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DIARIO
DI BORDO E' l’ultimo incontro e avviene dopo “I Polacchi” del teatro delle Albe (www.teatrodellealbe.com), spettacolo che ha entusiasmato, come previsto, i ragazzi. Gran bella botta di vita teatrale qui ad Aosta, grande breccia nel sentimento teatrale alpino sin troppo granitico. I ragazzi, purtroppo, erano meno dell’altra volta; si è alla fine dell’anno scolastico, le gite... e tutto il resto.Ma il dato più importante è che ho colto dell’amarezza in quei ragazzi che ieri sera si sono persi lo spettacolo. Chi lo avrebbe mai detto che il teatro sarebbe diventato una “cosa da non perdere”? La voce girerà e non escludo che alcuni dei ragazzi e delle ragazze (fortemente attratte dai “palottini” più esuberanti) non vengano a Torino a seguire lo spettacolo programmato dal Teatro Stabile al Teatro Erba. Attivo subito il confronto: voglio farli parlare, fargli tirar fuori le loro visioni, i loro stati d’animo, l’evidenza soggettiva di alcuni dettagli teatrali che si sono portati a casa (nel cuore), nella memoria emozionale di spettatori contagiati. Su “I polacchi” uno degli spettacoli teatrali più importanti degli ultimi anni c’è molto da dire ma ancor più da tirar fuori. Faccio riferimento al fatto che da anni il Teatro delle Albe promuove con gli studenti di Ravenna la “nonscuola” una molteplicità di laboratori teatrali che rappresentano una radicale risposta postpedagogica alla scuola istruzionista. E’ da quel bacino di esperienza che arrivano i “palottini”, banda di masnadieri estremi, coattissimi (come avevamo già rilevato qualche anno fa, in una delle prime repliche al Festival di Polverigi. Grandi artefici di un’orgia teatrale che ha fatto dell’”Ubu roi” di Alfred Jarry da cui è tratto lo spettacolo un emblema dell’attacco teatrale al potere. E’ proprio su una delle scene “topiche” dello spettacolo che si posa l’attenzione. E’ il “decervellamento” che di fatto vince il nostro referendum delle scene madri. Vai a vedere come hanno “votato” al referendum che ho indetto lì per lì con questo quesito: “Descrivete il momento dello spettacolo, scena madre o visione che vi è rimasto più impressa”. La lotteria ludica del senso teatrale Un altro esercizio. Diavolo è tempo d’esami... no, che dico, non credo negli esami. E’ solo un esercizio, anzi un gioco, una semplice pratica di rilevamento di quegli sguardi, la memoria e la visione di cui lo spettatore è autore. Dico infatti se un attore è autore dell’azione teatrale lo spettatore è autore della sua visione. Chiaro, no? Mi viene in mente di aprire una finestra sulla comparazione, sul confronto con l’altro spettacolo su cui abbiamo basato il nostro laboratorio d’arte dello spettatore in rete. Domando: Quali solo le due “cose” che avvicinano,ovvero gli aspetti di similitudine che intercorrono tra i due spettacoli, questo de “I polacchi” e l’altro “Acido fenico” di Koreja di cui abbiamo trattato ampiamente nel diario precedente. E poi, insistendo (anche perchè sono consapevole del fatto che con la fine dell’anno scolastico sarà difficile farli “produrre” fuori di qua...) li invito ad indagare su quali sono gli aspetti (almeno due) che li distanziano, che li rendono diversi. Gli chiedo di scrivere separatamente (anche se qualcuno fa comunque comunella) perchè è curioso vedere cosa spunta dal “segreto” dello sguardo soggettivo. Gianluca con il suo portatile prepara una tabella, uno schema funzionale per elencare i punti vicini e quelli lontani, in cui ribatte tutti i fogliettini che arrivano sul tavolo, sembra una riffa, una lotteria ludica del senso teatrale. Ma non basta gli chiedo anche di dare nome, descrivere, una loro particolare emozione, uno stato d’animo, quel “brividino” (di cui abbiamo ampiamente parlato la volta scorsa) provato durante lo spettacolo. In ogni caso arrivano anche contributi via email come quello di Gilles, che esprime anche qualche disappunto.
Punteggio
La tabella delle comparazioni teatrali tra “Acido Fenico” e “Polacchi”
Dai un nome, descrivi, lo stato d’animo più particolare che hai provato durante lo spettacolo.
Il linguaggio portuale e la fine elle ideologie Partendo
dal presupposto che, personalmente, ho trovato la prima parte dello
spettacolo leggermente scollegata con il resto della rappresentazione
e che non ho compreso la necessità di un linguaggio per così dire a
volte un po' "portuale", sento di non aver potuto apprezzare
a pieno lo spettacolo. (Gilles) | ||||||||||||||||||||||||||||||||
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