C'è un teatro a cui una comunità non dovrebbe mai
rinunciare: il teatro in cui la comunità mette in scena
se stessa, si tasta il polso e cerca di capire se è ancora
viva.
E' il cosiddetto teatro di impegno civile, che non va inteso
come una forma di servizio sociale, ma come una proposta di arricchimento
delle chiavi di lettura della realtà.
In effetti il teatro svolge una propria funzione sociale nella misura
in cui non serve a niente. Nel senso letterale del termine.
Il teatro, se è vero teatro, non è asservito a nulla
e a nessuno che non sia il teatro stesso. E non intende rendere
la vita facile a nessuno. Semmai ce la complica, arando la crosta
di indolenza quotidiana che ci fa spesso affrontare gli orizzonti
mutevoli della vita con gli occhi colpevolmente rivolti soltanto
al nostro giardino privato.
Di fronte alla complessità della realtà che ci sta
di fronte e al proliferare indiscriminato di analisi, di informazioni,
di commenti, di proposte che ormai generano confusione e incertezza,
il teatro ha la capacità di osservare il mondo e trasformarlo
in racconto.
Come se fosse una pausa di riflessione da offrire alla ragione perchè
la elabori tenendo conto delle emozioni attraverso la parola che
si fa racconto.
Oggi, a volte, questo genere di teatro è fuori Luogo.
-Non è questa la sede adatta!- è la risposta che viene
naturale
-Non è la sede adatta-
La stessa risposta che si sentono salire dallo stomaco tutti gli
amministratori comunali che incapparono negli zingari di Via Cuneo.
- Di problemi ce ne sono tanti, non ditelo a noi, ma non è
questa la sede -
I problemi stanno sempre nell'intercapedine tra due sedi deputate
a risolverli. Stanno sul confine senza avere una sede. I problemi
del nostro presente sono per natura fuori luogo, e altrettanto fuori
luogo si sentono le persone che dovrebbero risolverli.
La maggior parte delle vicende umane che abbiamo sotto gli occhi
ogni giorno sono cominciate da un'altra parte, fuori dai nostri
luoghi. Sono cominciate alle periferie della globalizzazione per
finire nelle periferie delle nostre città.
Se resti fermo, guardi le cose dalla tua finestra non capisci più
niente. Adesso più che mai le storie vanno inseguite, siamo
costretti a diventare zingari per non vivere fuori luogo nelle nostre
dimore.
Per questa ragione ci siamo convinti che gli zingari di via Cuneo
possano parlarci del nostro disagio oltre che del loro. Che possano
spiegarci la nostra stanzialità in crisi con il loro nomadismo
in tramonto.
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