PRIMAVERA
DEI TEATRI
2mila1
Laboratorio d'arte dello spettatore
in rete
diario 110601
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Il teatro da mangiare de Le Ariette
ci seduce e ci commuove, tagliatelle e lacrime, mentre nel pomeriggio
si ricompongono i pezzi dei laboratori, quello drammaturgico
e quello attoriale, ed emergono le contraddizioni, quei punti
di crisi che serviranno al nostro laboratorio ad evolversi.
E poi arriva in piazza Krypton,
serata piena.
PROGRAMMA
|
Il
cibo e il teatro che trasforma
Ora di Pranzo, non andiamo in trattoria ma a villa Ilva, non andiamo a
pranzo ma assistiamo ad un rito. Stefano prepara le tagliatelle, trasforma
la materia, ed insieme a Paola e Maurizio trasformano stralci della loro
vita in narrazione, in movimenti, in musica. Il sole acceca, i colori
sono forti, la luce fa svanire i contorni. La tavola apparecchiata testimonia
che ci stavano aspettando. Mentre salutano, nel vederci, preparano piatti
di pomodori, formaggi, salami, carciofi e ancora, Stefano continua a stendere
la sfoglia di pasta. Scopro un sorriso e lo riconosco come mio, e mentre
qualcuno mi versa del vino, la mia attenzione segue un pensiero, ma questo
non mi appartiene e vedo il corpo di Paola che, dicendo, vorrebbe s-fuggire
ma una rete trattiene il suo corpo. Il cibo entra e con esso le sensazioni
si rendono più manifeste. Si parla di brandelli di vita, di rapporti
profondi che non si riesce a comunicare, di scelte di vita, di madri perché
è li che si fonda il nostro rapporto con il mondo. Il ritmo delle
mie emozioni lo sento realmente, il mio stomaco si apre e posso mangiare,
si chiude e devo fermarmi. Poi il sole consola e sposto lo sguardo sul
cibo che mette allegria. Si parla di morte cosè la morte
se non trasformazione? Questo è il mio senso di morte e di vita
continuo dinamismo, e il cibo trasforma la materia nutrendo. (marialuigia)
Mangiare
o farsi mangiare dal teatro
Arriviamo nellatrio della Villa Ilva, dove ci aspettano Paola, Stefano
e Maurizio e un lungo tavolo con la tovaglia plastificata a quadroni blu
e bianchi. Da un lato del tavolo non erano predisposti coperti, in quanto
costituiva il nostro potenziale proscenio. Lo spettacolo comincia nel
momento stesso in cui arriviamo. Iniziamo a bere,a scambiarci i primi
sguardi, le prime parole e
lo spettacolo è già iniziato
e noi facciamo già a pieno titolo parte di esso. Stefano stende
la pasta per le tagliatelle, Maurizio sistema vino e acqua in tavola,
Paola prepara gli antipasti; il tutto con una curiosa quotidianità,
con una semplicità che mi ha spiazzato. Alle ore 13:00 ci siamo
incontrati per andarci a "mangiare il teatro", ma ho l
impressione che su di me abbia avuto leffetto opposto, mi ha mangiato,
mi ha confuso. Cercavo la finzione e una volta seduti ho chiesto a Stefano
se lo spettacolo fosse già cominciato; risposta affermativa
..ma
allora perché mi ha risposto con tanta naturalezza? Tutto procedeva
come un normalissimo incontro tra amici; di tanto in tanto proponevano
letture di poesie, pensieri rivolti alla propria mamma, riflessioni sulla
morte (che mi facevano poggiare,momentaneamente, la forchetta nel piatto),
azioni di clownerie. (paola)
La
nostra Annie Lennox
Tra fettuccine fatte a mano, in tempo reale, e quelle song rauche e suadenti
di Tom Waits (canzoni che sottendono una vera e propria drammaturgia parallela)
va in scena (va in vita) quel "teatro da mangiare?" che supera
qualsiasi interrogativo per entrare in circolo, nella vita di ciascuno
di noi, spettatori e commensali, come un rito laico e originario.
Mettono in scena (in tavola:in vita) la loro autobiografia e ci stanano,
ci sollecitano a proiettarvi anche la nostra.
Un fatto vero, condiviso che ci fa alzare da tavola con il sorriso e un
saluto di fratellanza che non accadeva da tempo.
E lei Paola con la sua aria da Annie
Lennox (ricordi gli Eurythmics) mi rimane in mente come unicona
del miglior teatro possibile, capace di passare dalla maschera di Karl
Valentin a quella studentessa bolognese disillusa che sputa sul
mondo-melassa che non ti riconosce
(carlo)
La sua storia diventa la mia
Ti invito a pranzo e ti racconto una storia, la mia storia, che è
anche la tua. Una storia, tante storia che fanno la STORIA nel senso più
dilatato del termine. E cosè la storia se non un susseguirsi
di emozioni, le tue, le mie, le loro
.
Sembra strano, mi è parso strano, come non mai, di essermi emozionato
a tavola. E la tavola, i commensali, come in un rito, quasi sacro, a denudarti
del tuo essere per farti essere te stesso.
Io mangio e qualcuno racconta, si racconta, si denuda
o meglio condivide
con me, e per me, le sue emozioni, la sua storia
che storia.
E la sua storia diventa la mia. Io nella storia?..perché tutto
parte dallinterrogarsi nel profondo. Ogni cammino inizia, anche
stando seduto a tavola, con una domanda. Emozioni, cibo, racconti come
in un rito sacro dove il "liturgista" di turno ti "intrattiene"
con racconti che scavano la tua vera essenza, ti proiettano in una dimensione
che può essere la tua o che può rimandarti a qualcosa che
è tuo, o lo è stato e forse non lo sapevi. Una frase, una
nota, un gesto ti spalancano gli occhi davanti al conoscibile che di te
stesso non conoscevi, o non avevi mai considerato fosse tuo davvero. E
poi la tavola, che richiama alla mente momenti di condivisione che sono
strettamente legati alla famiglia. Ed in famiglia non si può fingere
Ed una tavola, di sacrale memoria, può essere il luogo più
adatto per condividere tutto e non solo il cibo.
Immagini, emozioni, suoni, rumori che interagiscono in te e ti proiettano
in una dimensione familiare di quel teatro a volta troppo lontano della
spettatore. Lho appena vissuto, io ero lì a tavola, e non
ero passivo, ero protagonista di una storia che non era solo mia.
Teatro da mangiare? O per meglio dire Mangiare dal Teatro?il teatro è
vero quando ti racconta la realtà, e la realtà e anche mangiare.
Ma dipende da cosa. Io mangio, deglutisco, assimilo, metabolizzo..ma non
è pane e non sono lacrime.. e solo la vita, la mia vita. La mia
quotidianità fatta di scelte, di vissuto. Allora ho fame
datemi
da mangiare
..(kenzo)
Medea del terzo millennio
Partenza degli Argonauti per la Colchide, si arriva a Corinto; ma nel
frattempo cè luccisione di Medea al padre, e il tradimento
al fratello, il parto, e la morte dei suoi bambini; tutto questo perché?
Giasone per il vello doro, Medea per passione. E tutto sempre ritorna:
luomo ragiona, la donna sente!!! Ma sarà poi vero? O semplicemente
siamo tutti costretti a navigare nellagitato mare del destino? E
comunque sia luomo, nella storia dei tempi, da quando nasce a quando
muore, è costretto a scegliere tra il troppo patire di Medea, e
la lucidità ragionata di Giasone o a fuggire dalle scelte, con
li suicidio, come Creusa.
Forse in aiuto, può venire Armonia, personaggio tanto invocato
dai Greci quale forza stabilizzante e di concordia. Bene, viene fuori
questo elemento dalla performance conclusiva del laboratorio di Castaldo;
piccolo dramma ben misurato, che come un cerchio si apre e si chiude nello
stesso punto, rappresenta una Medea terzo millennio: essenziale spogliata
della troppa passione ma addolcita di quel tanto che è proprio
della donna; quel coraggio spavaldo che nasconde fifa e indecisione del
re e di Giasone . Ad ogni azione risponde una reazione, dove tutto fa
capo ad un ordine cosmico, o a scelte umane? (valentina)
Improvvisazione e geometriche
evoluzioni dei corpi
Meno di una settimana è bastata ai ragazzi del laboratorio curata
da Domenico Castaldo per mettere in scena una gradevole e fresca "Medea"
nellarenella adiacente San Giuliano. Improvvisazione e ritmo, canti
e geometriche evoluzioni dei corpi e lazzeccata scelta di far confluire
nella narrazione le sonorità del dialetto hanno regalato agli astanti
un rinfrescante sollievo alla calura estiva. Bravi. (mimmo)
Lorgoglio
sereno degli attori-scrittori
Non conosco Fausto Paravidino, ma la sua formazione al Teatro Stabile
di Genova mi colpisce ancor prima di conoscere il lavoro che farà
con i ragazzi di Castrovillari. Ciò che mi sorprende è la
naturalezza con la quale i ragazzi mostrano lesito del laboratorio.
Ragazzi? E ancora sorpresa, vedo lavorare insieme persone che non
appartengono alla stessa generazione. Penso che "il fare" supera
le separazioni, il teatro è fare insieme, attori, registi lavorano
mostrandosi gli uni agli altri, sapendo che il momento successivo sarà
un donarsi al pubblico. Le persone che hanno seguito il laboratorio sulla
scrittura teatrale hanno pensato, scritto discusso ciò che poi
hanno mostrato al pubblico in quattro azioni sceniche. Non mimporta
quanto la drammaturgia fosse ingenua e semplice, è stato un momento
di tranquilla freschezza sentire come le parole che udivo, i gesti che
vedevo appartenessero a ciascuno di loro. Percepivo lorgoglio sereno
degli "attori" "scrittori". Orgoglio di chi, appunto,
ha "fatto" insieme, confrontandosi e mettendosi in gioco. La
libertà di chi parlando ha ascoltato, di chi pur non dimenticando
il suo nome ha fatto gruppo.
Poi ciò che sembrava ingenuo si trasforma in riflessione sul melmoso
terreno del pregiudizio, che crea equivoci e spezza percorsi. Cosa invischia
più del parlare non conoscendo? Il lavoro non si conclude in un
consolatorio chiarimento, ma in una sospensione che cancella i confini
del rigidamente definito.(maria luigia)
Come in un film ad episodi
Sono arrivata ieri nel pomeriggio, appena in tempo per
vedere lesito dellultimo laboratorio.
Dopo una settimana di lavoro con Domenico Castaldo 17 ragazzi hanno messo
in scena la Medea tratta da K. Wolf
Limpatto è stato molto piacevole, per la leggerezza con cui
è stato trattato largomento e lironia dei personaggi,
il parto di Medea, lannuncio dellarrivo della nave al molo.
A tratti mi sembrava di assistere , per la mimica e i movimenti degli attori
ed il ritmo sostenuto con cui veniva eseguito il montaggio di scena ad un
film ad episodi. Particolarmente divertente mi è sembrato (fatto
sicuramente non nuovo) linnesto di un mondo antico con il mondo odierno.(ivana)
Il teatro che si avvicina
Dopo aver aspettato gli altri, ci affrettiamo ad arrivare
nei vari luoghi dappuntamento dove gli altri laboratori presenteranno
gli esiti dei propri lavori. Il primo, cioè quello condotto da
Fausto Paravidino, è forse il più classico e tradizionale,
infatti i partecipanti dopo aver scritto delle piccole "opere"
e dopo aver scelto la più interessante le hanno interpretate proprio
come dei piccoli attori. La trama della rappresentazione, e quindi la
rappresentazione stessa, era molto interessante e ,oserei dire, anche
comica.Gli attori erano ben preparati e molto bravi ma (mi dispiace molto
ma non è esattamente la mia idea di teatro).
Laltro laboratorio, condotto da Castaldo è molto simile a
quello di Paravidino, anche se per certi aspetti è molto diverso.
I ragazzi infatti erano preparati in modo diverso: essi erano immersi
in una concentrazione tale da essere loro stessi teatro. Per me neanche
questa è lesatta concezione di teatro anche se si ci avvicina
molto. (giovanni)
La visione della tragedia contorta
In uno splendido angolo della "Civita" accanto
alla chiesetta di San Giuliano, in un specie di anfiteatro costruito con
il cemento, abbiamo assistito alla Medea, esito finale del laboratorio
di Domenico Castaldo "Lattore come principio del teatro".
Tanta gente, anche un fotografo con video camera annessa, ragazzi e ragazzi
intenti a rappresentare il lavoro di Euripide, in unafa opprimente,
escono gli argonauti con un giovanissimo Giasone. Scene semplici, musiche
suggestive e procaci, il merito maggiore è nellaver reso
non eccessivamente traumatizzante la visione di questa tragedia contorta.
Intrigante laver saputo fondere nel testo canzoni in francese, in
dialetto castrovillarese. Esperimento interessante, che dovrebbe avere
lardire di essere ripetuto in altre occasioni. (michele)
Tra energie dellimprovvisazione e defilippate
Tra la fucina drammaturgica di Paravidino e quella
attoriale di Castaldo cè un abisso.
Certamente colmabile.
Dal nostro sguardo, of course.
Se nel primo il valore principale va individuato nellaver valorizzato
lesperienza protoletteraria di una ragazza in gamba di qua; nel
secondo cè il fatto di avere un buon metodo per dare forma
allenergia dellimprovvisazione.
Ma in quel laboratorio Paravidino cè una, per me inspiegabile,
tendenza a fare commedia in una sorta di "defilippata" (che
permette comunque di dare spazio a talenti naturali come Pasquale). E
se non fosse per la scena finale in cui la protagonista vera (nonché
autrice-ispiratrice della pièce) dà vita al dialogo con
la sua coetanea, tutta la faccenda risulterebbe decisamente scarsa.
Nellanfiteatro Castaldo gioca facile e felice. Coordina unazione
teatrale come tante altre viste e come tante altre si vedranno. Bene,
quindi. Dopotutto è più che legittimo fare un teatro che
corrisponda alla domanda che molti giovani esprimono, cercando di dare
forma alle azioni del proprio corpo. Ma non accade niente di più.
(carlo)
Telefonini
incivili e risate sgangherate
Il pubblico di KRIPTON non è esaltante, bisogna essere molto concentrati
nella propria arte, nella coscienza del sé per riuscire a proseguire
tra squilli irriverenti di telefonini incivili come i loro proprietari,
o ragazzucole che ridono sgangheratamente quando basterebbe ascoltare
con attenzione per capire che non di una battuta si tratta ma di grida
di dolore. Il mio amico cerca di resistere alla tentazione di spaccare
una sedia sulle loro testoline, mentre il resto dei moranesi ci ha abbandonato
dietro alla mia amica Renata che è anche amica di Fulvio e di Giancarlo
e non ha resistito alla tentazione della primissima fila. Gelo alla scena
dello sciroppo di amarena travestito da sangue e successivo disgelo alla
doccia del secchio. Mormorii per la contaminazione tra sacro e profano
sulla croce di lampadine rosse ma sono di approvazione. Applausi a scena
aperta; poi saluti e complimenti dovuti, con Seléne che gironzola
amabile tra il popolo dei tiratardi. (ginestra)
La strana histoire du soldat
calabrese
Dopo lEneide di quindici anni fa Krypton rilancia il gioco sul piano
di un teatro musicale dinnovazione, passando dal postmodern al teatro
invasivo dattore-"macchina da guerra" (per non parlare
della nuova produzione con i 99 Posse).
Lhistoire du soldat à la calabrese di Fulvio (Cauteruccio
Junior) è strana, balorda come in una commedia allitaliana
con il Gassman che strombazza sulla sua Aurelia. Ma soffre della sindrome
Pelù (il Piero dei Litfida che allora fu protagonista de LEneide)
che tende a caricare sempre troppo i toni, anche se nel live act musical
questo fa spesso parte del gioco. Nel teatro però cè
più bisogno di misura.
E Fulvio, soldato calabrese, va regolarmente sopra le righe, lenergia
è eccessiva, tracima.
Che sia frutto di una strategia teatrale tutta sua?
Probabile, limpressione è invece che non si governi. E che
nel suo volume di fuoco attoriale scivoli nellequivoco di quantità
per qualità.
Ma alla fine dei conti lo spettacolo funziona e come.
Krypton+Il parto delle nuvole pesanti non solo si sommano ma moltiplicano
il fattore scenico.
E penso a quei musicisti che hanno così tanto da guadagnare nel
lavorare con registi teatrali, affinando la coscienza della loro presenza
scenica.
Si produce una scena che acchiappa, tiene inchiodato alla sedia anche
quei ragazzi che come ci faceva notare il nostro Giovanni, parlando dei
suoi coetanei quattordicenni, non ne vogliono neanche sentire parlare
di teatro.
Questo è ciò che conta, su questa linea di nuovo teatro
musicale dimpatto cè da investire, ne parlavo proprio
stamattina con Carla di Scenaverticale, e le risposte arrivano, basti
vedere il recente successo di "Acido Fenico" di Koreja con Sud
Sound System. (carlo)
Quanto
Roccu cè in ciascuno di noi?
Ore 22: piazzetta Civitanova, KRYPTON in Roccu u stortu
La piazzetta è suggestiva, fresca sotto il cielo stellato. Già
molto prima dellora convenuta, un folto gruppo di ragazzi e signore
in età è radunato allimprovvisato banchetto della
biglietteria. Saluti e chiacchiere nellaria resa gioiosa dal condividere
levento; i minuti crescono, ma lattesa consente di prolungare
la conversazione, anche ce sempre qualche spirito faceto che vorrebbe
un rispetto nordico per gli orari. Si diffonde la notizia della caduta
di unamericana, e tra qualche risolino cè sempre
qualcuno che trova comica la caduta rovinosa di un altro! si scopre
però che trattasi di una delle impalcature sulle quali stanno appollaiati
i musici, cioè i tre componenti de IL PARTO DELLE NUVOLE PESANTI
come scopriremo dopo. Finalmente si aprono i cancelli, scomposti e bruschi
ci fondiamo sulle sedie di plastica lì in attesa; la scena rappresenta
una trincea, FULVIO CAUTERUCCIO gira tra gli spettatori frastornandoli
di battute spiritose e/o irriverenti, mentre un ragazzino scalzo comincia
a leggere gli anni della prima grande guerra mondiale da quel che sembra
un sussidiario dellepoca. Quando, lo grida il protagonista, non
tutti sapevano scrivere, qualcuno forse sapeva leggere -aggiunge furbesco-
ma le due azioni non sempre risultavano collegate sinergicamente. Un paese,
forse un villaggio immerso nei lavori di campi che appartenevano a pochi,
mentre molti avrebbero desiderato un pezzo di terra proprio; una comunità
arcaica, patriarcale, dove lo sbocciare degli amori profumava di grano
appena tagliato, di ceste colme di olive, di fienili sparsi tra le aie.
Leco della guerra piomba improvviso in questo piccolo mondo immoto,
accompagnato dalle fole che piacciono tanto agli spiriti semplici: vitto
garantito e terre per tutti coloro che si arruoleranno volontari. Così
Roccu parte speranzoso, entra nelle brigate 141 e 142 dove trova altri
poveracci che fuggono dalla miseria, dallignoranza, illudendosi
di trovarla intruppati in trincee dalle quali il sole si tiene accuratamente
lontano, tra rombi di mitraglie ed il sudore caldo della morte. Il linguaggio
mi disturba, le parole un po strascicate un po acri del dialetto
sono troppo coinvolgenti, mi chiedo se prendere le distanze dal nostro
quotidiano non del tutto passato possa contribuire più alla riflessione,
allestraneamento, allintrattenimento dellattività
teatrale. Quanto di Roccu cè in ciascuno di noi, quanto cè
in me, da provocare questa valanga di sensazioni contrastanti, discordanti,
che cozzano/fanno a pugni tra loro? Il coinvolgimento può affascinare
di più? E DEL POETA AL FIN LA MERAVIGLIA? Mi chiedo e giro
la domanda. (ginestra)
E
sicuro che non sono un austriaco?
Gustoso accostamento tra musica e teatro lunedì
11 Giugno grazie ad una riuscita collaborazione tra il KRYPTON e IL PARTO
DELLE NUVOLE PESANTI.
Uno spettacolo ("Roccu u stortu") carico di energie, che vive
di un suo ritmo interno vivo e calzante. I musicisti, disposti su tre
impalcature, montate dietro il palco, dominano dallalto la scena.
Intervenendo non solo con lesecuzione di brani musicali (appositamente
creati per lo spettacolo), ma anche con piccole azioni performative, contribuiscono
a creare quellinterazione che permane costante; interazione tra
musicisti e attore, interazione tra attore e pubblico, che arriva quasi
ad oltrepassare la soglia della finzione, arriva quasi violentare lo spettatore,
a metterlo a disagio, anche a spaventarlo. Roccu u stortu si avvicina,
fino ad un punto estremo, ad uno spettatore, inveisce violentemente contro
di lui
..se ne va
..ritorna
..non ero io quello spettatore,
ma quella violenta convinzione che stesse parlando realmente con un austriaco,
mi ha per un attimo fatto dubitare, sempre e comunque partecipe della
finzione scenica, che fossi anchio un austriaco, di avere, in qualche
modo, una parte della colpa per quello sfogo rabbioso di Roccu.
Quando il teatro riesce ad invadere uno spazio intimo e nascosto della
tua persona, a disorientarti, ad impaurirti, allora è riuscito
ad entrare dentro di te, è riuscito a comunicarti delle emozioni,
a fartele vivere quasi epidermicamente, a farti venire la pelle doca
o a farti sobbalzare il cuore.
Parlo non solo di un teatro che sa come mantenersi in vita, ma soprattutto
di un teatro che può aiutarti ad intensificare preziosi momenti
della tua breve vita.
E grandioso!!! (paola)
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