un popolo ci vuole molto piu' tempo che creare un paese...
RIFLESSIONI - SENTENZE - DIDASCALIE - "ABBIAMO FATTO L'ITALIA, ORA BISOGNA FARE GLI ITALIANI"
(luisa)

10:31 PM
lo slang del kibbuzin

corrado israel de benedetti ci ha portato con la sua autobiografia dentro il mondo dei kibbuz, di cui è stato protagonista. Un mondo che già nel dopoguerra sperimentava forme nuove di socialità, dove, addirittura, veniva attuato una sorta di "comunismo" che altrove si esprimeva in totalitarismo e cieca ideologia. In quelle comunità nascevano anche nuovi linguaggi, veri e propri slang, ultra-lingue che con termini come "bambini di fuori" (i giovani visitatori) o "vacanze fritte" (le vacanze di lavoro) creavano di fatto un immaginario ed un codice di comunicazione assolutamente originale. Ecco sto finalmente incontrando degli aspetti della cultura
ebraica che vanno oltre lo studio del talmud. (luca)

10:34 PM
i sogni non passano in eredita'
la prima cosa che mi colpisce dell'intervento di oggi di Israel De Benedetti e' il titolo: i sogni non passano in eredita'. bella frase. ascoltando le esperienze di vita del kibbutz, il primo cortocircuito mentale che si attiva va al libro di andrea de carlo, "due di due". un sogno di vita che sembra simile ai miei occhi all'atmosfera e alle aspettative del protagonista del romanzo: la voglia di costruire qualcosa con le proprie mani e di gustare quella sensazione di appagamento di chi si volta indietro e vede, sostanziato, il risultato di tanti sforzi. Israel dice che cio' che tiene unita una comunita' di persone come il kibbutz non e' altro che la religione, unica vera forza unificante. penso alle comunita', ai villaggi abitativi senza storia di cui parla Jeremy Rifkin (a proposito, sara' di origine ebraica ?) nel suo "L'era dell'accesso". comunita' di interesse che si autocostituiscono come indipendenti, fondate su una logica commerciale, spesso con leggi "private" autocreate, con il solo scopo di condividere uno stile di vita. vivere in un certo modo, secondo certi mood. ha un senso questo cortocircuito? (mirko)

11:20 PM
l'ironia per la teodemagogia
quel buco nero che incornicia Marina Bassani nella messinscena del testo di Kolitz mi appare come un emblema. La soglia tra il bene e il male, il punto critico di un atto d'accusa a Dio per aver permesso che accadesse del male. Nell'incontro che è seguito allo spettacolo la battuta caustica di stefano Levi Della torre, in perfetto humour yddish, sottolinea il paradosso: " ma tu credi in Dio?" e l'altro ebreo risponde: "figurati dopo tutto quello che m'ha fatto!". Dopotutto anche Abramo, Mosè, Geremia, Giobbe, litigano con Dio. Ci fa notare l'ispirato Paolo De Benedetti. Una serata densa, istruttiva, che fa riflettere su come il divario tra il divino e l'umano sia grande e irto d'incongruenze Un divario in cui il mondo ebraico sa trovare delle chiavi interpretative in più di tanti altri. Anche perchè sa ironizzare con ciò che è stata definita, genialmente, la "teodemagogia". (carlo)

00:09 AM
e ed elle
Eccomi qua insediato in questa scrivania virtuale a tracciare le mie note, raccogliere la mia memoria personale, i percorsi del pensiero dopo i quattro passi fatti nell’arcastella. E nel farlo, nel raccogliermi per stilare (o stillare) un breve consuntivo di queste prime giornate, mi accorgo che mi bastano due lettere, una e ed una elle. Forse sarà la voglia di chiudere velocemente il collegamento e riposare, vista la piccolezza dell’ora. E può anche essere che la mia attività onirica sia già in moto, eppure questa sintesi estrema è molto calzante ed esauriente. Dunque, e ed elle sono le iniziali dei due personaggi, forse due giusti, che hanno aperto e chiuso, finora, questo primo giro. L’inizio è di Emanuele Luzzati, ça va sans dire. Avevo già visto, con piacere, molte delle sue opere, ma ieri ciò che mi ha colpito è stata la sua figura “rotonda”, mi sembrava, lui mi perdoni se lo scrivo, un fumetto, un geppo, un poldo, una tenerezza ambulante. Soprattutto però, lo ringrazio delle sue parole semplici, laiche, artigiane: “devo sapere quello che vado a fare”. In mezzo ai discorsi di arte ebraica sì arte ebraica no, il suo mi è sembrato un contributo chiarificatore. Ne discutiamo però in un altro momento, perché apre a un ragionamento che già coinvolge il secondo personaggio che si è impressionato nella mia memoria personale, un altro e ed elle: Emmanuel Lévinas. È già qualche anno che occasionalmente, ma sempre appassionatamente, lo cerco, lo leggo, lo incontro casualmente (?) e sento come il suo pensiero sia diffuso tra “uomini di buona volontà”. Certo era scontato che lo percepissi qui al festival, dato che gli dedicherà anche un incontro giovedì, ma è sempre una lieta sorpresa per me vederlo citato, seguito, ascoltato. Infatti il suo nome ricorre più volte nel catalogo della rassegna, chiamato in causa da Ernesto Pezzi e, di rinterzo, da Yossl Rakover. Sì, vado a dormire felice del “miracolo dell’esistenza”, come ci invita a fare Stefano Levi Della Torre, e ringrazio e ed elle, che messe assieme formano una parola ebraica. EL, che si può tradurre con la parola italiana: dio. (alan biko)

08:26 AM
Il tempo serve per altro?
Ascoltare i racconti sulla vita e le tradizioni del Kibbutz mi ha affascinato. Soprattutto mi ha colpito l'idea delle case-dormitorio per i bambini; l'idea che i bambini dovevano vivere in spazi adatti a loro e che i genitori fossero educati a dedicare del tempo ai propri figli. L'idea era quella di formare-formarsi a vicenda, di educarsi collettivamente. Senza voler con questo dare giudizi sul metodo, sul modo di concretizzare queste idee, rifletto su quello che accade oggi e mi domando perchè quando c'è la libertà di dedicarsi del tempo senza delle scadenze prefissate (nel kibbutz i bambini erano a casa dalle 4 alle 6 o alle 8 e nelle feste comandate) il tempo ci serve sempre per altro. In fondo idealmente anche le case, i nuclei familiari sono dei piccoli kibbutz, dove tutti collaborano in qualche modo e convivono più o meno serenamente. Eppure quel tempo che ci si dovrebbe dedicare resta quasi sempre nei buoni propositi o negli sporadici incontri ai pasti. (chiara)

08:28 AM
il passato nel presente
Secondo giorno:incontro con Israele de Benedetti un giovane troppo invecchiato che racconta la sua esperienza in kibbutz, commistionando dolcezza a una chiarezza espositiva eccezionale che nasconde il peso dell'età, della delusione per

aver visto infranto il desiderio di tramandare la sua eredità e lascia però intravedere un desiderio costante di non gettare mai la spugna e di non perdere mai le speranze.Il kibbutz stesso esplica quel desiderio di creare una coscienza collettiva per preparare le basi per una futura memoria collettiva che diventi quasi più pregnante di un qualsiasi presente:un nome unico assunto per tutti i bambini di una stessa classe che lo conserveranno per tutta la vita,un'educazione
israel de benedetti nel suo intervento ad arcastella
(foto mirko/teatron)
collettiva e una presenza dei genitori a singhiozzi(solo in alcune ore della giornata e nelle feste comandate)e, senza esprimere giudizi ma soloun'ammirata constatazione, una presenza instradata, in quanto i genitori stessi apprendevano come rapportarsi con i propri figli, quasi per rendere più utile il tempo. Ma il tempo dov'è?cos'è?. (morgana)

08:28 AM
la fede imperturbabile
Ore 21, Teatro Gobetti:Marina Bassani interpreta il testo di Yossl Rakover che si rivolge a Dio dopo eterne sofferenze patite sotto il Nazismo, ma ancora ricco di Fede, tenace difensore di ciò che il suo Dio aveva in tutti i modi cercato di strappargli invano. E' il discorso non di uno schiavo al padrone ma di un allievo al suo maestro che pretende riconoscimenti senza mai travalicare nell'ira o nella mancanza di rispetto. Il testo, considerato un'autobiografia, è in realtà opera dell'abile mano di uno scrittore ma nessun ebreo ha mai voluto riconoscerne l'autorità,continuando a considerarlo prototipo di una condizione comune. Non è l'individualità occidentale ma la collettività a essere protagonista. Ancora una volta mi stupisce questa volontà ostentata di attorciliare tutta l'esistenza intorno alla Fede, per poi esplicarla in ogni singolo momento della giornata.Mi affascina la costanza elegante e precisa che, nella nostra società attuale mi sembra dissolversi per altri valori. (morgana)

01:41 PM
Il dolore e la paura
Quando Maria Pia mi ha chiesto di scrivere sei righe di impressioni personali sull'incontro dedicato a Gitta Sereny, ho pensato che avrei doviuto scrivere qualcosa sul dolore. Certo non sei righe: può darsi cinque, o dieci, perché il dolore a volte è come una bestia di gomma e granito che si contrae e si espande e non sta mai dove credi che sia, a volte basta una parola per descriverlo e a volte diecimila non sono sufficenti. Come descrivere qualcosa che neppure se appartenesse a te riusciresti a spiegare esaurientemente? Ognuno ha il suo dolore. Anche il "boia di Treblinka", Franz Stangl, una giovinezza trascorsa a tessere e suonare la cetra e navigare su una piccola barchetta a vela. E proprio questo che Gitta Sereny ha scovato penetrando nella personalità del comandante di Treblinka: il dolore e la paura, due cose che (almeno allora) nessuno si sarebbe aspettato di trovare in un "mostro". Se esiste differenza tra dolore e dolore (cioé se c'é un dolore che merita di essere compatito più du un altro, che "vale" più di un altro), questa é data dalla responsabilità. Stangl é responsabile del proprio dolore, e di quello delle sue vittime, che non hanno goduto della possibilità di scegliere. Stangl é dannato, ha scelto e si é meritato la sua sofferenza, emersa al lento sgretolarsi delle menzogne dietro cui aveva tentato di nascondere la verità. Eppure, almeno a me, la storia di quel boia ha suscitato uno strano miscuglio di rabbia e compassone: rabbia per le sue gesta fredde e atroci, compassione perché egli stesso si é precluso ogni possibilità di redimersi. Franz Stangl era un mostro? Se crediamo che i mostri siano capaci di soffrire, o pensiamo che Stangl non faccia che mentire, rispondiamo pure di sì e voltiamo pagina. Credo che non si tenga mai abbastanza in considerazione la nozione di "banalità del male", perché é più facile credere di essere immuni dal "male" se si é convinti che a compierlo siano solo dei "mostri" disumani e privi di sentimenti. Eppure la storia del Terzo Reich dimostra che il veicolo più sicuro e rapido con cui il "male" si propaga e si rafforza é costituito proprio dalla mediocrità degli animi. Non (almeno non solo) la disillusione, la frustrazione, l'avidità o l'egoismo. Ma l'accidia, l'inerzia, la cecità, il disinteresse, il "quieto vivere", fanno in modo che il male, l'ingiustizia non rappresenti altro che uno dei tanti elementi della quotidianità, cui ci si può tranquillamente abituare. E una volta abituati, é molto facile prendervi parte. Per questo io non mi fido tanto di certe "brave persone", dei "bravi ragazzi" puliti, per bene e "normali": spesso sono proprio loro quelli che riescono a vivere all'inferno senza accorgersene neppure. Sono loro gli ingranaggi bene oliati del sistema, e sono loro che in fondo temo di più. (luca borello)

11:29 PM
l'utopia dell'ostrica
ricordo un giorno a scuola, tra varie parole ne sentii una sconosciuta: "utopia" ingenuamente chiesi qual'era il suo significato. la risposta fù approssimativa ma affascinante: "utopia è un sogno irrealizzabile". talmente affascinante che più avanti davanti a mille libri a mille lire, di quelli della newton, ne scelsi uno con quel titolo, non conoscevo l'autore, era un certo thomas more. leggendolo ho scoperto che lui aveva inventato quel termine per descrivere un'isola inesistente, un paese ideale dov'era proibita la proprietà privata e il lavoro era obbligatorio per tutti... inevitabile pensarci sentendo parlare di kibbutz. anche se questi esistono. scopro però che il loro destino è segnato, è finita l'era dell'abbondanza. sono state chiuse le case dei bambini per volontà delle mamme che volevano i figli sotto le proprie ali. si è sgretolato un pezzo di quell'isola, cementata dalla religione, si va verso la privatizzazione e i giovani fuggono in città... non è difficile capirli: un discorso è scegliersi un destino, un altro trovarselo addosso... a narrarci questa storia, la sua, è israel de benedetti, un vecchio sognatore. mi fa venire in mente il principe di salina, un nobile decaduto. anche lui, come l'ostrica, legato al suo scoglio. (holeideescure)
[ torna indietro ]