I Rom considerano la musica una parte della loro lingua e lo strumento
musicale una parte del loro corpo.
Lo spettacolo trasforma il libro di Revelli in un racconto per
voce e musica, un concerto di storie drammatiche, ma anche curiose,
che interroga la nostra società "democratica" quando
sono in gioco i diritti umani.
La storia raccontata da Revelli si svolge in tre tempi:
la creazione del campo, la conservazione, la distruzione/rimpatrio.
Tre sono anche i tempi di scansione dello spettacolo nella ricostruzione
di un dramma che inizia con l'incendio delle case in Romania e finisce
con l'incendio del campo a Torino.
Un dramma esemplare per la sua crudezza ma anche storia antica dove
due gruppi si affrontano alla ricerca della propria identità.
Quelli che chiamiamo zingari sono persone molto diverse tra loro:
qualcuno operaio, qualcuno analfabeta, ma c'è tra loro anche
un ingegnere nucleare. Come molti ebrei italiani scoprirono che
cosa voleva dire la parola ebreo soltanto nel '38, alcuni di quegli
zingari rumeni capirono che cosa voleva dire essere zingaro soltanto
quando furono cacciati dal loro paese per finire in via Cuneo. Un
gruppo eterogeneo e disparato si fa coro, cerca un'appartenenza
etnica di cui fino a quel momento non sentiva il bisogno.
Al coro degli zingari si contrappongono le varie componenti di una
società "civile" in crisi: burocrati, politici
in ostaggio del consenso, contabili di quartiere composti da fieri
proprietari di villette a schiera, immigrati del meridione ossessionati
dalla svalutazione dei propri immobili.
Sullo sfondo "storie" più antiche appartenenti
alla cultura Rom e riferimenti al conflitto tra sedentari e nomadi,
un conflitto antico quanto il mondo:
"I figli di Adamo ebbero in eredità un'equa spartizione
del mondo: Caino la proprietà di tutta la terra, Abele di
tutti gli esseri viventi. al che Caino accusò Abele di aver
sconfinato....e lo assassinò".
In epoca di globalizzazione e di ridistribuzione delle ricchezze
questa storia lascia aperta una domanda che pesa su di noi come
un macigno: vale di più un buon cittadino inquinatore
ricco, un consumatore selvaggio di acqua, aria, merci, o un miserabile
povero?
E per una domanda pesante occorre una risposta leggera: leggera
come una piuma, leggera come uno zingaro.
Abbiamo scelto di rendere la leggerezza della musica zingara una
voce narrante. E alla voce narrante abbiamo chiesto di farsi ritmo
e musica. Il racconto è un impasto fatto lievitare simultaneamente
da musica, voce e canto. Inoltre abbiamo rubato agli zingari l'idea
che il racconto sia una cavalcata, un viaggio faticoso che non si
ferma mai se non per il giusto riposo.
Come la vita di quello zingaro che alla fine dei suoi giorni disse:
"Ho passato tutta la vita in ginocchio. Quando morirò,
seppellitemi in piedi".
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