«Visto da questa estrema periferia tutto
appare più chiaro.
Là, a non più di un chilometro dall'accampamento,
sotto i grandi tiranti d'acciaio dello stadio, si esibiscono ogni
domenica uomini "quotati" decine di miliardi di lire.
Qui, in questa terra di nessuno, spoglia, morta, al di qua dell'immensa
spianata grigio-cemento dei posteggi, dei magazzini e dei capannoni
industriali, abitano uomini il cui valore monetario s'avvicina allo
zero assoluto.»
Fuori Luogo di Marco Revelli racconta, senza lacrime
ma con sdegno, la vicenda, realmente accaduta ad un gruppo di zingari
Rom romeni, accampati al confine tra il Comune di Torino e quello
di Venaria Reale a cui viene negato il diritto di sopravvivere al
freddo dell'inverno.
Una vicenda umana, sociale e politica palleggiatasi per mesi tra
volontari impegnati, amministratori buoni, politici seri, che tuttavia
non riescono a dare neppure una risposta di sussistenza temporanea
ad un gruppo di circa 400 persone che si trovano al limite della
sopravvivenza, soprattutto i neonati e i bambini. Tutti saranno
inesorabilmente rispediti alla terra da cui erano scampati a persecuzione
e morte.
E' una storia, quella di Fuori Luogo, che lo spettacolo
mette in scena per raccontare le periferie delle città,
luoghi di confine, crocevia dove si accumulano discariche e diseredati
cacciati dai loro paesi o tenuti lontano dal centro benestante.
Per raccontare il nostro mondo visto da quel luogo.
La città è Torino ma potrebbe essere benissimo Firenze,
Roma o Milano e seguendo le vicende dei protagonisti la storia ci
porta attraverso l'Europa ad Est, in Romania, in un mondo parallelo,
che sta accanto a noi e a noi sconosciuto.
Gli zingari nel nostro immaginario sono lo specchio deformante di
tutte le paure legate alla diversità. Su di loro si focalizzano
tutti gli stereotipi con cui bolliamo gli altri emigrati e si aggiunge
qualcos'altro: l'inquietudine e il senso d'insicurezza che provoca
in noi la loro mancata assimilazione, quasi fosse un insulto e una
minaccia al nostro modo di vivere.
Gli zingari sono gli ultimi nomadi che si ostinano a percorrere
l'Occidente, e anche se ormai battono le nostre strade da secoli
rimangono i diversi tra i diversi.
Nonostante si riconosca loro il merito di aver inventato il Circo,
nonostante ai tempi della bohème siano stati mitizzati in
opere liriche e romanzi, nessuno ama gli zingari. E loro generalmente
non vogliono essere amati. Sono fieri della loro differenza e diffidenti
verso noi, i gage, i non zingari, almeno quanto noi lo siamo
verso di loro.
Certo i loro punti di vista sulla vita appaiono inconciliabili coi
nostri se soltanto si pensa che non hanno nel loro vocabolario nè
la parola leggere, nè la parola scrivere. Che provano un
piacere immenso nel giocare a mentire. Che per dire "baciami"
dicono mangiami la faccia e considerano le ginocchia la parte più
erotica del corpo.
Che spiegano la supremazia dell'oralità raccontando come
Dio abbia distribuito le religioni nel mondo scrivendo la loro su
una foglia di cavolo andata in pasto ad un mulo.
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